" E se domani..."                                                                      1 ottobre 2009

di Eleonora Cicero

“…e i due saranno

una sola carne.”

 

Gen. 2, 24


Nella buona e nella cattiva sorte

La Liturgia della XXVII domenica del tempo ordinario, ci invita a riflettere su un argomento centrale nella vita di ogni comunità umana eppure drammaticamente in crisi negli ultimi anni: il matrimonio.

Mai come negli ultimi tempi, il casellario umano si riempie di separazioni e divorzi in un incedere vertiginoso.

I freddi numeri delle statistiche sono implacabili: anche il nostro cattolicissimo paese risente di una crisi familiare ai più alti livelli storici. Il fenomeno è più marcato al Nord ma anche il Sud tradizionalista, denuncia allarmanti impennate di tale fenomeno.

Mi sono interrogata davanti alla Liturgia di questa domenica, mi sono chiesta quanto le parole di Gesù possano essere accolte da un contesto sociale fin troppo laicizzato e liberista. L’unica risposta che sono riuscita a darmi risiede dentro un percorso umano e spirituale che deve acquistare sempre più spessore e gratuità.

La prima lettura riprende il passo della Genesi della creazione della donna (2, 18-24). Sia la vecchia che la nuova traduzione peccano un po’ di “maschilismo” fino a definire il fine della donna come un “aiuto” per l’uomo. In realtà, la traduzione originale, parla di un “termine di paragone alla pari” che è un concetto molto diverso e molto più alto di quello che le nostre traduzioni specificano. L’uomo (ish) riconosce nella donna (isha) la propria complementarità (lo stesso nome ebraico deriva dalla medesima radice), come di fatto la stessa donna deriva dalla costola dell’uomo.

Stando alle prime pagine del libro della genesi, dunque, l’uomo e la donna sono creati per condividere il cammino della vita. Gesù nel Vangelo di Marco (10, 2-16), sottolinea l’indissolubilità del vincolo matrimoniale, quasi a non lasciare alibi alcuno ai nostri pretesti.

Ma come si fa a promettere di stare assieme “nella buona e nella cattiva sorte; in salute ed in malattia...finchè morti non ci separi”? Sappiamo bene che la routine quotidiana e la fatica di far quadrare i conti a fine mese, il lavoro carente, il bisogno dei propri spazi e la lunaticità umana, mettono in serio pericolo questa promessa. Sappiamo tutti che col passare del tempo, i sentimenti si sfumano e le passioni svaniscono se non vengono sapientemente e pazientemente coltivate, giorno dopo giorno, nell’intento del far morire l’”Io” e dar vita al “Noi”.

La fatica richiesta è enorme specie se si pensa di poter fare a meno della Luce di Dio.

In fondo, ad una coppia non viene richiesto qualcosa di particolarmente diverso da quello che il Signore chiede ad ogni credente: Amare disinteressatamente e follemente così come Lui ha amato e continua ad amare questa umanità disastrata.

Se Dio è Amore, egli è il perno centrale attorno a cui far ruotare tutte le nostre esistenze e gli sposi non sono esenti da questo Dono d’Amore.

Se non si è disposti ad accogliere l’Amore di Dio, si è poco propensi a vivere in modo pregnante quello degli uomini fino a trasformarlo in un misero rapporto insterilito, all’interno del quale, l’amore si misura con un debilitante dare\avere.

Non si può amare nessuno in modo completo e vivificante, se non si ama il Creatore ed il Creato; se non si ha rispetto nei confronti della propria persona e degli altri.

E’ tramite un umile cammino di spogliazione di se stessi, che la follia dell’Amore di Cristo ci coinvolge ed esso trova terreno nella gioia autentica di essere al mondo e di sperimentare il dono della Vita.

I due sono chiamati ad essere una sola carne, come tutti gli uomini sono chiamati ad essere unico corpo di Cristo.

La più grande sconfitta dei nostri tempi, sta nell’aver volgarizzato la sessualità, nell’aver svilito l’importanza della famiglia trasformandola in una patetica scenetta anacronistica.

Ogni uomo ed ogni donna è chiamato ad una propria vocazione che non necessariamente corrisponde alla vita matrimoniale, ma ognuno di noi ha la precisa responsabilità di concretizzare nel proprio vissuto l’Amore di Cristo.

Il concetto non si ferma unicamente al diventare “una sola carne” ma a portare ognuno il peso dell’altro e questa è la vocazione di ogni credente prima che di ogni coniuge. E se Cristo è lo Sposo di una Chiesa adultera e incoerente e ne rimane follemente innamorato e follemente geloso, chi siamo noi per rendere esclusivo e sterile un Dono totalizzante e limpido?

Il matrimonio presuppone un cammino di due sposi consapevole e maturo e non un tentativo in extremis di colmare il vuoto delle proprie solitudini o dei propri egoismi di facciata.



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