La fede è un invito a sacrificarsi?
In quel tempo Gesù disse alla folla: "Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra. Il regno dei cieli è simile anche a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva e poi, sedutisi, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Avete capito tutte queste cose?". Gli risposero: "Sì". Ed egli disse loro: "Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche".
Matteo 13, 44-52
Questa mia riflessione si soffermerà sulle due parabole del tesoro nascosto e della perla preziosa: sono parallele, e tale parallelismo ne rafforza ancor più il messaggio. Per coglierlo, parto dalla discussione di due atteggiamenti oggi molto diffusi tra la gente.
Il primo è l'ansia del guadagno. Non parlo della preoccupazione legittima, quella del lavoratore che deve far quadrare il bilancio familiare con il suo unico stipendio: rendiamoci conto,
infatti, che sebbene tante famiglie stiano ancora bene, molte devono usare la calcolatrice, e non per determinare le entrate, quanto per misurare le spese.
È realtà che tocca molti nuclei familiari: gli stipendi al giorno d'oggi non sembrano buoni come qualche anno fa, e il costo della vita aumenta in modo preoccupante.
Al di là di questa legittima preoccupazione, notiamo però in molti l'ansia, il desiderio di accumulare denaro: si guarda al conto in banca con avidità, si cerca di far rendere i soldi al massimo. In tanta gente la sete dell'avere porta a mortificare perfino sentimenti d'amicizia e di fraternità. L'avidità di denaro a volte logora anche i rapporti tra coniugi, o tra genitori e figli: il quattrino infatti -si dice - è un buon servo, ma un cattivo padrone.
Ad ogni modo, oggi, la tendenza generalizzata è a riporre la propria felicità nella ricchezza: diverse inchieste, condotte tra i giovani, rilevano che i soldi si trovano al primo posto nella loro scala di valori. Ma il denaro dà veramente significato alla vita? Consente l'accesso alla felicità?
È una domanda aperta. Anche Gesù, probabilmente, notava tra i suoi contemporanei questo fatto: cercare l'isola del tesoro è sempre stato passione e tormento dell'uomo. Un secondo atteggiamento da richiamare riguarda la religione. E ci riferiamo alla nostra, perché non conosciamo in maniera approfondita e non vogliamo giudicare quella degli altri. La religione è percepita spesso come rinuncia: se vuoi essere cristiano, devi sacrificarti.
Ci sono leggi da osservare, prescrizioni cui obbedire, autorità cui sottostare: la libertà della persona ne risulta limitata, o perfino mutilata. Qui si trova, a mio parere, la radice profonda
dell'ateismo e di molta indifferenza religiosa.
Quando gli adolescenti, dopo la cresima, lasciano la Chiesa e spesso anche la fede, perché lo fanno? Soprattutto, credo, perché sono alla ricerca della propria libertà. Quella che vivono è l'età dell'indipendenza, della necessità d'autonomia: sono portati a guardare alla Chiesa come ad un luogo di schiavitù, o in cui comunque si esercita un'antipatica sorveglianza.
Ma è veramente questo la religione? Vediamo Gesù: egli vuole darle un nuovo volto. Si era accorto anche lui che molti la sperimentavano come un dovere da rispettare e non come una festa da gustare e da condividere: nelle pagine del Vangelo troviamo molti episodi che delineano, attraverso parole e gesti di farisei e scribi, una religione vissuta quasi come tassa da pagare e non come rapporto amoroso e gioioso con Dio.
Forse troviamo la rappresentazione migliore di questo abito mentale nella parabola del figliol prodigo. In essa, il figlio maggiore, simbolo di chi governava allora Israele, asserisce: "... io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici" (Luca 15, 29). Quell'inciso, "io ti servo", indica la schiavitù davanti a Dio, la dipendenza legalistica dai suoi comandi.
Ma tale concezione della religione è diffusa anche oggi: l'uomo pensa a Dio come ad un padrone di cui avere paura, e per questo obbedisce ai suoi desideri. Gesù, invece, ci parla di un Dio diverso, e ce ne parla attraverso due inequivocabili parabole. La prima: chi trova Dio trova un tesoro; ossia, Dio arricchisce l'uomo, lo apre al senso della vita, al gusto della scelta, lo guida sulla strada che lo realizzerà.
Non è contro l'uomo, non vuole limitarlo, e desidera anzi renderlo libero, creativo, estroso, compiuto. Chi trova Dio trova la radice di se stesso: non si tratta, allora, di obbedirgli come ad un padrone, ma di incontrare uno sposo che ama la felicità della sua sposa, e la sollecita a rendersi ancora più felice e più libera.
La seconda parabola: chi trova una perla di grande valore vende tutti i propri beni per comperarla. La fede esige certamente delle scelte, ma vivere la fede è di più, è acquisire una perla più preziosa, è diventare più uomini, è ricevere ed accedere ad una relazione più gratificante.
Questa perla preziosa s'identifica con l'amore. Il saper amare è dono importante ed inestimabile: la persona si fa nell’amore, in esso si immedesima, si riconosce, si dispiega.
Dio insegna ad amare perché è amore. Cercare il regno di Dio, allora, equivale a cercare la profondità dell'amore e perciò del proprio essere.
In quel tempo Gesù disse alla folla: "Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra. Il regno dei cieli è simile anche a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva e poi, sedutisi, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Avete capito tutte queste cose?". Gli risposero: "Sì". Ed egli disse loro: "Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche".
Matteo 13, 44-52
Questa mia riflessione si soffermerà sulle due parabole del tesoro nascosto e della perla preziosa: sono parallele, e tale parallelismo ne rafforza ancor più il messaggio. Per coglierlo, parto dalla discussione di due atteggiamenti oggi molto diffusi tra la gente.
Il primo è l'ansia del guadagno. Non parlo della preoccupazione legittima, quella del lavoratore che deve far quadrare il bilancio familiare con il suo unico stipendio: rendiamoci conto,
infatti, che sebbene tante famiglie stiano ancora bene, molte devono usare la calcolatrice, e non per determinare le entrate, quanto per misurare le spese.
È realtà che tocca molti nuclei familiari: gli stipendi al giorno d'oggi non sembrano buoni come qualche anno fa, e il costo della vita aumenta in modo preoccupante.
Al di là di questa legittima preoccupazione, notiamo però in molti l'ansia, il desiderio di accumulare denaro: si guarda al conto in banca con avidità, si cerca di far rendere i soldi al massimo. In tanta gente la sete dell'avere porta a mortificare perfino sentimenti d'amicizia e di fraternità. L'avidità di denaro a volte logora anche i rapporti tra coniugi, o tra genitori e figli: il quattrino infatti -si dice - è un buon servo, ma un cattivo padrone.
Ad ogni modo, oggi, la tendenza generalizzata è a riporre la propria felicità nella ricchezza: diverse inchieste, condotte tra i giovani, rilevano che i soldi si trovano al primo posto nella loro scala di valori. Ma il denaro dà veramente significato alla vita? Consente l'accesso alla felicità?
È una domanda aperta. Anche Gesù, probabilmente, notava tra i suoi contemporanei questo fatto: cercare l'isola del tesoro è sempre stato passione e tormento dell'uomo. Un secondo atteggiamento da richiamare riguarda la religione. E ci riferiamo alla nostra, perché non conosciamo in maniera approfondita e non vogliamo giudicare quella degli altri. La religione è percepita spesso come rinuncia: se vuoi essere cristiano, devi sacrificarti.
Ci sono leggi da osservare, prescrizioni cui obbedire, autorità cui sottostare: la libertà della persona ne risulta limitata, o perfino mutilata. Qui si trova, a mio parere, la radice profonda
dell'ateismo e di molta indifferenza religiosa.
Quando gli adolescenti, dopo la cresima, lasciano la Chiesa e spesso anche la fede, perché lo fanno? Soprattutto, credo, perché sono alla ricerca della propria libertà. Quella che vivono è l'età dell'indipendenza, della necessità d'autonomia: sono portati a guardare alla Chiesa come ad un luogo di schiavitù, o in cui comunque si esercita un'antipatica sorveglianza.
Ma è veramente questo la religione? Vediamo Gesù: egli vuole darle un nuovo volto. Si era accorto anche lui che molti la sperimentavano come un dovere da rispettare e non come una festa da gustare e da condividere: nelle pagine del Vangelo troviamo molti episodi che delineano, attraverso parole e gesti di farisei e scribi, una religione vissuta quasi come tassa da pagare e non come rapporto amoroso e gioioso con Dio.
Forse troviamo la rappresentazione migliore di questo abito mentale nella parabola del figliol prodigo. In essa, il figlio maggiore, simbolo di chi governava allora Israele, asserisce: "... io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici" (Luca 15, 29). Quell'inciso, "io ti servo", indica la schiavitù davanti a Dio, la dipendenza legalistica dai suoi comandi.
Ma tale concezione della religione è diffusa anche oggi: l'uomo pensa a Dio come ad un padrone di cui avere paura, e per questo obbedisce ai suoi desideri. Gesù, invece, ci parla di un Dio diverso, e ce ne parla attraverso due inequivocabili parabole. La prima: chi trova Dio trova un tesoro; ossia, Dio arricchisce l'uomo, lo apre al senso della vita, al gusto della scelta, lo guida sulla strada che lo realizzerà.
Non è contro l'uomo, non vuole limitarlo, e desidera anzi renderlo libero, creativo, estroso, compiuto. Chi trova Dio trova la radice di se stesso: non si tratta, allora, di obbedirgli come ad un padrone, ma di incontrare uno sposo che ama la felicità della sua sposa, e la sollecita a rendersi ancora più felice e più libera.
La seconda parabola: chi trova una perla di grande valore vende tutti i propri beni per comperarla. La fede esige certamente delle scelte, ma vivere la fede è di più, è acquisire una perla più preziosa, è diventare più uomini, è ricevere ed accedere ad una relazione più gratificante.
Questa perla preziosa s'identifica con l'amore. Il saper amare è dono importante ed inestimabile: la persona si fa nell’amore, in esso si immedesima, si riconosce, si dispiega.
Dio insegna ad amare perché è amore. Cercare il regno di Dio, allora, equivale a cercare la profondità dell'amore e perciò del proprio essere.