E' scoppiata l'emergenza. L'Italia è a rischio di bancarotta e di recessione, ma può ancora farcela a risalire la china, se tutti, ma proprio tutti danno una mano e sono disposti a fare dei sacrifici. Questo è il senso delle parole del capo dello Stato e delle operazioni che ne sono conseguite: le dimissioni del governo e l'incarico di prendere le redini di un governo (chiamatelo come volete: di emergenza, di transizione, sostitutivo della politica) ad un super tecnico come Mario Monti. E lo dicono tutti, sia quelli che hanno dato le dimissioni, sia quelli che le dimissioni le chiedevano da tempo ma non sono corsi a volerli sostituire: lo abbiamo fatto per amore del Paese. Tranne la Lega, che per bocca del suo leader però ha dichiarato che vuole approfittare di questo tempo “per rifarsi la verginità”. Ma allora ammette che la verginità l'ha persa, che è come dire: siamo corresponsabili. Attenzione però perché non è che il governo che nascerà abbia la bacchetta magica per risolvere i problemi. Intanto dovrà prendere delle decisioni che comporteranno, come si suol dire, lacrime e sangue per molti e forse per tutti. Poi dovrà pur passare attraverso il voto del Parlamento, che non è sciolto, ma è quello di prima. E si vedrà quindi se questa coscienza di dover tutti cooperare alla salvezza del Paese apparirà anche nelle scelte parlamentari. Vero è che la ex maggioranza prima di fare il faticoso passo indietro ha cercato di dettare il programma anche al nuovo governo e di stabilirne anche i tempi, argomentando che non ha ceduto le poltrone perché ha perso, ma perché ha voluto. Non vorrei che abbiano ragione quanti hanno messo in guardia da quello che hanno chiamato “calcio dell'asino”, vale a dire la reazione inconsulta di chi è già steso a terra. Ma non è il tempo di andare dietro ai fischi e alle ovazioni che hanno accompagnato l'iter nervoso e da corsa contro il tempo di questo nuovo incarico. Stella polare da inseguire è la salvezza del Paese, di questo concreto e tormentato Paese. E qui un sassolino dalla scarpa voglio prendermelo. Sappiamo che la palla al piede è il famoso debito che l'Italia si trascina da decenni. Orbene, a chi continua a ripetere che il debito non l'hanno fatto loro ma altri, mi viene da chiedere: “Ma voi chiedendo i voti alle elezioni avete chiesto di governare questo Paese o un altro inesistente senza debiti? “Hic rodus, hic salta”: questo è il Paese e qui voglio vederti all'opera. E' inevitabile e ovvio che la contingenza drammatica influisca anche su quella ricerca che si è messa in movimento nel cosiddetto mondo cattolico e che ha avuto il suo incipit ufficiale a Todi.
Riemerge quella che fu l'istanza nella Chiesa italiana già nei primi anni Ottanta, e cioè la scelta preferenziale dei poveri. E oggi povero si presenta l'intero nostro Paese. L'amor di patria si onora sì ancora con il bacio alla bandiera, ma soprattutto con la passione di salvare il Paese dal baratro, mettendo mano agli sprechi e inducendo, con motivazioni di fede, i possessori di grandi patrimoni immobiliari e finanziari ad accettare l'invito evangelico: “Va', vendi quello che hai e dallo ai poveri”. In termini più concreti: ad accettare di essere tassati. Ed è ora di risfoderare anche il discorso della corsa agli armamenti: “La corsa agli armamenti – diceva Paolo VI - uccide i poveri facendoli morire di fame”. Che dire allora della presenza militare dell'Italia in tante parti del mondo, magnificata nel libro sul “Progetto culturale” dei cattolici come segno della grandezza dell'Italia nel mondo? E che dire del progetto di dotarsi di cacciabombardieri F35 con un costo globale di 15 miliardi di euro? Tagliare in questo settore sembra che sia un tabù. Un'ispirazione cristiana dovrebbe quantomeno sfatarlo.
Lascio da ultimo perché dovrebbe essere ovvio il dovere delle comunità cristiane di pregare per questa nostra Italia.