"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano

 



Tra il Sahara e Spello
con la libertà di un bambino


Il 4 ottobre 1988 moriva Carlo Carretto. Lo ricordiamo - nell'anno in cui si celebra il centenario della nascita (2 aprile 1910) - pubblicando ampi stralci dell'articolo a lui dedicato dal numero appena uscito de "La Civiltà Cattolica".

di Piersandro Vanzan

L'eredità di Carlo Carretto - vita, opere, scritti - è tuttora attuale e provocatoria, in quanto è un'eredità "profetica" e, quindi, inevitabilmente scomoda. Non a caso è l'eredità di "un monaco col Vangelo in mano, nella mente e nel cuore, per tradurlo nella vita. Un religioso sempre disponibile a parlare di Gesù e della salvezza eterna a chiunque glielo chiedesse. Un servitore della Chiesa, perché essa fosse sempre più santa e più vicina agli uomini" (Carlo Carretto, Innamorato di Dio, Assisi, Cittadella, 1991, p. 365).
Carlo Carretto nasce il 2 aprile 1910 ad Alessandria. Ben presto, per migliorare le proprie condizioni di vita, la famiglia Carretto si trasferisce prima a Moncalieri, dove il padre aveva ottenuto un posto nelle Ferrovie dello Stato, e poco dopo, con l'acquisto di una casa, a Torino. Qui il giovane Carlo, con i fratelli frequenta la parrocchia e l'oratorio dei salesiani:  "L'oratorio mi ha educato alla vita di don Bosco, in un modo così semplice, direi, che è fatto apposta per chi viene dal popolo, che assimila bene un'educazione essenziale senza troppe complicazioni:  ho sempre ammirato nei salesiani l'equilibrio tra divertimento e preghiera".
Mentre frequenta la facoltà di Filosofia e pedagogia, inizia l'approfondimento di quella fede che lo aveva ispirato fin da giovanissimo, e a interessarsi sempre più di apostolato e di parrocchia, approdando a un traguardo fondamentale del suo percorso formativo:  l'iscrizione alla Gioventù di Azione Cattolica (Giac). Scrive in proposito:  "Per me la piccola Chiesa che mi aiutò a capire la grande Chiesa e a restare in essa, fu la Gioventù di Azione Cattolica, la Giac come si diceva allora. Mi prese per mano, camminò con me, mi nutrì della Parola, mi diede l'amicizia, mi insegnò a lottare, mi fece conoscere Cristo, mi inserì vivente in una realtà vivente".
Nel 1933, dopo l'incontro folgorante con Luigi Gedda, conquistato dall'idea di un apostolato laico, Carlo intraprende una serie di attività frenetiche nella Giac:  a partire dalla ricerca di giovani motivati e desiderosi di rendere il mondo più cristiano. E quando Gedda assunse la presidenza della Giac, a Roma, gli si aprirono le porte della carriera associativa. Nel 1936 è già vicepresidente della Giac di Torino e membro del Consiglio superiore dell'associazione.
Nominato vicepresidente della Giac per il Nord Italia - fino a quando il Paese è diviso dalla guerra - fonda circoli giovanili, cerca le persone migliori da formare, anche come futuri dirigenti, e organizza tutta l'attività della stampa associativa con una serie di riviste affinché l'associazione, una volta terminato il conflitto, diventi l'orgoglio nazionale dei giovani cattolici e il punto di riferimento di chi si impegna per la fede.
Finita la guerra, come un fiume in piena fa dell'Azione Cattolica (Ac) la sua attività principale e si dedica a organizzare i giovani di quel critico periodo, offrendo loro ideali e stimoli per un futuro migliore.
L'eco delle sue iniziative giunge a Pio XII che l'11 ottobre 1946 lo chiama a dirigere la Giac per il triennio 1946-1949. Periodo non facile, poiché la Curia romana, preoccupata dall'incalzante avanzata comunista, vedeva l'importanza di un'associazione di giovani militanti, ardenti nella fede e sicuri nelle battaglie civili e politiche. Per questo apprezzava il talento organizzativo di Carretto, e lui, il 12 settembre 1948, per l'80° anniversario della fondazione della Giac, riuniva in piazza San Pietro oltre 300.000 "baschi verdi" - era il distintivo della loro associazione - quale segno forte della presenza cristiana nella società.
Purtroppo, l'incalzante pericolo dell'asse social-comunista, momentaneamente scongiurato con le elezioni dell'aprile 1948, convinse i vertici ecclesiastici e associativi a cambiare quella impostazione, puntando a fare dell'Ac la rete di supporto, anche elettorale, della Democrazia cristiana. Benché Giuseppe Lazzati e i dossettiani raccomandassero la distinzione tra l'azione cattolica e quella politica - una linea condivisa appieno da Carretto e dai suoi collaboratori - prevalse l'orientamento di Gedda, già fautore dei Comitati Civici. Tanto che la posizione di Carretto e del suo gruppo andò divaricandosi sempre più da quella di Gedda e, nelle pagine dei loro giornali, invitavano gli iscritti a una scelta più religiosa:  basata su un'idea di Chiesa che rilanciasse il primato della fede evangelica sul cattolicesimo di facciata.
Nel 1952 il dissidio con Gedda, presidente generale dell'Ac, divenne insanabile a causa della proposta di quest'ultimo di impegnare l'associazione nelle elezioni amministrative di Roma a sostegno di una lista civica, comprendente anche forze di destra. La cosiddetta "operazione Sturzo", fortemente contrastata da Carretto - contrario a qualsiasi strumentalizzazione politica dell'Ac - non andò in porto, anche per l'opposizione di molti rami dell'Ac, ma determinò nel settembre di quell'anno le sue dimissioni. Per Carretto è l'ora del silenzio e dei molti viaggi:  in Siria, Libano, Grecia, India, Pakistan, Egitto, Israele, Palestina, finché non avverte la seconda chiamata:  quella alla vita contemplativa.
Il 4 novembre 1954, dopo aver letto un testo di padre René Voillaume, fondatore nel 1933 dei Piccoli Fratelli di Gesù (comunità ispirata alla spiritualità di Charles de Foucauld), decide di raggiungere il deserto del Sahara e nel diario scrive:  "A 44 anni avvenne la chiamata più seria della mia vita:  la chiamata alla vita contemplativa. Essa si determinò nel più profondo della fede, là dove il buio è assoluto e le forze umane non aiutano più. Questa volta dovevo dire sì senza nulla capire:  "Lascia tutto, e vieni con me nel deserto. Non voglio più la tua azione, voglio la tua preghiera, il tuo amore"".
L'8 dicembre parte da Marsiglia per raggiungere la fraternità di El-Abiodh, un altopiano al limite del deserto sahariano, nell'ovest dell'Algeria, dove lo attende padre Voillaume con una quarantina di novizi. Il giorno di Natale riceve l'abito bianco, simbolo dell'inizio del noviziato, e intraprende una vita fatta di lavoro, umiltà, preghiera e graduale distacco dalle cose del mondo. "Notizie non arrivano mai. Ma in compenso ho attaccato il filo con la centrale del Paradiso e mi sfogo a pregare", racconta nelle sue lettere.
E ancora:  "Ero finito, incapace a trovare acqua, sperduto in un mondo destinato alla consumazione spirituale. Venendo qui mi sono ripreso. E in questi momenti, in cui tocchiamo con mano l'irruenza e la realtà primaverile della Grazia, anche i rami stecchiti rinverdiscono (...) Strano l'effetto che fa entrare in una cappella ad adorare dopo cinque ore di faticaccia nei campi o nel forno. I salmi ti vengono alle labbra con la dolcezza del miele. Tu senti cos'è la giornata terrena, la tenda, la marcia verso la Patria".
Nel deserto Carretto si abbandona completamente a Dio, non ha più mediazioni. Ha scelto di lasciarsi inebriare dal silenzio, dall'idea di assoluto che si respira nelle notti solitarie e stellate, dalla Parola che penetra a fondo, dipanando una matassa rimasta finora arrotolata nel suo capo:  il gomitolo della fede.
Sono lontani i tempi dei raduni oceanici di Ac; gli incontri con giovani e non, che accorrevano in massa ad ascoltarlo; lo studio della teologia classica. Ora c'è solo la radicalità evangelica, che cerca di applicare, e la Bibbia compagna fedele dei giorni e delle notti:  "Mai mi sono sentito così libero, così offerto a Gesù:  corpo, anima, cuore, mente. Tutto. Nessun angolino è chiuso a Lui, sono suo. Nessuna catena mi tiene più. Mi sento bambino e libero".
Incaricato da padre Voillaume di fondare a Marsiglia una Fraternità per accogliere i fratelli provenienti dalle terre di missione, realizza col solito impeto quel progetto e, nell'autunno 1962, scrive:  "L'installazione della nuova fraternità è terminata. Anche questa volta chi ha guidato le cose è il Signore ed è un incanto".
A Natale, riflettendo sulla fedeltà alla volontà di Dio, racconta un incontro con Giovanni xxiii, al ritorno dal lungo soggiorno nel Sahara, quando il Papa gli aveva chiesto:  "Dimmi, prima di andare laggiù in Africa, ci avevi pensato? Era stata una cosa premeditata?". E Carlo:  "No. Dio mi ha chiamato di sorpresa e in pochi giorni decisi l'accettazione di ciò che credevo la sua volontà partendo per l'Africa". Il Papa allora con un sorriso disse:  "Capita sovente così. Si va a finire là ove non si era mai pensato... anche a me è capitata la stessa cosa... non ci avevo mai pensato".
Un'affermazione che si rivelò presto vera. Nel 1963 inizia a scrivere Lettere dal deserto, un piccolo libro in cui narra la sua esperienza di rinascita in una fede essenziale e rinnovata.
La parola chiave per i Piccoli Fratelli è "contemplazione sulle strade del mondo":  una contemplazione attiva e nella povertà. Fratel Carlo lo ha imparato nei dieci anni passati nel deserto, durante i brevi soggiorni in Europa, nel contatto con mondi diversi, e ora si sente pronto alla sfida che gli pone di fronte il padre generale Voillaume:  la fondazione di una Fraternità in Italia.
Entusiasta del nuovo incarico torna a essere il Carretto organizzativo di una volta, quello della Giac, che cerca di stabilire contatti, di trovare appoggi e aiuti, affinché il suo progetto di fede radicale possa trovare una sistemazione concreta. Tra gli amici di vecchia data ritrova Leonello Radi, a suo tempo presidente diocesano della Giac di Foligno, al quale scrive:  "L'idea di trovare un conventino francescano per trasformarlo in "Fraternità" di lavoro mi entusiasma, specie nella tua terra umbra". E Radi non lo delude, individuando Spello, vicino ad Assisi, come il luogo dove porre le basi della Fraternità. Ottenuto il parere positivo del vescovo di Foligno, monsignor Siro Silvestri, il 4 gennaio 1965 Radi contatta il sindaco di Spello, Ermanno Petrucci, comunista e inizialmente diffidente, per chiedergli in affitto il convento abbandonato di San Girolamo. Il sindaco lo concede soltanto dopo aver sentito la risposta di Carretto a questa domanda:  "Perché ha scelto quel luogo?". E Carlo:  "Perché voglio la Chiesa dei poveri, voglio essere vicino alla gente semplice perché è in essa che trovo la vera fede in Dio".
I Piccoli Fratelli del Vangelo - così si chiameranno - aiutati dagli amici e dalla gente del posto intraprendono i lavori necessari a trasformare Spello in una Fraternità capace di accogliere tutti, senza distinzioni di razza, fede, condizioni sociali, sesso. E qui fratel Carlo scrive i suoi libri più belli:  Il deserto nella città; Ho cercato e ho trovato; Al di là delle cose; Ciò che conta è amare; E Dio vide che era cosa buona; Un cammino senza fine; nei quali parla di sé, della sua vocazione, della spiritualità, della ricerca di Dio, del desiderio di preghiera.
Carretto si spegne il 4 ottobre 1988, giorno di san Francesco, nella Fraternità di San Girolamo a Spello, circondato dai Piccoli Fratelli e da quanti, nel tempo, lo avevano conosciuto come dirigente, amico, fratello, grande comunicatore, innamorato della preghiera, sempre disponibile a parlare di Gesù, di Dio, della salvezza eterna.

Fonte: L'Osservatore Romano 04-05 2010




 

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