"QUESTO OTTO MARZO"
RIFLESSIONE di LILIA SEBASTIANI
[Ringraziamo Lilia Sebastiani (per contatti: lilia.sebastiani
at tiscali.it) per questo intervento.
Lilia Sebastiani, laureata in lettere moderne e dottore in
teologia morale, autrice di diversi libri (uno degli ultimi: Svolte: il ruolo
delle donne negli snodi del cammino di Gesu', Cittadella Editrice, Assisi 2008),
svolge attivita' di articolista e conferenziera in materia teologica, con
attenzione particolare ai problemi di etica-spiritualita' biblica e a quelli
concernenti il rapporto tra femminilita' e sfera religiosa]
Nonostante le mie sincere convinzioni femministe, non direi
di aver mai amato particolarmente la "festa della donna": per me si trova solo
un paio di gradini più su, quanto a serietà (sua) e coinvolgimento (mio),
delle varie feste della mamma, del papà, degli innamorati e via
dicendo.
Forse perchè non mi pare che l'espressione "festa" sia
adeguata per una ricorrenza che fa memoria di una tragedia e che vorrebbe
chiederci di diventare consapevoli di tante cose tuttora inaccettabili e non di
rado drammatiche. Parlare di festa si presta a frivolezze, a convivialità e
perfino a galanterie, facilissime anche per il più tradizionalista degli
uomini, tutte cose che deformano il senso della ricorrenza. O servono,
inconsapevolmente, a esorcizzare quanto di potenzialmente critico e scomodo
potrebbe restarvi dentro.
Tuttavia l'8 marzo c'è ancora ed è giusto usarlo per
acquisire e stimolare un supplemento di coscienza in noi e negli altri, in
questa epoca di post-post-femminismo.
Questo otto marzo giunge meno di un mese dopo la grande
manifestazione delle donne in varie città d'Italia, che aveva come slogan "Se
non ora, quando?", un evento promettente anche perchè coinvolgeva un buon
numero di uomini. Anche ammettendo che vi fossero più per trasmettere un
messaggio politico (giusto e urgente comunque) che per sentimenti di autentica
solidarietà con le donne, il segno è importante. Si è parlato molto, in
quella circostanza e non solo, di dignità della donna.
Forse ormai l'idea è abbastanza acquisita da poter essere
dilatata senza perdere specificità.
Io vorrei che in questo otto marzo tutti riconoscessero che
quanto ferisce la dignità delle donne, fosse pure di una donna sola, ferisce
ipso facto anche la dignità degli uomini, di tutto intero il genere umano.
Perchè sappiamo bene che laddove esistono ancora degli oppressi, a qualunque
titolo, l'oppressore non sta affatto meglio dell'oppresso: solo più comodo. Non
sta "meglio", perchè vive all'interno di una realtà alienata. E quanto diciamo
degli oppressori solo per semplificare vale anche per i complici, più o meno
diretti, più o meno consapevoli.
Vorrei che le giovanissime, le quali mostrano spesso una
certa sufficienza quando sentono parlare di questione femminile, perchè
ritengono di non aver mai percepito subordinazione o discriminazione nel loro
vissuto, affinassero le capacità di percezione, di analisi e di solidarietà
anche globale e storica, attraverso tempi e luoghi.
Vorrei che in questo otto marzo si ricordasse pure come nella
chiesa cattolica le donne sono tuttora escluse dal ministero ordinato, e quindi
da ogni funzione di governo e di magistero, unicamente in base alla loro
appartenenza di genere e di nessun'altra variabile personale. Non è l'unica
realtà in cui le donne sono discriminate; ma è l'unica in cui sia bene in
mostra, e anche sacralizzato, il "divieto di accesso"...