"QUESTO OTTO MARZO"
RIFLESSIONE di ASSUNTA SIGNORELLI
[Ringraziamo Assunta Signorelli (per contatti:
assuntasignorelli at libero.it) per questo intervento.
Per un profilo di Assunta Signorelli da un'intervista apparsa
nei "Telegrammi della nonviolenza in cammino" n. 268 riprendiamo la seguente
notizia autobiografica: "Nata nel 1948 sono una femminista basagliana non
pentita e non dissociata con esperienze prima dei vent'anni nei movimenti dei
cattolici del dissenso a Roma e poi del movimento studentesco alla facolta'
universitaria di Medicina, infine dal '72 lunga marcia dentro le istituzioni
totali fondamentalmente a Trieste ma anche in altri luoghi. Ultima (in ordine di
tempo) esperienza significativa: tre anni in Calabria lavoro nell'istituto "Papa
Giovanni XXIII" di Serra d'Aiello (Cosenza) che per mesi nel 2008 ha occupato le
cronache dei giornali, esperienza culminata con uno sgombero forzato delle
persone accolte che mi ha dato la misura di cosa sia la violenza delle
istituzioni del potere contro i deboli. Militanza femminista, di genere, che nel
corso del lavoro si e' espressa con la costituzione del Centro Donna Salute
Mentale che ha operato dal 1990 al 2002, unica esperienza di lavoro
istituzionale di un servizio pubblico con sole operatrici donne e diretto solo
all'utenza femminile con sofferenza psichica dalle forme piu' leggere alle piu'
gravi. Esperienza conclusasi per una forma di violenza sotterranea continuamente
agita e mai esplicitata da parte della direzione del dipartimento di salute
mentale di cui quel servizio faceva parte. Dal 1977 lavoro come dipendente del
servizio sanitario nazionale come psichiatra a tempo pieno, e attualmente sono
la responsabile del Servizio psichiatrico di diagnosi e cura del Dipartimento di
salute mentale di Trieste]
Otto marzo senza mimose, qui al nord ancora non sono fiorite:
e' un inverno rigido e freddo, con tanto vento che sradica alberi e devasta
giardini. Ci saranno quelle di serra che vengono dai paesi caldi, dove la guerra
e l'inquinamento ci mettono del loro per distruggere la natura e costeranno
tanti soldi e non avranno il profumo della natura, ma in fondo credo sia giusto
cosi'.
Pensare ad una festa, sia pure quella della donna, mi e'
difficile, quasi impossibile: ho cercato di condividere con le compagne (mi
piace continuare ad usare questo nome anche se ha un sapore diverso rispetto al
passato e, soprattutto, per me un'altra geografia: quella della condivisione,
cosi' come segnala il suo etimo, del pane e della fatica quotidiana che facciamo
per contrastare i soprusi e la deriva dei "senza") l'impegno e l'entusiasmo
nell'organizzare eventi, ma facevo
fatica finche' una caduta provvidenziale (complice la bora triestina) mi ha
bloccato a casa.
Sento un senso d'estraneita' forte e la parola mi richiama un
otto marzo di tanti anni fa, era il 1994, e in tante, alcune in fuga dalla
guerra della ex Jugoslavia, ci trovammo insieme per far festa e discutere fra
noi.
Estranee alla guerra cittadine di pace, era la nostra parola
d'ordine, parola d'ordine che stento a ritrovare, in primis dentro di me. La
deriva del nostro paese, sempre piu' attorcigliato su se stesso e sulle odiose
beghe di palazzo, ha creato una sorta di vuoto pneumatico nel quale ogni azione,
ogni iniziativa perde il proprio senso e diventa uguale al suo
contrario.
Pessimismo della ragione, forse, ma e' difficile ritrovare un
ottimismo della volonta'!
So che e' necessario, che in fondo il potere questo vuole e
per questo da anni lavora. Ma come rispondere senza cadere nella trappola
dell'indistinto e dell'in/differenza?
Su questo mi piacerebbe riflettere, ritrovare con le altre
donne quell'estraneita' alla guerra che nasce dalla capacita' naturale del
genere di dare vita e di accogliere tutto cio' che e' vitale mantenendo intatta
la propria singolarita' individuale senza creare barriere o steccati.
Estraneita' che non e' mai negazione del conflitto ma
assunzione di questo come fatto necessario per non uccidere niente e nessuno,
soprattutto l'altro, altra da te.
Mi piacerebbe un otto marzo che non nomini berlusconi e i
suoi sodali, che non parli di partiti, che incominci a ribaltare la parola
dell'oppressore ("questa e' la lingua dell'oppressore, ma ho bisogno di
parlarti", scriveva Adrienne Rich) che ci trascina su un terreno che non ci
appartiene.
Un otto marzo davvero per tutte le donne, con gli uomini, per
una volta, in silenzio, quel silenzio che il rispetto dell'altro, altra da te
impone quando quest'altra parla di se' e della propria esperienza che non ti
appartiene e che solo l'ascolto silenzioso puo' permetterti di
comprendere.
Un otto marzo che veda le donne insieme per affermare il
diritto all'autodeterminazione sempre, al protagonismo nel pubblico e nel
privato senza condizionamenti o distinguo di circostanza.
Un otto marzo che dica che amare non significa annullarsi o
farsi da parte ma proposta di se' e delle proprie modalita'
d'esistenza.
Un otto marzo che affermi che le donne sono "Disponibili
sempre, mai a disposizione".
Un otto marzo che dica che il diritto d'esistere come
individualita' singolari, con bisogni, desideri ed attitudini personali, e' un
diritto che non si baratta.
Un otto marzo che sancisca che le donne sono portatrici
d'identita' molteplici e che quella della prostituta e', semplicemente,
un'identita' parziale che molte e molti portano dentro come desiderio di
riappropriazione di quelle parti di se' superflue per l'espressione dello
spirito, come riconoscimento d'appartenenza al mondo della carne e
consapevolezza che essere oggetto per l'altro, in un mondo capace di
reciprocita' e mutuo rispetto, puo' essere fonte non solo di piacere ma anche di
potere.
Un otto marzo per gridare che per le donne non esistono
confini o barriere che non siano quelle dei corpi, della fisicita' concreta di
ciascuno che non puo', non deve essere mai violata.
Nostalgie e tristi pensieri di una donna ormai al tramonto,
che nel giro di circa vent'anni ha visto sgretolarsi solidarieta', etica del
fare e conquiste frutto d'anni d'impegno e fatica?
Voglio credere che sia cosi'; per questo alla fine,
nonostante tutto, saro' con le altre in piazza per ritrovare un terreno comune,
per riconnettere i fili di una rete che se non deve smagliarsi non puo', per
tale motivo, soffocare nessuna costringendola a negare parti di se'.
"Noi giungiamo in questo spazio attraverso la sofferenza, il
dolore e la lotta... La nostra trasformazione, individuale e collettiva, avviene
attraverso la costruzione di uno spazio creativo radicale, capace di affermare
la nostra soggettivita', di assegnarci una posizione nuova da cui poter
articolare il nostro senso del mondo" (bell hooks, Elogio del
margine).