"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"  - 

 

Riflessione pubblicata su HOREB numero 44 – 2/2006 "Il Dio della vita".

 DIO GREMBO DI VITA*

di Alberto Neglia

All’inizio del cammino di fede di ogni credente c’è l’iniziativa di Dio. È lui che raggiunge ogni uomo, lo chiama e lo coinvolge a respirare con il suo respiro, a diventare, in Cristo Gesù, figlio e ad esprimere nel frammento della propria carne la bellezza del suo volto e dei suoi gesti.

Questa è la vocazione dell’uomo. Ma ogni uomo, seppure chiamato, fa l’esperienza del peccato. Si nega, cioè, a questa prospettiva e cede, o per debolezza o per ignoranza o per consapevole scelta, a un progetto alternativo e contrastante il progetto di Dio.

Questa è l’esperienza dei mortali, Giovanni nella sua prima lettera (1,8-9) ci ricorda: «Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se riconosciamo i nostri peccati, egli che è fedele e giusto ci perdonerà i peccati e ci purificherà da ogni colpa».

 

“Il mio peccato mi sta sempre dinanzi”

E il racconto biblico, sia dell’AT che del NT, non getta un velo, su questo aspetto fallimentare, della vita del popolo eletto nella sua identità comunitaria, e dei singoli personaggi biblici che ci presenta, come scelti da Dio per una missione particolare.

Davide, per esempio, ne fa amara esperienza. Egli si avverte un tutt’uno col peccato: «il mio peccato mi sta sempre dinanzi – confessa – […] Ecco, nella colpa sono stato generato, nel peccato mi ha concepito mia madre» (Sal 51, 5. 7). Il salmista constata che il peccato, dilagando anche nel corpo di chi lo commette, lo devasta. Il peccato è una presenza sotterranea che decompone, come un cadavere, la persona che l’ha commesso. Nel Sal 32,3-4 il peccatore grida: «Tacevo e si logoravano le mie ossa… come per arsura d’estate inaridiva il mio vigore». Le ossa sono la sintesi dell’intero organismo umano. Esse si sfaldano, si logorano, si consumano. » la devastazione del peccato che dilaga nella persona e intacca tutto l’organismo, anche la parte più solida, le ossa, e provoca anche l’inaridimento interiore. Il peccato è sindrome di morte.

Anche Pietro, quasi a sintesi di tutta la sua esperienza fallimentare, grida a Gesù: «allontanati da me che sono peccatore» (Lc 5,8).

 

La “misericordia” forza rigeneratrice

L’uomo sa e sperimenta che da questa situazione di decomposizione non si può tornare indietro ed uscire da solo.

Lo stesso Davide si sente prigioniero e soggiogato dalla signoria del peccato. Egli è consapevole che solo l’azione creatrice di Dio può ridare vitalità e movimento alle sue ossa aride (cf Ez 37,1-14), per questo fa appello alla misericordia di Dio, invocando: «Sii benigno con me, o Dio, secondo la tua fedeltà/tenerezza (chesed); nella tua grande misericordia (rachamim) cancella il mio peccato». (Sal 51,1)

Dall’oscurità del suo peccato, Davide intravede nella misericordia di Dio un raggio di luce che lo può tirare fuori da una situazione di morte e lo può far rinascere e riconsegnare alla vita come creatura nuova, perché la misericordia di Dio è più forte della potenza del peccato.

Cosa è questa misericordia di Dio?

La misericordia di Dio non è melensa, quella che cerca di tirar fuori dai problemi della vita, è una misericordia viva e attiva. È la misericordia di colui che prende sul serio la nostra situazione. Misericordia traduce le parole ebraiche: chesed e rachamim, che abbiamo incontrato nell’invocazione del salmo 51.

Rachamim è il plurale di rechem che designa il grembo materno in cui il bambino viene formato e portato, prima della nascita. Indica, quindi lo spazio fatto in sè alla vita dell’altro, spazio di comunione profonda di con-sentire, di com-patire, di con-gioire. Ma indica anche l’amore paterno verso il figlio, il legame tra fratelli, designa, dunque sempre un rapporto che non può venir meno, forte come il legame viscerale e di sangue. La misericordia è dunque la più radicale protesta contro l’indifferenza, il solipsismo, il rifiuto dell’altro. La misericordia è mistero di comunione, dinamica di condivisione e forza di generazione. E di ri-generazione, di re-immissione nella vita, nella relazione di alterità, nei confronti di chi da tale relazione si era allontanato. [Cf E. Bianchi , Editoriale, in Parole spirito e vita 29  (1994/1) pp. 3-5]  

Il Dio misericordioso è un Dio materno che ti pone nel suo utero e ti fa uomo nuovo, ti cambia. Dio distrugge e ricrea. Non ci lascia come siamo, brandelli di umanità. Ci converte, questa è la sua forza.

Chesed è un termine che si può tradurre: grazia, amore, benevolenza, misericordia. Ha una pregnanza di significati indescrivibile. Nella tradizione rabbinica, un midrash paragona il trono della gloria a una sedia zoppicante perché aveva una gamba più corta delle altre. Con che cosa la si rialza? Con un sassolino! Tale Ë lo chesed la grazia, la misericordia, la compassione: sassolino, realtà piccolissima, che però fa stare in equilibrio il mondo.

Lo hesed indica l’atteggiamento tipico di Dio verso il suo popolo, che comporta lealtà, affidabilità, fedeltà, bontà, tenerezza, costanza nell’attenzione e nell’amore.

L’esegesi rabbinica tradizionale collega il nome Elohim con l’aspetto della giustizia di Dio, e JHWH con la sua misericordia. Nella teofania di Es 34,6, Dio passa davanti a Mosè proclamando: «JHWH, JHWH, Dio di misericordia e di grazia, lento all’ira e ricco di amore e fedeltà».

Alla teofania fa eco, nella preghiera, il pio israelita che della misericordia di Dio fa quotidianamente esperienza: «Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore», (salmo 103, 8). Proprio per questo il salmista rassicura colui che prega: «Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue malattie; salva dalla fossa la tua vita, ti corona di grazia e di misericordia; egli sazia di beni i tuoi giorni e tu rinnovi come aquila la tua giovinezza» (Salmo 103, 3-5)

Questa divina prodigalità-benvolenza si riflette su tutto il creato e su tutta la storia.

Questa misericordia, amore, compassione, grazia è il grembo che ricrea l’uomo e lo rende nuovo. Dio è un bacio: ti risucchia nel suo grembo, ti introduce nella terra promessa e ti dà un respiro nuovo.

 

Siate misericordiosi

Gesù con il suo vissuto rende umano e palpabile il volto misericordioso del Padre. Più volte gli evangelisti registrano che Gesù “si commuove”. Non si tratta di un riflesso emozionale che essi ci vogliono descrivere, ma il termine sta ad indicare l’atteggiamento di misericordia cosÏ come l’abbiamo appena descritto. Nel vangelo di Luca (cap. 15), poi, Gesù soprattutto attraverso la parabola del padre misericordioso vuole consegnarci il volto di Dio che “commosso” corre incontro al figlio, lo abbraccia, lo bacia (gli dona il suo respiro) e gli ridona il “vestito bello”, la dignità di figlio amato che aveva prima di abbandonare la casa. (cf Lc 15,20-22). Proprio perché il Padre è cosÏ, Gesù si sente autorizzato ad accogliere tutti i pubblicani e i peccatori e di mangiare con loro (cf Lc 15,1-2), purché desidera, come il Padre, che nessuno si perda. (cf Mt 18,14).

Nella stessa parabola Gesù evidenzia il desiderio del Padre che anche il figlio maggiore, se è stato in casa ed ha conosciuto il suo cuore, faccia sua la misericordia del padre accogliendo il fratello e facendo festa «perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita» (cf Lc 15, 25-32).

L’invito ad essere creativi nell’amore, questo è il senso della misericordia, Gesù lo fa in modo esplicito sempre nel vangelo di Luca (6,36).

Siamo nel contesto delle beatitudini.

In Lc 6,12 ci troviamo di fronte a una specie di veglia di preghiera. I giorni di Gesù sono segnati dalla notte, e Gesù buca le tenebre vegliando nella preghiera. La chiesa nasce da questa preghiera, nella notte, di Gesù. A conclusione della veglia nella notte, Gesù designa i Dodici come apostoli del regno e, sceso assieme ad essi dal monte, consegna ad essi e ai discepoli il volto del Padre, la nuova Torah.

Dopo aver proclamato (Lc 6,20-26) le quattro beatitudini e le quattro “lamentazioni”, che aprono un grande spazio di libertà, Gesù invita “quelli che lo ascoltano”(Lc 6,27), a lasciare che nei loro gesti umani si esprima la stessa misericordia di Dio, cosÏ come si manifesta nel volto di Gesù stesso.

Tutta la proposta di relazioni nuove, creative, qui espressa, certamente scaturisce, trova la sua radice nell’invito di Gesù: «Siate misericordiosi, come Ë misericordioso il Padre vostro» (Lc 6,36) Tale misericordia diventa presenza che rende nuova la vita, a chi ad essa si fa docile.

Il discorso non è moralistico. Ci dice come è Dio, come si fa presente e agisce nella storia, e come vuole ancora farsi presente nel frammento della nostra carne.

L’invito di Gesù è esplicito e chiaro: «Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro» (6,36). Il testo dice (ginesthe) diventate, mettendo in evidenza che si tratta di un cammino, c’è un dinamismo in cui l’uomo si lascia conformare al Padre misericordioso.

Il credente che fa quotidianamente, malgrado il suo peccato, l’esperienza di essere fatto nuovo nel grembo di Dio, è coinvolto a diventare anche lui grembo portatore di per-dono, di relazioni che riflettono la gratuità di Dio, di vita nuova. Egli è coinvolto in Gesù a vivere la stessa passione e fedeltà/tenerezza di Dio.

Da qui l’invito esplicito, ripetuto due volte a forma di inclusione tematica: «Ma a voi che mi ascoltate io dico: amate i vostri nemici» (Lc 6,27. 35). Qui Luca usa il verbo agapaÔ, è il verbo che esprime il vissuto di Dio che è agape. Essere coinvolti nell’amore di Dio, essere riportati nel suo grembo per rinascere come uomini che riflettono la sua misericordia non è facile. È un lungo travaglio di sofferenza e di pazienza: è come un parto che ci fa urlare (come il bambino quando esce dal grembo materno), ma che ci fa respirare un’aria nuova. Si tratta di un mistero, di una realtà che va al di là di tutto ciò che ha a che fare con le nostre doti naturali. Nell’amore per i nemici ci è chiesto di proporre instancabilmente, anzi di vivere già la reciprocità con coloro che rifiutano ogni relazione. Siamo posti di fronte al paradosso, allo “scandalo”, alla “follia”, come dice Paolo (1Cor 1,23), e solo chi si lascia guarire nel cuore, chi, nel grembo di Dio, muore all’ossatura adamitica e si lascia abitare dall’ossatura cristica è in grado di accogliere questo linguaggio e di dargli concreta visibilità con la sua stessa vita. Perchè questa è la proposta Gesù, espressa nella stessa pagina evangelica, anche se la traduzione oscura un po’ questo profondo significato.

Il brano evangelico (Lc 6,27-31), infatti, dopo averci ricordato che l’amore ai nemici non è un sentimento platonico, ma si esplicita attraverso le mani (fate del bene), la bocca (benedite), e raggiunge il cuore, luogo delle decisioni e delle scelte (pregate), insomma, dopo averci ricordato che l’amore ai nemici coinvolge tutto l’uomo, evidenzia che questo amore è trasparenza della misericordia di Dio che ci abita e che ci rende capaci di gesti nuovi.

Segue, infatti, in Lc 6,32-34, una serie di: «se amate /se fate… che merito ne avrete!».

Ripeto, va rivista la traduzione perché, come suona, risente di una certa ideologia meritocratica che il testo originale non ha. La traduzione dovrebbe essere: «Se amate quelli che vi amano, quale in voi grazia è?». È come se dicesse: quale grazia (bellezza, amabilità, fascino, gioia, diletto), misericordia, amore, traspare, si manifesta nella vostra vita? Da chi siete abitati e quale presenza affiora dai vostri gesti?

E subito, in Lc 6,35, viene ribadito: amate i vostri nemici… «e la vostra ricompensa sarà grande, e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi». La nostra grazia / ricompensa, allora, non è la coscienza orgogliosa, soddisfatta, ma diventare “figlio” che riflette il volto del Padre, diventa trasparenza del Padre.

Lasciando emergere l’immagine del Figlio nel nostro volto, veniamo immersi nella carne crocifissa di Gesù, misericordia del Padre, ove è assorbita e scaricata ogni ostilità, e inimicizia che contrappone le potenze del cosmo, che separa popolo da popolo e creatura da creatura, fino a spaccare spesso il singolo uomo nella sua identità interiore.

Se diamo spessore alla misericordia del Padre nella nostra vita, essa scardina la corazza, che ci diamo nel confronto con la vita, e ci dà un respiro nuovo. Scardina l’inimicizia e ci pone di fronte all’altro non in una logica di morte, ma con atteggiamento creativo, grembo di vita per l’altro.

 

Dalla “misericordia” il futuro del mondo

Questo comando di Gesù: Siate misericordiosi…, non può essere eluso da parte della comunità credente e del singolo cristiano. Di fronte ai tanti esempi, che abbiamo davanti agli occhi, del peccato di empietà, cioè di assenza di pietas, di assenza di compassione, anzi di vero e proprio odio nei confronti dell’altro, del diverso, per noi cristiani, l’annuncio del Dio misericordioso, che ci coinvolge ad essere misericordiosi nel Figlio suo Gesù Cristo, è determinante ai fini del futuro del nostro mondo.

In radice, La misericordia di Dio Ë l’unica cosa di cui abbiamo veramente bisogno. La Chiesa ha la responsabilità di narrare agli uomini nei suoi gesti e nelle sue parole, la misericordia di Dio. Sono profondamente convinto che essa si gioca la sua fedeltà al Signore e misura la capacità di testimoniare il Vangelo e di rispondere ai drammi della storia nella compagnia degli uomini in una radicale prassi di accoglienza nella misericordia.

È determinante che questa testimonianza venga declinata non solo a livello individuale ma anche comunitario e nei rapporti tra i popoli. In un contesto in cui l’unico sistema di governabilità del pianeta è l’economia di mercato globalizzata, un neoliberismo “senza se e senza ma”, dove tutto è merce e dove le grandi decisioni vengono prese dai Paesi che “contano”, è urgente globalizzare la misericordia e la solidarietà. È urgente che il Nord ricco del mondo non continui a soffocare i popoli poveri del Sud del mondo, ma si educhi a diventare grembo che si dilata non per continuare a invadere e rapinare, ma per consentire all’altro (al resto del mondo) di essere presente e di venire alla luce del sole per sedere, con pari dignità, al banchetto della vita.

Il grembo di misericordia, ha la vitalità di guarire noi dall’alienazione, provocata bisogni indotti e dal consumismo selvaggio, e di guarire il fratello che viene dal Sud del mondo, che spesso guardiamo come un intruso e un nemico, dall’alienazione drammatica, provocata dalla miseria.

Il salmo 136, il grande Hallel,  è una litania, l'unità è data dal ripetersi del ritornello: perché eterna è la sua misericordia / grazia.

Il termine eterno ('olam) ha sia il valore temporale di "eternità", sia quello spaziale, abbraccia, cioè, tutto il mondo. Quindi il ritornello del salmo 136 può esser reso con “rendete grazie al Signore perché è buono, perché eterna è la sua misericordia”; ma anche “perchè la sua grazia/misericordia è per il mondo”.

Si tratta davvero, dunque, di costruire "un mondo di grazia/misericordia", vale a dire un mondo edificato sulla grazia, un mondo che ha la sua pietra di fondazione sulla grazia/misericordia: tale almeno è il progetto divino.

Dicevo prima che un midrash paragona il trono della gloria di Dio a una sedia zoppicante perché aveva una gamba più corta delle altre. Con che cosa la si rialza? Con un sassolino (lo chesed)! Tale è la grazia/misericordia: sassolino, realtà piccolissima, che però fa stare in equilibrio il mondo. Ebbene, generati da un grembo di grazia/misericordia, siamo tutti coinvolti ad apportare il nostro sassolino, il nostro chesed in modo che, sassolino dopo sassolino, ognuno apportando il suo, si costruirà finalmente un mondo fondato sulla grazia/misericordia, un mondo che rispecchi “l’equilibrio” di Dio.

                                                                                         Alberto Neglia

Fraternità Carmelitana

98051 Pozzo di Gotto (ME)

 

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