"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"  -  Sezione "SPIRITUALITA' E FEDE"



  

Riflessione pubblicata su HOREB numero 52 – 1/2009.

                                      "Come forestieri e pellegrini nella storia. La laicità della vita cristiana" 


DISCERNERE DA CRISTIANI ADULTI *

di Alberto Neglia

 

«Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (Rm 12,2)

Viene il momento, nella vita di ognuno di noi, in cui siamo chiamati a prendere delle decisioni. Quando questo accade, facciamo tutti l’esperienza di come sia difficile scegliere e decidere di imboccare una strada piuttosto che un’altra, anche se abbiamo un’età avanzata. Questo avviene perché non siamo stati educati ad affrontare la vita e ad assumerci la responsabilità delle scelte. Altri lo hanno fatto per noi: genitori, educatori, confessori, e, nel sociale, spesso si è condizionati da  una logica clientelare. Di conseguenza, anche in persone adulte spesso permangono forme di dipendenza e atteggiamenti infantili. Anche nell’ambito ecclesiale, rimane preminente la figura del prete che a volte assume ruoli artificiosi, dando l’impressione che senza di lui non si possa fare niente, non si possa decidere, e i fedeli rimangono eterni minorenni!

So bene che non è facile scegliere, ma questo non ci autorizza a delegare agli altri le nostre scelte per paura di sbagliare o — perché no? — per una dose di pigrizia che alberga in noi.

 

La maturità umana e cristiana: la libertà dei figli di Dio

 

Le decisioni dovrebbero essere frutto di un discernimento, ma discernere non è un’arte che si improvvisa: la capacità di discernere cresce nella misura in cui si matura umanamente e nella fede, nell’uomo interiore.

La maturità umana, ovviamente, non si misura col numero degli anni, ma suppone la capacità di integrare armonicamente tutte le componenti della vita, la capacità di far fronte alle esigenze interne ed esterne mediante una risposta personale e una capacità che consente all’uomo di agire autonomamente in libertà, motivato da alcuni valori fondamentali da lui assimilati.

La maturità cristiana, suppone quella umana, è dono che viene dall'alto, ma è anche frutto di un cammino educativo che conosce un'intensa vita liturgica, l'assimilazione progressiva della Parola di Dio e degli atteggiamenti evangelici, la preghiera personale, ma anche l'impatto con la storia e l'apertura alle sue interpellanze. Questo iter educativo aiuta il credente ad avere una più ricca e consapevole conoscenza di sé, una profonda armonia personale, e una attitudine a saper fare dono di sé nell'amore.

È maturo nella fede chi, in modo consapevole, è consegnato allo Spirito del Risorto. Egli dallo stesso Spirito è reso «pasta nuova» (1Cor 5,7), «creatura nuova» (2Cor 5,17), figlio nel Figlio, vive quindi la situazione gioiosa, creativa, propria della libertà dei figli di Dio.

Questa gioiosa libertà che caratterizza chi è maturo umanamente e cristianamente, proprio perché è un dono che viene dall’alto, da colui che è pura relazione e trasparenza, non è esperienza che isola e chiude l’uomo a coltivare solo i suoi interessi, ma apre in lui l’attitudine alla solidarietà e alla reciprocità, per cui cresce in lui la capacità di farsi responsabile degli altri e il desiderio di suscitare libertà negli altri.

 
Il discernimento come esperienza di creatività

 

L’esperienza di discernimento, suppone una certa maturità e libertà interiore, ma si pone, anche, come spazio in cui la persona prende coscienza della propria libertà e la esercita. Il discernimento, quindi, è esperienza di creatività. Sottolinea I. M. Rupnik: «Nel discernimento l’uomo sperimenta la sua identità come creatore della propria persona. In questo senso, è l’arte in cui l’uomo dischiude se stesso nella creatività della storia e crea la storia creando se stesso»  [1]  

Il discernimento spirituale, infatti, è l'analisi, compiuta nella fede, di mozioni interiori, di situazioni, circostanze e persone in vista di decisioni corrispondenti al bene, alla volontà di Dio, o ai criteri del Vangelo. È un’esperienza in cui è possibile sottrarsi ai facili abbagli della vita e stare nella storia ad occhi aperti.

L'uomo quando agisce, infatti, è, per natura, mosso dal desiderio profondo di una promessa di felicità che lo alletta. Ciò che più sente dentro e lo attira, lo sappia o no, lo determina. Allora è importante sapere che il sentire può avere tre fonti diverse: il suo io naturale, Dio e il nemico. Ovviamente ciascuno lo attira nella propria direzione.

Il sentire naturale viene dall'indole e dalla cultura, e apre una persona a tutto campo sulla realtà.

Dio può farsi sentire direttamente, senza mediazioni, oppure indirettamente, mediante un suo messaggero (angelo) che suscita desideri che portano a vivere la sua libertà.

Il nemico, mediante immagini e desideri, affascina, seduce, ma poi riduce a schiavitù, stritola e provoca la morte. La mitologia antica ha cristallizzato questa seduzione del nemico nella figura delle sirene: favolose creature, per metà animali e per metà umane che vivevano in un’isola. Abili nel canto e nella musica, chiunque avesse avuto la sventura di udire le loro soavi e incantevoli melodie non poteva fare a meno di raggiungerle e, affascinato, perdeva il controllo della nave, finendo miseramente contro gli scogli, l’incanto si trasformava in sciagura: le sirene divoravano senza pietà gli sventurati marinai.

Imparare a discernere da dove partono e dove portano i sentimenti, le seduzioni allettanti è indispensabile perché l'azione sia il più possibile cosciente e libera, umana [2].

 

La proposta evangelica

Proprio per questo, Gesù, ha invitato i discepoli, ma sollecita anche noi a saper fare discernimento.

Il testo più esplicito lo troviamo in Lc 12,54-57: «Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: Viene la pioggia, e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: Ci sarà caldo, e così accade. Ipocriti! Sapete giudicare (dokimazein) l'aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo (ton kairòn) non sapete giudicarlo (dokimazein)? E perché non giudicate (krìnete) da voi stessi ciò che è giusto?». Qui il discernimento è indicato con il verbo dokimazo [3] (discernere, valutare in vista di un giudizio, di una scelta) e dal verbo krino [4] (giudicare). Il discernimento suppone un vedere (ìdete), ma deve trattarsi di un vedere che sa comprendere (ondate: v. 56), capace, cioè, di andare oltre le apparenze immediate e in grado di orientarsi nella complessità delle cose.

Discernere è scandagliare, è penetrare con lo sguardo attraverso la superficie. È come “scrutare gli abissi”. Noi vediamo la superficie della terra, ma non le sue fondamenta (Ger 31,37). Vediamo il fronte della foresta ma non riusciamo a discernere ciò che sta dietro (Ger 46,23) [5].

Discernere nello spirito è come “scrutare gli abissi”, l’abisso del mistero di Dio, del cuore umano, ma anche dei meandri della storia.

Questo significa che il discernimento richiede non solo capacità intellettuali, ma anche la luce

dello Spirito.

 

Artefici del discernimento: lo Spirito Santo e l'uomo

 

L’uomo da solo non è in grado di “scrutare gli abissi”. È la presenza dello Spirito che apre la mente dell’uomo ad una intelligenza altra della vita. Lo Spirito Santo, quindi, è l'artefice principale del discernimento. Lo Spirito, principio dinamico della vita cristiana, come ci ricorda Paolo (Rm 8), è anche colui che abitando nel cuore dell'uomo lo libera dalle varie schiavitù, e conferisce all’uomo qualità morali, come la limpidezza, la sincerità interiore, l'assenza di finzioni e di interessati raggiri, ed opera quella purificazione che è condizione necessaria per poter discernere rettamente (Rm 12,1-2).

L'artefice principale è lo Spirito Santo, ma vi è coinvolto l'uomo, tutto l'uomo, nelle sue attitudini di  percepire, conoscere, comprendere, analizzare, scegliere, volere, amare, ecc.

Vi è coinvolto l’uomo con la sua capacità di ricordare i dati della storia, ma anche della vita presente e di coglierne la complessità e l’ambivalenza. In questa fase si tratta di accorgersi, di avere sensibilità per i dati storici, per le circostanze concrete, ma anche per i dati interiori, come le mozioni spirituali, le consolazioni e le desolazioni che si suscitano nel nostro spirito.

Vi è coinvolto l’uomo con la sua capacità di interpretare i dati raccolti dalla memoria.

È il momento del discernimento spirituale propriamente e strettamente detto. L'intelletto interviene con una molteplicità di atti: cerca di comprendere i dati raccolti, li ordina li passa al vaglio valutando e giudicando tutto attentamente attraverso un paziente lavorio e alla luce dello Spirito, della Parola e dei segni dei tempi. Infine ipotizza diverse soluzioni possibili, le sottopone ad analisi e le valuta alla luce della ragione e della fede, per arrivare a trovare il punto di integrazione tra i motivi della fede, della ragione e della concreta situazione storica in cui va incarnata la decisione.

Questa è il momento più delicato del discernimento, per questo deve essere vissuto in clima di preghiera e di riflessione intensa. Il discernimento è educazione a diventare contemplativi!

Vi è coinvolto l’uomo con la sua capacità di scegliere e di decidersi, in libertà, per il progetto di Dio in questa storia concreta. È, quindi, il momento in cui si riesce ad integrare la propria storia particolare nella storia universale della salvezza; è il momento in cui la parola di Dio viene interiorizzata dall'uomo e fatta propria senza impoverirla; è il momento della divinizzazione della libertà dell'uomo che arriva ad attuare la propria vocazione e a trovare il proprio posto nel piano della salvezza [6]. 

Ogni forma di discernimento è dunque di per sé atto di obbedienza allo Spirito e insieme di pieno esercizio della libertà personale come risposta alle sollecitazioni provenienti dall'alto.

Sottrarsi a questa obbedienza allo Spirito è una cecità responsabile e colpevole, una sorta di ipocrisia.

 

Necessità del discernimento oggi

 

La comunità credente ha sempre sentito il bisogno di discernere e ha cercato di non sottrarsi a questa obbedienza allo Spirito. E lo ha fatto, sia perché ha avuto consapevolezza dell'ambiguità della storia: l'azione di Dio nella creazione e nella storia non appare mai divina, ma sempre creata, e quindi velata e a volte deformata nelle sue manifestazioni umane; sia perché ha dovuto affrontare situazioni insensate e ingiuste che tuttavia ha cercato di vivere in modo positivo e salvifico con decisioni consapevoli.

Questa necessità di discernimento veniva sottolineata dal Vaticano II: «È dovere di tutto il popolo di Dio, soprattutto dei pastori e dei teologi, con l'aiuto dello Spirito santo, di ascoltare attentamente, discernere e interpretare i vari linguaggi del nostro tempo, e di saperli giudicare alla luce della parola di Dio, perché la verità rivelata sia capita sempre più a fondo, sia meglio compresa e possa venire presentata in forma più adatta» (GS 44). Il suggerimento del testo conciliare, espresso con i verbi: "ascoltare, discernere, interpretare, saper giudicare e poi capire, comprendere, presentare", che enucleano il dinamismo del discernimento credo che oggi vada preso in seria considerazione se vogliamo che il nostro agire sia umano: cosciente e voluto, libero e responsabile, capace di imprimere un orientamento di fondo alla vita ecclesiale e alla storia di questo nostro mondo, sottraendoci al fascino seducente delle sirene di turno.

 

Nelle comunità ecclesiali

 

È urgente discernere dentro la chiesa dove si ha l’impressione che vi sia un tentativo di soffocare la ventata dello Spirito impressa ad essa con l’evento del Concilio Vaticano secondo. Si tenta di ridimensionare la vocazione profetica, sacerdotale e regale di tutto il popolo di Dio e di affermare un pensiero unico, espresso da una parte della gerarchia, che a volte dà l’impressione di dimenticare lo stile evangelico e di volersi proporre come una lobby che si contrappone ad altre forme di potere.

Siamo consapevoli che, all'interno della chiesa, una forma di discernimento è propria di chi ha il compito di presiedere alla comunione. A chi ha questo compito, in particolare al papa e ai vescovi, è donato il carisma e la missione di autenticare il processo di crescita nella fede della comunità. Questo ministero, però, in una ecclesiologia di comunione, non può essere pensato come una realtà che sta sopra o fuori della comunità, ma come una realtà che sta "dentro", e che opera in stretto rapporto con tutti gli altri membri, valorizzando i carismi di ciascuno e sollecitando la responsabilità comune. In questo orizzonte, come scrive G. Piana, «Il discernimento dottrinale e pastorale del magistero diviene efficace nella misura in cui è la risultante di una ricerca allargata, rispettosa delle esperienze di tutti [...] e attenta alle competenze specifiche di chi è nella condizione di fornire elementi preziosi di analisi della realtà da cui partire per individuare soluzioni adeguate. L'azione dello Spirito che si fa sentire sull'intera chiesa comporta che l'opera di autenticazione della verità propria della gerarchia avvenga mediante un processo comunitario, in cui ciascuno porti il proprio contributo. [...] Le prese di posizione dall'alto, al di fuori di un contesto dialogico e di reciproco confronto, oltre a rivelarsi improduttive, rappresentano una sorta di infedeltà allo Spirito, la cui presenza diffusa deve essere ascoltata. Non si tratta di misconoscere l'essenziale funzione del ministero gerarchico, il quale agisce in virtù di un carisma proprio e insostituibile; si tratta più semplicemente di esigere che la concreta messa in atto di tale funzione rispetti pienamente l'indole comunitaria della chiesa» [7].

 

Nelle vicende della storia

 

È necessario ed urgente stare, da uomini maturi e responsabili, con gli occhi aperti nella storia per leggerne in profondità gli avvenimenti belli e propositivi, ma anche le strategie politiche, sociali, economiche che a volte privilegiano alcuni e creano sacche di miseria per molti. Ci potrà capitare di constatare che queste strategie, a volte, siano proposte da uomini e da donne che fanno un uso strumentale del Vangelo. Non è improbabile, infatti, trovarsi davanti ad “atei devoti” che mentre difendono le radici cristiane, per tutelare interessi e privilegi di parte, di fatto manifestano atteggiamenti razzisti. Questo animo razzista, le sirene di turno lo esprimono attraverso un canto suadente che modulato con varie dizioni e attraverso vari mezzi di comunicazione trova poi la sintesi affascinante nel termine sicurezza. A partire da questa esigenza di sicurezza, che criminalizza soprattutto gli stranieri, si stanno attivando strategie di morte declinate con proposte di legge che vanno dal reato di clandestinità alle impronte dei bambini rom, dalla emergenza immigrati, all’invito rivolto ai medici a segnalare gli immigrati irregolari, dalla trasformazione dei centri di identificazione in vere e proprie carceri alle ronde cittadine. Di fronte a questa tendenza che trova sempre più adesione nel nostro ambiente è urgente fermarsi per scrutare questa nostra storia e per capire verso dove vogliamo andare. Condividiamo la preoccupazione del vescovo di Alba, Sebastiano Dho che così si esprime: «Siamo convinti che, tenendo conto della larga adesione anche nelle nostre terre a forze politiche e sociali ispirate a teorie razziste e xenofobe, un serio esame di coscienza s’imponga urgentemente per le comunità cristiane, poiché qui si tratta di veri valori “non negoziabili” (la dignità della persona e la vita stessa!), e che occorra ricordare a tutti, smascherando ogni ipocrisia o illusione, ciò che ha scritto in tempi drammatici ed eroici il grande martire vittima del nazismo D. Bonhoeffer: “Chi non grida a difesa degli ebrei non può cantare in gregoriano!”»[8].

Non è il momento, questo, in cui da cristiani maturi e responsabili apriamo gli occhi per prendere le distanze dalle sirene di turno e per aprire una rotta diversa a questa nostra storia? E viene spontaneo chiedersi: come sottrarsi alle seducenti melodie delle sirene?

 

Aggrappati all’albero della croce

 

Ci racconta, sempre Omero, che Ulisse per non cedere al canto delle sirene, ordinò ai suoi compagni di viaggio di turarsi le orecchie con la cera in modo da non sentirne il canto ammaliante, mentre, lui rimase con le orecchie aperte, però si fece legare strettamente all’albero maestro della nave. Così egli poté ascoltare le sirene senza lasciarsi sedurre dalle loro melodie e stritolare dalla loro strategia perversa e di morte.

I Padri della chiesa, da Clemente d’Alessandria, ad Ippolito, ad Ambrogio [9], hanno fatto una lettura allegorica dell’esperienza di Ulisse, e ci dicono che egli è immagine del credente, che percorre le vie e le traversie di questo mondo, con gli occhi spalancati e con le orecchie aperte, ma come lui, se non vuole soccombere, deve legarsi all’albero della nave (simbolo della chiesa). Per il credente, dicono i Padri, l’albero è l’albero della croce. Sedotto da Cristo e strettamente abbracciato al Signore crocifisso e risorto, il credente potrà ascoltare e scrutare il proprio cuore ma anche le vicende della vita e potrà discernere e smascherare le seduzioni delle nuove sirene presenti ancora nel suo cuore ma anche negli anfratti impensabili di questa nostra storia.

Anche nell’esperienza cristiana, così, la contesa tra la vita e la morte si decide attorno all’albero. E l’albero è la croce di Cristo crocifisso e risorto.

Gesù, Verbo di Dio fatto carne, è la Parola silenziosa, ma la più eloquente, detta dal Padre agli uomini. È nella luce di Cristo che l'uomo può cogliere la storia e i singoli fatti, di cui è punteggiata la sua esistenza, come parole dette a lui dal Padre. È il vissuto, lo stile le scelte di Gesù, la croce, come segno di un amore consegnato nella pura gratuità e nella debolezza, che gettano luce sul discernimento, una luce da cui non si può prescindere. Dalla croce Gesù ci consegna il suo spirito e quindi una vitalità nuova, la sua, per stare nella storia lasciando affiorare nelle nostre decisioni e quindi sulla nostra pelle e nei nostri gesti la sua passione per ogni uomo e soprattutto per i più derelitti.

Aggrappati a Cristo, animati dal suo respiro e dalla sua parola, la lieta notizia che ci mette in sintonia con Dio, sarà possibile percepire il canto di Dio per noi, canto che ci comunica la sua sensibilità, e ci consente di stare nella storia e di cogliere in essa i "gemiti" di Dio che ci interpellano per una nuova alleanza tra cielo e terra a favore dei poveri, degli oppressi e della creazione che soffre. Se ci lasciamo provocare da questi gemiti, e a volte la provocazione è a caro prezzo, allora si può ritrovare la via del vangelo, si possono cogliere i frammenti di speranza sparsi nell'agitarsi degli uomini, si può mettere in tensione la storia verso la sua pienezza.




[1]  M. I. Rupnik, Il discernimento. Parte prima: verso il gusto di Dio, Lipa, Roma 2000, 8.

[2] Cf.. S. Fausti, Occasione o tentazione? Arte di discernere e decidere, Ancora, Milano 1997, 21-23.

[3] Traduce il verbo ebraico bchn (= verificare, mettere alla prova, provare, saggiare anche i metalli). È particolarmente doloroso quando è il cuore a dover essere messo alla prova.

[4] Traduce il verbo ebraico bîn (= vedere la differenza, connesso con la preposizione bên ‘tra’, quindi vuol dire anche distinguere).

[5] Cf. K. Waaijman, La spiritualità. Forme, fondamenti, metodi, Queriniana, Brescia 2007, 591.

[6] Cf. M. Costa, Direzione spirituale e discernimento, ADP, Roma 1998, 134-137.

[7]  G. Piana, Fare discernimento nella chiesa, in Servitium, 119 (1998) 35-36.

[8]  In Settimana, 24 (2008) 2.

[9]  Cf. H. Rahner, Miti greci nell’interpretazione cristiana, Il Mulino, Bologna 1971, 357-417.



                                                                                         Alberto Neglia

Fraternità Carmelitana

98051 Pozzo di Gotto (ME)

 

* L'utilizzo del testo, anche solo parziale, é consentito citando l'autore e la rivista. Grazie.