di Inos Biffi
Nel Credo professiamo e definiamo la Chiesa come "una, santa,
cattolica e apostolica", dotata quindi di prerogative che le appartengono
essenzialmente: non potrebbe esserci una Chiesa "non-una", "non-santa",
"non-cattolica", "non-apostolica". Se così fosse, avremmo il dissolvimento della
stessa Chiesa, della quale si parla molto, ma spesso senza preoccuparsi di
sapere che cosa dica di essa anzitutto la Parola di Dio.
Si sente
proclamare da ogni parte: "Finalmente si legge la Bibbia! La Scrittura è
tornata a essere la fonte della teologia e della spiritualità cristiana!".
Questo è certamente un bene. Senonché avviene non raramente di constatare che ci
sono testi biblici stranamente dimenticati e quasi oscurati, e tra questi
proprio dei testi ecclesiologici.
Si pensi a quelli della Lettera agli
Efesini, dove appare chiaramente che "la Chiesa ha la sua origine nel mistero
della provvidenza e predestinazione divine", dal momento che "da sempre Dio
(...la) vede davanti a sé e la vuole" (Schlier). Vediamo questi testi. In uno si
afferma che Cristo "è il capo del corpo, della Chiesa" (Colossesi, 1, 18.
24). In un altro la Chiesa è, ugualmente, chiamata "il corpo di lui (Cristo), la
pienezza di colui che è il perfetto compimento
di tutte le cose" (Efesini, 1, 23).
Altrove si afferma che "Cristo è
Capo della Chiesa, lui che è salvatore del corpo"; egli l'"ha amata e ha dato se
stesso per lei, per renderla santa, purificata con il lavacro dell'acqua
mediante la parola. E così egli vuole che la Chiesa compaia davanti a lui tutta
gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata"
(Efesini, 5, 22, 25-26).
A questo punto ci domandiamo: esiste
veramente, oppure è solo un'ipostasi astratta, una Chiesa che è adesso il "Corpo
di Cristo", la sua "pienezza" e il "luogo" in cui si rende "gloria a Dio"? Una
Chiesa "santa e purificata", per la quale Gesù ha dato se stesso e che è lo
strumento della manifestazione della "multiforme sapienza di Dio" "ai Principati
e alle Potenze dei cieli", così che la loro comprensione del mistero avviene
contemplando la Chiesa?
Se una tale Chiesa non esistesse nella realtà, o
fosse solo un abbozzo precario e una realtà futura, verrebbe smentita la Parola
di Dio; anzi, lo stesso Gesù Cristo risulterebbe compromesso. Scalfire la
Chiesa, equivale a "intaccare" Cristo e alla fine ridurlo a una condizione
anomala e di non esistenza. Ovviamente, non perché questa gli sia conferita
dalla Chiesa, ma perché egli non esiste distaccato dalla Chiesa, senza Corpo e
senza Sposa. E questo significherebbe che egli non nutre e non cura nessuna
Chiesa (cfr. Efesini, 5, 29), e che la sua opera, in particolare il suo
sacrificio è risultato vano.
Ma, se questa Chiesa esiste realmente, non può
che essere una Chiesa "santa", cioè una Chiesa che non può assolutamente e mai
essere definita "peccatrice". Il peccato, infatti, comporta il distacco da
Cristo, per cui una Chiesa peccatrice sarebbe distaccata da lui, non sarebbe né
suo Corpo né sua Sposa, ma semplicemente una non-Chiesa, come lo sarebbe una
Chiesa non-una, non-cattolica, non-apostolica.
In realtà questa Chiesa
"santa", Corpo e Sposa del Signore, c'è, adesso, ed è l'unica che può dirsi
genuinamente Chiesa, formata dai giusti già in cielo e dai santi pellegrini
sulla terra. Nella Chiesa nunc, come direbbe Agostino, ossia nel suo
momento terreno, sono visibili senza dubbio dei membri ancora compromessi col
peccato, ma questo non ci fa dire che allora la Chiesa è peccatrice.
È vero
invece che, nella misura in cui siamo peccatori, non siamo compiutamente Chiesa,
e abbiamo la possibilità e la speranza di diventarlo, proprio in virtù
dell'esistenza della Chiesa santa. "La Chiesa - insegnava sant'Ambrogio con la
sua abituale limpidità e acutezza - non è ferita in sé, ma è ferita in noi"
(De virginitate, 8, 48).
Forse è il caso di ascoltare qui alcune voci
autorevoli. Intendo dire non qualche teologo d'avanguardia, per esempio di
quelli che amano scrivere puntigliosamente "chiesa" minuscolo (però Stato e
Partito maiuscolo), ma per esempio Tommaso d'Aquino. Questi - a commento della
Lettera agli Efesini, 5, 25-26 - scrive: "Sarebbe stato sconveniente che uno
sposo immacolato si prendesse una sposa macchiata. Per questo la mostra senza
macchia: quaggiù in virtù della grazia e nel futuro in virtù della gloria".
Ma sentiamo ancora il vescovo di Milano, che tra tutti i Padri è quello che
con più viva e prolungata compiacenza si è soffermato ad ammirare estasiato la
Chiesa, che certo egli non riduceva a un "immaginario".
In particolare, "la
percezione della bellezza della Chiesa - osserva il cardinale Giacomo Biffi - è
un dato costante della teologia ambrosiana". Ambrogio non si stanca di
riproporlo secondo gli accenti e le suggestioni che specialmente gli offre il
Cantico dei Cantici, ecclesialmente interpretato: "Cristo desiderò la
bellezza della sua Chiesa e dispose di unirserla in matrimonio" (Apologia
David altera, 9, 48).
Certamente, ragione della bellezza è Gesù Cristo,
l'unico che riesca ad affascinarla: "Molti tentano la Chiesa, ma nessun
incantesimo di arte magica le può nuocere. Ella ha il suo incantatore: è il
Signore Gesù" (Exameron, iv, vi, 8, 33), il suo Sposo: "Il marito è
Cristo, la moglie è la Chiesa, sposa per l'amore, vergine per l'intatta
purezza".
Certamente la Chiesa non si trova sullo stesso piano di Cristo,
dal momento che essa "rifulge non della propria luce, ma di quella di Cristo, e
prende il suo splendore dal Sole di giustizia, così che può dire: "Non sono più
io che vivo, ma Cristo vive in me"" (Exameron, iv, vi, 8, 32)
Sarà il
metodo ambrosiano di considerare la Chiesa: quello di considerarla sempre con
lo sguardo rivolto a Gesù Cristo, in contemplazione di lui, e quindi nel
riflesso della bellezza, del "decoro", "ravvivato dal sangue di Cristo"
(Expositio Psalmi cXVIii, 17, 22) e della grazia del suo Signore: la
Chiesa, che è il fiore "che annunzia il frutto, cioè il Signore Gesù
Cristo" (ibidem, 5, 12.), il quale, volgendosi a lei, esclama:
"Tu sei il mio sigillo, creata a mia immagine e somiglianza"
(ibidem, 22, 34). "Il costato di Cristo è la vita della Chiesa"
(Expositio evangelii secundum Lucam, ii, 86).
Ma non è
sant'Ambrogio a parlare della Chiesa come casta meretrix (ibidem,
iii, 23)? Certo che è lui, e lui solo, ma non per dire quello che intendono e
vanno affermando alcuni "blasonati" teologi. "L'espressione casta meretrix
- osserva ancora Giacomo Biffi, al quale dobbiamo finalmente l'esegesi
esatta del testo di sant'Ambrogio - lungi dall'alludere a qualche cosa di
peccaminoso e di riprovevole, vuole indicare - non solo nell'aggettivo ma anche
nel sostantivo - la santità della Chiesa; santità che consiste tanto
nell'adesione senza tentennamenti e senza incoerenze a Cristo suo sposo
(casta) quanto nella volontà di raggiungere tutti per portare tutti
a salvezza (meretrix)".
Della meretrice la Chiesa imita, quindi, non
il peccato, ma la disponibilità, solo che è una "casta" disponibilità, cioè una
larghezza di grazia.
Ma riportiamo per intero l'audace testo ambrosiano,
tutto costruito secondo l'esegesi allegorica: "Rahab nel tipo (ossia nel
simbolo e nella profezia) era prostituta, ma nel mistero (in quello che
significava) è la Chiesa, vergine immacolata, senza ruga, incontaminata nel
pudore, amante pubblica, meretrice casta, vedova sterile, vergine feconda:
meretrice casta, perché molti amanti la frequentano per l'attrattiva
dell'affetto ma senza la sconcezza del peccato; vedova sterile, perché non è suo
uso partorire quando il marito è assente; vergine feconda, perché ha partorito
questa moltitudine, vendendo i frutti del suo amore e senza esperienza di
libidine" (ibidem, iii, 23). D'altra parte, la Chiesa vive di Spirito
Santo. E, infatti, è dopo lo Spirito Santo che nel Credo professiamo la Chiesa,
mentre in una formula battesimale ricorre la domanda: "Credi nello Spirito
santo, buono e vivificante, che tutto purifica nella santa Chiesa?".
Il
grande Ireneo scriveva: "Dove c'è la Chiesa, là c'è lo Spirito di Dio, e dove
c'è lo Spirito di Dio, là c'è la Chiesa, là c'è ogni grazia. Alla Chiesa è stato
affidato il Dono di Dio, così come Dio ha affidato il respiro alla carne
plasmàta (il primo Adamo), affinché tutti i membri ne ricevano la vita"
(Adversus haereses, 3, 24, 1).
Abbiamo sentito la voce di
Ireneo, di Ambrogio, di Tommaso d'Aquino. Possiamo ascoltare anche un laico,
Alessandro Manzoni, che nell'inno sacro La Pentecoste, con raro senso
teologico, canta il mistero della Chiesa come nessun ecclesiologo dei suoi tempi
avrebbe saputo fare. È lui a definire la Chiesa come "Madre dei Santi": ma una
"Madre dei Santi" come può essere definita "peccatrice"?
In ogni caso, come
non convenire con il cardinale Biffi che "dir male della Chiesa non è mai stato
ritenuto nell'ascesi un atto particolarmente meritorio"?