Scrivevo un mese fa che è necessario scommettere sui giovani che camminano assieme. Parlavo della Giornata mondiale della Gioventù a Madrid, il cui modello rimane Gesù Cristo di cui non aver paura, e parlavo anche dei giovani della Perugia-Assisi che marciavano per la pace imperniata sulla nonviolenza, la giustizia, la libertà, i diritti umani, la responsabilità e la speranza. Oggi, li ritroviamo in piazza che si autodefiniscono con epiteto spagnolo “indignados”.
In Italia ne sono scesi in piazza 150 mila in novanta città e hanno preso di mira oltre alla politica del governo, le banche e le agenzie di rating. “Salvate le scuole e non le banche!” recitava lo striscione dominante. Per sabato prossimo è prevista una manifestazione dei giovani a raggio europeo, che interpellerà la Commissione europea, la Banca Centrale Europea (BCE) e il Fondo monetario internazionale (FMI). Mettono in dubbio quelli che sono considerati dogmi intoccabili come il pagamento del debito, il pareggio di bilancio, gli interessi dei mercati finanziari che portano alla precarizzazione del lavoro e della stessa vita. Se la prendono con i teorici del neoliberismo e con gli
economisti.
Ma ci sono alti dirigenti della finanza e dell'economia che danno loro ragione. Il primo è Mario Draghi, governatore della Banca d'Italia. In procinto di diventare massimo vertice della BCE, parlando ad un seminario filogovernativo nell'Abazia di Spineto, ha detto che le difficoltà dei giovani devono preoccupare perché senza di loro non c'è sviluppo. In quello stesso seminario si è documentato che la metà dei giovani non trovano occupazione e uno su quattro non lavora e nemmeno studia.
Più circonstanziato l'economista Tito Boeri che ha rilevato anche gli strascichi della precarizzazione dei giovani. Chi rimane disoccupato all'inizio della sua carriera – dice Boeri – “si porterà dietro le cicatrici di questo evento sfortunato”. I dati dicono che chi perde il lavoro e non è protetto (come succede ai giovani italiani) si porterà dietro salari più bassi per vent'anni e una forte instabilità di reddito per almeno dieci anni. Non solo quindi la prospettiva di non avere una pensione o di averla molto bassa, ma una precarietà anche di vita personale e familiare. Dice esplicitamente Boeri che questi giovani hanno probabilità più alte di divorziare e scarse probabilità di mettere al mondo dei figli. Quest'ultimo rilievo acquista potenza e si fa grido di fronte all'ultimo intervento del card. Bagnasco che denuncia la denatalità e invita i credenti a generare più figli.
Guardando alle manovre in atto, Boeri osserva pure che i pochi tagli alla spesa pubblica colpiscono proprio i servizi destinati ai giovani come l'istruzione e i trasporti pubblici. E parla fuori dai denti di “stridenti iniquità” invitando l'Istat (Istituto Italiano di Statistica) a pubblicare “conti generazionali”, vale a dire a calcolare gli effetti che la situazione attuale può avere sulle giovani generazioni. Effetti che finora sono ignoti al grande pubblico e che possono portare a conflitti inevitabili fra generazioni.
La novità non è solo nel nome di “indignados”, ma soprattutto nei centri di potere presi di mira.
Sono ricchi di conoscenza questi giovani, sanno fare analisi che si scambiano sui computer e ti sanno dire che c'è bisogno di un cambiamento globale in economia. “Ora i conti li farete con noi” diceva uno striscione nella manifestazione di Torino.
Orbene, io non voglio fare di ogni erba un fascio, rischiando di unire, come si suol dire, il diavolo con l'acqua santa. Ma scommetto che molti di questi giovani erano anche a Madrid con il Papa e hanno marciato per la pace da Perugia ad Assisi. Certo è che vanno ascoltati e si parlerà di loro al “Forum delle associazioni e delle persone cristiane” che si terrà lunedì prossimo a Todi. A ben guardare, sono la parte oggi più esposta al fallimento di quella società civile che Stefano Zamagni, relatore ufficiale al Forum, teorizza da anni che va ascoltata sia in politica che in economia.