Perché è democrazia. Quella vera. Quella che lo dice la parola stessa. Il popolo è sovrano e il popolo decide. Perché la democrazia è un bene comune e non può essere privatizzato. Si può imbottigliare con etichette colorate ma resta sempre democrazia. Anche leggermente frizzante quando scende nelle strade e grida “se non ora quando?”. Ci sono le etichette dei partiti e le mille marche della partecipazione. Ma guai a mettere i rubinetti della democrazia in mano a chi ci deve guadagnare. Guai a dare l’esclusiva delle condutture della democrazia a una holding. Sarebbe furto di sovranità. La democrazia deve scorrere libera per tutti ed essere sì controllata, ma dai cittadini. Per questo vado a votare. Perché ho sete.
Domenica vado a votare 2
Non si tratta solamente di disinnescare la miccia della privatizzazione dell’acqua, di scongiurare l’installazione di centrali nucleari con scorie e radiazioni e di non consentire alcuna eccezione al principio di uguaglianza davanti alla legge. Con i referendum di domenica prossima sono in ballo un altro modello di sviluppo, un altro modo di concepire la politica e l’affermazione del bene della persona umana al di sopra di ogni altro interesse. Economia, democrazia, sviluppo non sono parole neutrali e possono essere declinate in mille modi diversi. Nell’urna del 12 e 13 giugno abbiamo l’occasione di poter infilare una scheda che dica in quale democrazia crediamo, quale sviluppo vogliamo e se l’economia deve essere a servizio dell’uomo o l’uomo è condannato a prostrarsi al dio denaro. Una sfida e una scommessa più grande di una votazione. Grande come la speranza che la gente possa cominciare davvero a prendere in mano il proprio destino e a decidere le regole per costruire il proprio futuro e quello delle prossime generazioni. Per queste ragioni vado a votare.
Domenica vado a votare 3
Nella logica delle cose, se ci sono dei referendum e ci sono i relativi
comitati che si sono impegnati a raccogliere le firme e a promuoverne le
ragioni, sono essi i più titolati a sostenerne le ragioni pubblicamente. È
davvero curioso in questi giorni assistere a programmi che da Ballarò ad Anno
Zero, dai tiggì a Linea Notte del TG3, danno la parola esclusivamente ai
rappresentanti dei partiti. Un segno francamente inquietante che rivela come
funziona l’informazione in Italia e quale considerazione ricevono gli strumenti
della democrazia. Sarebbe come invitare un agronomo a parlare delle relazioni
diplomatiche del nostro Paese con la Birmania e un filosofo della morale a
giudicare la ricetta dei ravioli in brodo di carne. C’è la volontà di boicottare
l’appuntamento di domenica con la democrazia oppure la convinzione che solo i
rappresentanti più autorevoli delle forze politiche conoscono tutti i temi e ne
possono trattare? Una par condicio di facciata che, per essere davvero corretta
dovrebbe aprire i microfoni ai comitati del Si e del No e invece lascia che
bisticcino negli studi televisivi personaggi che devono giustificare le proprie
posizioni del presente e del passato in materia di privatizzazione dell’acqua,
di nucleare e di uguaglianza davanti alla legge. Anche per queste ragioni io
domenica vado a votare.