Siamo tutti allertati: l'Italia è a rischio di bancarotta. Anche il ministro dell'economia Tremonti, dopo averci rassicurati per anni dicendo che i conti dello stato sono a posto e che il nostro Paese sta uscendo dalla crisi più e meglio di altri Paesi, costretto dall'Europa ad anticipare operazioni che aveva previsto per il 2013 e per il 2014, ha sfoderato l'immagine del Titanic, il transatlantico che si schiantò contro un iceberg mentre a bordo si cantata e si ballava. E ora si parla di manovra che costerà lacrime e sangue.
È giusto che quando la casa brucia ci si attivi tutti a spegnere l'incendio, ma devono farlo anche e soprattutto quelli che l'incendio hanno contribuito ad appiccarlo. È assodato che questa crisi è stata innescata da operazioni finanziarie truffaldine nelle quali a guadagnare sono stati i grossi finanzieri e a perderci sono i milioni di piccoli risparmiatori. L'analisi non è di parte e nemmeno dettata dall'invidia di chi è povero nei confronti di chi è ricco sfondato. Lo dimostrano due autodenunce che hanno fatto clamore nei giorni scorsi: la prima è stata quella di Warren Buffett, il finanziere americano classificato come terzo tra le persone più ricche del mondo. Scrive Buffet: “Mentre i poveri e la classe media combattono per noi in Afghanistan; mentre la maggior parte degli americani stenta ad arrivare a fine mese, noi mega ricchi continuiamo a goderci i nostri sgravi fiscali straordinari”. E le tasse Buffet le paga, ma rileva e confessa che mentre lui versa al fisco il 17,4% del suo imponibile, i suoi dipendenti per le stesse leggi arrivano a dover pagare il 41% di quando percepiscono.
Gli ha fatto eco dall'Italia Luca Cordero di Montezemolo, il manager presidente della Ferrari che ha dichiarato: “Io ricco (guadagna 5 milioni di euro all'anno) sono pronto a pagare più tasse. Per ragioni di equità e solidarietà. E soprattutto per una vera lotta alla grande evasione fiscale”. E propone un'imposta sui grandi patrimoni per uscire dalla crisi, un contributo che, se generalizzato, sarebbe risolutivo. Il finanziere Pietro Modiano in una lettera al Corriere della Sera calcola che un prelievo del 10 % sui patrimoni degli italiani più ricchi (il 20% dell'intera popolazione) fornirebbe un gettito di 200 miliardi di euro, l'equivalente di cinque volte la manovra biennale in discussione al parlamento.
Questi ragionamenti, anche nei termini usati, mi hanno fatto tornare in mente la figura evangelica di Zaccheo. Capo dei pubblicani e uomo ricco, lo definisce Luca. Piccolo di statura si arrampica su un sicomoro per vedere passare Gesù il quale, avvistatolo, si auto invita in casa sua. Dopo una breve conversazione il ricco Zaccheo annuncia la sua decisione: “Do la metà dei miei beni ai poveri e se ho frodato qualcuno gli rendo in quadruplo”.
A questi ricchi italiani non si chiede la metà in solidarietà, ma solo un piccolo contribuito. E se hanno frodato il Fisco non si chiede loro il quadruplo, ma solo il giusto. Quella di Zaccheo è stata una conversione miracolosa. A questi ricchi si chiede solo una conversione all'equità e alla solidarietà semplicemente umane e all'osservanza delle leggi. Che rientra, come molti hanno osservato anche nei loro interessi, perché se salta il sistema svaniscono anche i meccanismi con i quali si sono finora arricchiti.
Certo è però, che se i Buffet e i Montezemolo appaiono delle mosche bianche è segno che il sistema stesso e la politica che lo sostiene sono sbagliati. Se n'è accorta finalmente anche la Conferenza episcopale italiana, ma il suo appello non deve essere accolto come una richiesta di elemosina, bensì come richiamo alla politica del bene comune. Perché è questa che si è persa per strada e il cui ritorno viene perfino criminalizzato come fosse un rigurgito di comunismo.
Sull'onda della commemorazione di Alcide De Gasperi si invocano politici di ispirazione cristiana.
Attenzione, perché questo vuol dire pure politici che hanno appreso e condividono la lezione di Zaccheo.