"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano" - Sezione "SPIRITUALITA' E FEDE"
SOLO IL VANGELO
Laicità del credente, laicità della Chiesa*di Gregorio BattagliaNell’affrontare il
tema della laicità della chiesa sono ben consapevole che un tale accostamento
possa suscitare confusione e fraintendimenti. Avendo alle spalle una lunga storia,
in cui il termine “laicità” è stato usato per qualificare una marcata presa di
distanza dal pensiero e dalle posizioni clericali, diventa quanto mai
problematico usarlo adesso per caratterizzare lo stile della Chiesa e del
credente nel suo modo di stare “nel mondo”. Il Concilio Vaticano II ha
contribuito in gran parte a rimescolare le carte, riproponendo con forza
l’immagine della Chiesa come realtà di “popolo pellegrinante nella storia”,
popolo messianico, «che cammina alla ricerca della città futura e permanente» (Lumen Gentium, 9) e che intende
abbracciare tutto il genere umano. Questa Chiesa,
contemplata dal Concilio come una realtà di popolo, porta con sé una identità
ed una vocazione“laicale”, nel senso che essa è chiamata ad essere sempre più
“popolo”, se vogliamo restare ben ancorati al senso originario del termine
greco, tenendo ben presente che in greco laicos
viene da laos, che vuol proprio dire
“popolo”. In quanto tale la Chiesa non può lasciarsi condurre da tentazioni di
tipo settario o elitario, perché è insito nella stessa nozione di popolo l’idea
di abbracciare tutto e tutti, senza distinzione di genere, di razza, di
generazioni, di cultura. Uomini e donne, vecchi e bambini, normodotati e
disabili, peccatori e santi, tutti entrano a far parte a pieno titolo della
realtà del popolo e tutti concorrono in vario modo a sostenere la vita di
questo popolo, in quanto comunione di diversi. La Chiesa, il
mondo ed il Regno di Dio
Le cose stanno
davvero così, come se la Chiesa fosse una nuova arca di Noé che cerca di
attraversare indenne i flutti della storia in attesa del futuro che Dio ha
preparato in Cristo? Il mondo e la Chiesa sono di fatto due realtà
irrimediabilmente inconciliabili tra loro? Per tentare di elaborare una
risposta bisogna mettere in gioco un altro elemento, che è costituito dal Regno
di Dio. Con questo termine, che ritroviamo sulla bocca di Gesù all’inizio della
sua predicazione, veniamo rinviati all’opera che Dio ha giurato di portare a
compimento nei confronti della storia umana e di tutto il creato e che Paolo
sintetizza in questa frase: «perché Dio sia tutto in tutti» (1Cor 15,28). In altre
lettere Paolo precisa che «il Regno di Dio non è questione di cibo o di
bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo» (Rm 14,17),
lasciandoci intendere che il compimento della storia consiste nella
realizzazione piena della pace e della giustizia tra gli uomini. Questo regno «di
verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e
di pace» [1] si è reso visibile nella carne umana di Gesù di Nazareth, ma adesso lo
attendiamo non come frutto degli sforzi umani, ma come avvento e giudizio di
Dio sulla Chiesa, sul mondo e su tutta la storia. Né la Chiesa, né il
mondo possono avanzare pretese di incarnare in modo definitivo questo Regno di
Dio, perché sia l’uno che l’altra sono relativi all’avvento di questa nuova
umanità, che costituisce l’oggetto della nostra speranza e che, oltretutto, si
presenta come “altro” rispetto ad ogni realizzazione umana. L’attesa vigile ed
operosa di «cieli nuovi e terra nuova» (Is 65,17) serve a sfuggire ad ogni
tentativo di voler assolutizzare l’esercizio del potere o il conseguimento di
determinati traguardi ed allo stesso tempo essa resta alla radice di una
visione laica del mondo, in quanto relativizzazione di ogni realtà che presume
di presentarsi come l’unico assoluto. La storicità:
condizione comune della Chiesa e del mondo
Per il Concilio la
legge della storicità riguarda la stessa comprensione della Parola di Dio e del
suo disegno di salvezza: «Questa tradizione di origine apostolica progredisce
nella Chiesa con l’assistenza dello Spirito Santo: cresce infatti la
comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, sia con la
riflessione e lo studio dei credenti, i quali la meditano in cuor loro, sia con
l’esperienza data da una più profonda intelligenza delle cose spirituali, sia
per la predicazione di coloro i quali con la successione episcopale hanno
ricevuto un carisma sicuro di verità. La Chiesa, cioè, nel corso dei secoli,
tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa vengano
a compimento le parole di Dio» (Dei Verbum,
8). Non diversamente dal
mondo anche la Chiesa, pur avendo ben presente il mistero che la abita e la
rende distinta dal mondo, scopre di dover condividere con esso la fatica del
cammino attraverso la storia, che è il luogo della libertà e della
responsabilità. Se la storia è costruzione progressiva di un significato, la
Chiesa, in quanto popolo di Dio, si ritrova ad avanzare nel cammino della
storia umana cercando di comprendere nell’oggi il disegno di Dio. Dio stesso nella sua condiscendenza ha accettato di “farsi uomo” nel volto concreto di Gesù di Nazareth, facendo propria la peculiarità dell’avventura umana caratterizzata, soprattutto, dalla chiamata a vivere nel segno della libertà e della responsabilità; a motivo di tutto ciò la stessa Chiesa non può fare a meno di riscoprire che la legge dell’incarnazione la riguarda profondamente. In questo senso si può ben parlare di laicità della Chiesa, in quanto anch’essa impegnata a ricercare la volontà di Dio all’interno di una congerie di fatti e di avvenimenti, che se da una parte rendono faticoso il discernimento, dall’altra costituiscono l’oggi della risposta alla Parola di Dio. «Alla Chiesa — scrive Barbaglio — è stato affidato il Vangelo […], nelle sue mani tiene la S. Scrittura. Ma l’assolutezza di Cristo, del Vangelo e della Bibbia non vuol dire l’assolutezza delle posizioni che la Chiesa ha preso ispirandovisi. Queste ultime, infatti, non sfuggono alla legge della storicità e quindi sono soggette alla provvisorietà, mutabilità, perfettibilità. L’assolutezza della Parola di Dio va di pari passo con la storicità dell’ascolto e della lettura interpretativa, propria della Chiesa»[2]. Mondo e Chiesa, in
realtà, sono strettamente accomunati dalla stessa condizione di provvisorietà,
di parzialità, di apertura al nuovo e all’inedito, perché Dio ha scelto di
portare a compimento il suo Regno rischiando sulla libertà delle creature
umane. «La libertà divina — scrive Congar — si muove con sicurezza nella
dinamica delle libertà umane, delle loro svolte e dei loro conflitti»[3]. Il problema della libertà riguarda il mondo, che ogni giorno deve fare i conti
con scelte e visioni diverse, ma riguarda anche la Chiesa nella sua realtà di
popolo, impegnato a crescere e a rispettare il valore di ogni coscienza umana.
Nel quotidiano “farsi” del mondo tra conflitti, cadute e parziali conquiste, la
Chiesa è chiamata ad essere a sua volta l’umile segno di un’umanità, che si
pone in sincero ascolto di un Dio che chiama tutti gli uomini ad entrare nel
suo Regno, nell’esperienza di una comunione che non mortifica, ma che esalta il
valore di ogni creatura umana. Nella compagnia
degli uomini
La Chiesa, in quanto
porzione di questo mondo che ha preso coscienza di essere gratuitamente amata,
scopre a sua volta di essere coinvolta nello stesso abbraccio del Figlio. Essa
impara, cioè, ad abitare la storia degli uomini non in atteggiamento di
giudizio e di condanna, ma nell’umile condivisione della fatica umana,
lasciando che il lieto annunzio del Vangelo squarci le tenebre di un cuore
umano, rinchiuso nella propria cecità e presunzione. Nel documento conciliare possiamo
leggere queste parole: «Perciò la Chiesa, che è insieme società visibile e
comunità spirituale, cammina insieme con l’umanità tutta e sperimenta assieme
al mondo la medesima sorte terrena ed è come il fermento e quasi l’anima della
società umana, destinata a rinnovarsi in Cristo e a trasformarsi in famiglia di
Dio» (Gaudium et Spes, 40). Il
“camminare insieme” dice chiaramente che la storia è unica, tutta protesa verso
quella terra nuova, che è data dall’umanità del Cristo, il nuovo Adamo, il
primogenito dei risorti. Nella lettera ai
Romani l’apostolo Paolo mette sullo stesso piano la condizione dei credenti e
quella di tutto il creato. I primi si riscoprono arricchiti, anche se nella
modalità della caparra, del dono dello Spirito del Signore, che dinamizza dal
di dentro la loro vita e fa affiorare in loro la coscienza di essere figli del
Padre. Il creato a sua volta sente dentro sé la pressione dello Spirito che lo
impegna in un faticoso parto, finché non venga alla luce il mondo nuovo: «Sappiamo
bene, infatti, che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie
del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello
Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del
nostro corpo» (Rm 8,22-23). La “compagnia”, che la Chiesa è chiamata ad
esprimere nei confronti del mondo, si concretizza soprattutto in questo saper
fare proprio il “gemito”che sale da tutti i sotterranei della storia. Non c’è
dolore, non c’è emarginazione, non c’è rifiuto o negazione di ogni genere che
non interpelli il cuore della Chiesa, perché sia pronta a testimoniare nelle
strade di questo mondo la speranza che la abita. Se il Concilio invita
tutta la Chiesa a saper “camminare insieme” a questa umanità di oggi, tutto
questo non può tradursi in una presunzione di saper gestire le cose del mondo o
di aver diritto a dover esercitare una fetta di potere per dare un’accelerazione
al cammino della storia, perché è proprio lo stesso Concilio a ricordare ai
credenti in Cristo che il posto della Chiesa è ben altro: «Essa non rivendica a
se stessa altra sfera di competenza se non quella di servire amorevolmente e
fedelmente, con l’aiuto di Dio, gli uomini. I discepoli di Cristo, mantenendosi
in stretto contatto con gli uomini nella vita e nell’attività, si ripromettono
così di offrire loro un’autentica testimonianza cristiana e di lavorare alla
loro salvezza anche là dove non possono annunciare pienamente il Cristo» (Ad Gentes, 12). La fiducia certa di
essere una realtà immersa nella vita del Cristo permette alla Chiesa di
superare i codici della separatezza tra sacro e profano, di sentirsi libera da
qualsiasi tentazione di integrismo o di possesso esclusivo della verità nella
piena convinzione che il cammino dell’umanità è anche il suo, perché in questo
cammino è presente l’opera dello Spirito, che tutto riconduce all’unità del
Cristo. Una comunità
“debole” in dialogo con il mondo
L’apertura al dialogo
da parte della Chiesa trova il suo fondamento nella convinzione profonda che il
Cristo glorioso «opera nel cuore degli uomini con la virtù del suo Spirito» (Gaudium et Spes, 38), per cui la Chiesa
nei confronti del mondo non ha soltanto qualcosa da dire, ma molto da
ascoltare, accogliendo tutti quei valori di bontà e verità che sono
testimoniati fuori dagli angusti confini della confessione religiosa. Il
Concilio nella Gaudium et Spes
ricorda il debito che la Chiesa ha verso la comunità degli uomini, perché essa
«non ignora quanto abbia ricevuto dalla storia e dallo sviluppo del genere
umano» (n. 44). Questo passaggio
della Gaudium et Spes è davvero molto
importante perché dice con chiarezza che tutte le ricchezze delle varie
culture, i risultati delle ricerche umane nel corso del tempo, tutto il cumulo
delle varie esperienze umane, da qualunque parte provengano, possono costituire
un valido aiuto per la Chiesa nel suo impegno di ricerca sulla verità
dell’uomo. Essendo essa sempre in ricerca nei confronti della verità non può
fare a meno di ascoltare: «È dovere di tutto il Popolo di Dio, soprattutto dei
pastori e dei teologi, con l’aiuto dello Spirito Santo, di ascoltare
attentamente, capire ed interpretare i vari modi di parlare del nostro tempo e
di saperli giudicare alla luce della Parola di Dio, perché la Verità rivelata
sia capita sempre più a fondo, sia meglio compresa e possa venir presentata in
forma più adatta» (n. 44). L’ascolto delle voci del nostro tempo e anche di
voci non cristiane, da qualunque parte provengano, aiuta, secondo le parole del
Concilio, la Chiesa nel suo cammino di comprensione della Verità rivelata e
della natura dell’uomo e ad interpretare meglio il progetto di Dio nell’oggi
della storia umana. Così facendo il
Concilio richiama la Chiesa alla sua identità “laicale”, di popolo, cioè,
impegnato a camminare per i sentieri della storia alla ricerca e alla
comprensione della verità dell’uomo, della sua vera natura, ma soprattutto
impegnato ad ascoltare quanto di buono e di nuovo emerge dalle culture e dalle
scienze umane. Tra la comunità dei credenti ed il mondo della non-fede esiste
uno spazio comune, che è dato dalla ricerca e dal dubbio e che consente la
possibilità di dialogare. Un cristiano come Pietro Scoppola arriva a dire che
in tutte e due le posizioni «comune è il rifiuto dell’integralismo, di ogni
integralismo religioso o laico; dell’atteggiamento spirituale, che nasce dalla
pretesa di un possesso della verità come cosa propria e che perciò stesso nega
la trascendenza. Non c’è fede senza il senso del mistero»[5]. In realtà siamo tutti coinvolti in un comune cammino, che richiede
disponibilità al cambiamento e alla conversione verso una verità che trascende
sempre le nostre possibili comprensioni. La laicità, in questo
senso, assume i tratti di un vero abito mentale, di un modo di essere e di
pensare le relazioni umane, un vero e proprio stile di vita, che è quello di
chi in ogni ricerca di senso, con autonomia e indipendenza, parte da domande
cui sa già di poter dare risposte provvisorie, raggiunte con il dubbio, la
riflessione e il dialogo. La laicità
della Chiesa: profezia per il mondo
Ciò a cui la Chiesa
ed i singoli cristiani sono chiamati, è soprattutto il discernimento
spirituale, cioè l’intelligenza degli eventi compresi alla luce della Parola e
del mistero pasquale di Cristo. Si tratta di un “conoscere”, di un rendersi
conto del dolore dell’altro, diventando “memoria passionis”, ascolto di un
grido che sale da un’umanità ferita, fatta di uomini, donne, bambini, vittime
spesso di una quotidianità divenuta per tanti insopportabile: relazioni
infrante, lutti, abbandoni, infermità, handicap, droga, abusi di ogni tipo con
il conseguente effetto di disagi, sofferenze o malattie psichiche. Più la
Chiesa-popolo di Dio si lascia totalmente guidare dallo Spirito nella
comprensione del progetto di Dio nell’ascolto della sua Parola e più essa si
ritrova a porre come criterio fondamentale del proprio operare la sofferenza
dell’altro. Una Chiesa siffatta, che si riscopre quotidianamente come realtà amata gratuitamente da Dio, è davvero capace di dire una parola, che sia davvero frutto di quest’amore sperimentato e che si traduce soprattutto in disponibilità ad accogliere il volto dell’altro, per costruire con lui percorsi di vera fraternità. Lasciandosi conformare sempre più al suo Signore e Sposo, questa comunità di credenti cammina con tutti gli uomini lasciando trasparire dai suoi gesti e dalle sue parole la possibilità di crescere in umanità. Essa si presenta come «segno dei segni e quindi profezia dell’amore che conosce e che annunzia non come mero futuro sperato e intravisto, ma anche come presente amante che anticipa nelle mani umane il futuro che sa di abitare nelle mani divine; anzi conosce le proprie mani come divine avendo incontrato l’operare umano di Dio»[7]. [1] Prefazio della Messa nella Solennità di Gesù Cristo, Re dell’Universo. [2] G. Barbaglio, La laicità del credente, Cittadella Editrice, Assisi (PG) 1987, 123. [3] Y. M.-J. Congar, La chiamata di Dio, in Aa.Vv. Il popolo di Dio nel cammino dell’umanità, Ed. AVE, Roma 1970, 53. [4] P. Scoppola, Un cattolico a modo suo, Morcelliana, Brescia 2008, 98. [5] B. Forte, La Chiesa della Trinità, Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1995, 343. [6] G. Trabucco, La Chiesa, signum humanitatis, in Servitium, 49 (1990) 54. Gregorio Battaglia Fraternità Carmelitana 98051 Pozzo di Gotto (ME)
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