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E PAPA WOJTYLA DICHIARA

LA CROCIATA CONTRO LA GUERRA

di Marco Politi

Karol Wojtyla ha scelto dicembre per scendere in campo contro la guerra all'Iraq, cosi tenacemente perseguita dal presidente Bush. E' stato silenzioso a lungo, perché non voleva  che il ripetersi di appelli logorasse il suo messaggio. Ha taciuto per settimane, perché il momento è grave ed è grave la contestazione che il pontefice di Roma rivolge al presidente di Washington. Papa Wojtyla è in disaccordo su tutti i preparativi militari e le sortite politiche  che accreditano l'idea dell'ineluttabilità della guerra contro Bagdad. E' in disaccordo sul metodo americano di stabilire unilateralmente obiettivi e strumenti di una "punizione" internazionale, lasciando all'Onu solo il compito di fornire una copertura formale e mettendo gli altri Paesi di fronte alla scelta  o di seguire volonterosamente le truppe statunitensi o di fornire appoggi logistici o di restarsene a casa plaudendo comunque all'iniziativa. Il disaccordo del Papa è di fondo. Wojtyla non concorda sul fatto che un'eventuale azione armata sia gestita da altri all'infuori di un' "autorità  internazionale riconosciuta". E se si esce da questa cornice, si affermerà soltanto la la legge del più forte. Ove cadesse il sistema delle regole internazionali, ha detto il ministro  degli Esteri papale mons. Jean-Louis Tauran, «si rischierebbe la giungla». L'offensiva di dicembre di Giovanni Paolo II si è sviluppata su più fronti. Il pontefice è intervenuto per dare i grandi segnali, mentre i suoi più diretti collaboratori hanno preso la parola per spiegare puntigliosamente la linea del Papa. Il segretario di Stato cardinale Sodano, l'ex nunzio all'Onu e neo-presidente di Justitia et Pax mons. Martino, il ministro degli esteri Tauran. Perchè non di appelli al "volemose bene" si tratta, magari conditi di retorica internazionale alternativa a quella intrapresa da Washington.

Come proemio Wojtyla, l'11 dicembre, ha scelto le amare parole del profeta Geremia: «Se esco in aperta campagna, ecco i trafitti di spada; se percorro la città, ecco gli orrori della fame». Rifarsi ad un antico profeta significa molto. I profeti d'Israele non sono mai stati personaggi votati alla mera esortazione. Il loro richiamo all' "oracolo del Signore" era un modo per prendere di petto i problemi di cruciali del popolo eletto, per affrontare e fustigare i re, per costringerli alla riflessione autocritica. Per mettere il regno di Israele di fronte alle sue responsabilità e invitarlo a scegliere bene la strada da prendere.

Pochi giorni dopo, nel suo tradizionale Messaggio per la pace, il pontefice ha evocato l'enciclica Pacem in Terris di Giovanni XXIII, che nei suoi paragrafi essenziali esprime l'urgenza di costruire un'autorità pubblica internazionale, da tutti condivisa, per affrontare i problemi del pianeta . Ci sono carenze nell'Onu? Sì, ha replicato il Papa, denunciando esitazioni mel far rispettare ovunque i diritti umani. Ma la critica del pontefice, diversamente da certe voci che si ascoltano a Washington, non è per denunciare un'Onu pusillanime o inefficiente, ma per esigere un di più di autorità internazionale, per chiedere alle Nazioni Unite di lavorare meglio.

A breve distanza Giovanni Paolo II ha quindi lanciato l'allarme sulla guerra incombente con parole scarne, mostrando all'opinione pubblica un «orizzonte rigato di sangue». Toni ben differenti dal trionfalismo d'Oltreatlantico, impostato sulla crociata contro il demone Saddam e le magnifiche prospettive che si dovrebbero aprire in Irak e nel Medio Oriente a guerra finita. Finché il giorno di Natale il Papa è stato preciso nel chiedere agli uomini di buona volontà di lavorare per spegnere i sinistri bagliori di un conflitto, che con l'impegno di tutti può essere evitato» . E' stato un crescendo accompagnato - come in uno spartito ben studiato - dalle note esplicative degli uomini che sono più vicini al pontefice. Il cardinale Sodano ha sottolineato che il concetto di guerra preventiva (fulcro propagandistico del progetto di Bush) non fa parte del vocabolario della comunità internazionale. Monsignor  Martino è andato più in là. La guerra preventiva, ha spiegato, «non c'è dubbio che sia in realtà aggressiva», poiché non è per definizione una guerra giusta , «dove prima c'è l'offesa e quindi, in base a questa , la difesa.» Parole pesate  punto per punto, non espressioni pronunciate in libertà, come nei talk-show. Quando la gerarchia vaticana, su impulso espresso  di papa Wojtyla, afferma che la guerra preventiva inventata da Bush "non è giusta e manifesta nei fatti un approccio aggressivo", intende dire proprio questo. E intende anche dire che non è a vantaggio del pianeta.

Karol Wojtyla ha cominciato a fare politica internazionale venticinque anni fa, chiedendo che in Polonia venissero rispettate le libertà fondamentali e il diritto dei lavoratori ad associarsi. Non erano esortazioni moralistiche le sue, ma richieste precise. Oggi il vecchio Papa chiede di non seguire la chiamata alle armi, ma di riconoscere che una sola autorità - quella a cui partecipano tutte le nazioni del mondo - decida alla pace e dei mezzi più adatti per assicurarla. Geremia versus Bush. Ogni stato deciderà come vuole. Ma non si potrà dire  che il pontefice non ha parlato con chiarezza.

testo integrale tratto da "La Repubblica" - 27 dicembre 2002

 

 

Casella di testo: E PAPA WOJTYLA DICHIARA
LA CROCIATA CONTRO LA GUERRA
di Marco Politi
Karol Wojtyla ha scelto dicembre per scendere in campo contro la guerra all'Iraq, cosi tenacemente perseguita dal presidente Bush. E' stato silenzioso a lungo, perché non voleva  che il ripetersi di appelli logorasse il suo messaggio. Ha taciuto per settimane, perché il momento è grave ed è grave la contestazione che il pontefice di Roma rivolge al presidente di Washington. Papa Wojtyla è in disaccordo su tutti i preparativi militari e le sortite politiche  che accreditano l'idea dell'ineluttabilità della guerra contro Bagdad. E' in disaccordo sul metodo americano di stabilire unilateralmente obiettivi e strumenti di una "punizione" internazionale, lasciando all'Onu solo il compito di fornire una copertura formale e mettendo gli altri Paesi di fronte alla scelta  o di seguire volonterosamente le truppe statunitensi o di fornire appoggi logistici o di restarsene a casa plaudendo comunque all'iniziativa. Il disaccordo del Papa è di fondo. Wojtyla non concorda sul fatto che un'eventuale azione armata sia gestita da altri all'infuori di un' "autorità  internazionale riconosciuta". E se si esce da questa cornice, si affermerà soltanto la la legge del più forte. Ove cadesse il sistema delle regole internazionali, ha detto il ministro  degli Esteri papale mons. Jean-Louis Tauran, «si rischierebbe la giungla». L'offensiva di dicembre di Giovanni Paolo II si è sviluppata su più fronti. Il pontefice è intervenuto per dare i grandi segnali, mentre i suoi più diretti collaboratori hanno preso la parola per spiegare puntigliosamente la linea del Papa. Il segretario di Stato cardinale Sodano, l'ex nunzio all'Onu e neo-presidente di Justitia et Pax mons. Martino, il ministro degli esteri Tauran. Perchè non di appelli al "volemose bene" si tratta, magari conditi di retorica internazionale alternativa a quella intrapresa da Washington.
Come proemio Wojtyla, l'11 dicembre, ha scelto le amare parole del profeta Geremia: «Se esco in aperta campagna, ecco i trafitti di spada; se percorro la città, ecco gli orrori della fame». Rifarsi ad un antico profeta significa molto. I profeti d'Israele non sono mai stati personaggi votati alla mera esortazione. Il loro richiamo all' "oracolo del Signore" era un modo per prendere di petto i problemi di cruciali del popolo eletto, per affrontare e fustigare i re, per costringerli alla riflessione autocritica. Per mettere il regno di Israele di fronte alle sue responsabilità e invitarlo a scegliere bene la strada da prendere.
Pochi giorni dopo, nel suo tradizionale Messaggio per la pace, il pontefice ha evocato l'enciclica Pacem in Terris di Giovanni XXIII, che nei suoi paragrafi essenziali esprime l'urgenza di costruire un'autorità pubblica internazionale, da tutti condivisa, per affrontare i problemi del pianeta . Ci sono carenze nell'Onu? Sì, ha replicato il Papa, denunciando esitazioni mel far rispettare ovunque i diritti umani. Ma la critica del pontefice, diversamente da certe voci che si ascoltano a Washington, non è per denunciare un'Onu pusillanime o inefficiente, ma per esigere un di più di autorità internazionale, per chiedere alle Nazioni Unite di lavorare meglio.
A breve distanza Giovanni Paolo II ha quindi lanciato l'allarme sulla guerra incombente con parole scarne, mostrando all'opinione pubblica un «orizzonte rigato di sangue». Toni ben differenti dal trionfalismo d'Oltreatlantico, impostato sulla crociata contro il demone Saddam e le magnifiche prospettive che si dovrebbero aprire in Irak e nel Medio Oriente a guerra finita. Finché il giorno di Natale il Papa è stato preciso nel chiedere agli uomini di buona volontà di lavorare per spegnere i sinistri bagliori di un conflitto, che con l'impegno di tutti può essere evitato» . E' stato un crescendo accompagnato - come in uno spartito ben studiato - dalle note esplicative degli uomini che sono più vicini al pontefice. Il cardinale Sodano ha sottolineato che il concetto di guerra preventiva (fulcro propagandistico del progetto di Bush) non fa parte del vocabolario della comunità internazionale. Monsignor  Martino è andato più in là. La guerra preventiva, ha spiegato, «non c'è dubbio che sia in realtà aggressiva», poiché non è per definizione una guerra giusta , «dove prima c'è l'offesa e quindi, in base a questa , la difesa.» Parole pesate  punto per punto, non espressioni pronunciate in libertà, come nei talk-show. Quando la gerarchia vaticana, su impulso espresso  di papa Wojtyla, afferma che la guerra preventiva inventata da Bush "non è giusta e manifesta nei fatti un approccio aggressivo", intende dire proprio questo. E intende anche dire che non è a vantaggio del pianeta.
Karol Wojtyla ha cominciato a fare politica internazionale venticinque anni fa, chiedendo che in Polonia venissero rispettate le libertà fondamentali e il diritto dei lavoratori ad associarsi. Non erano esortazioni moralistiche le sue, ma richieste precise. Oggi il vecchio Papa chiede di non seguire la chiamata alle armi, ma di riconoscere che una sola autorità - quella a cui partecipano tutte le nazioni del mondo - decida alla pace e dei mezzi più adatti per assicurarla. Geremia versus Bush. Ogni stato deciderà come vuole. Ma non si potrà dire  che il pontefice non ha parlato con chiarezza. 
testo integrale tratto da "La Repubblica" - 27 dicembre 2002