Le «distrazioni» su Cecenia e Timor Est
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LA PACE HA DUE VOLTI
ANCHE PER LA CHIESA
di ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA
Gli storici sono abituati da molto tempo a parlare delle azioni passate della Chiesa e dei Pontefici in termini laici (o se si vuole in termini storici, appunto): collocando cioè anche le motivazioni e gli atti di natura religiosa in una prospettiva profana, vale a dire articolata sulle categorie del potere, della politica, dell’organizzazione eccetera. Sono consapevole che applicare lo stesso metodo al presente urta più di una sensibilità, ma se vi si rinuncia, quale altra via resta allora se non il silenzio o un giudizio sempre e comunque programmaticamente positivo a meno che non sia dissenziente in termini religiosi? Davvero non posso credere che qualcuno voglia una cosa simile. Così come non credo, d’altra parte, che le osservazioni critiche riguardo un certo pacifismo cattolico possano essere considerate equivalenti ad un cieco appoggio ai progetti di Bush. Personalmente, ad esempio, penso che sin tanto che non vi sia una pronuncia delle Nazioni Unite, un attacco all’Iraq sarebbe da parte degli Usa un errore imperdonabile.
Tutto ciò premesso credo che sia un problema fondato nei fatti quello che scaturisce dall’immagine di forte unilateralità propria non da oggi del pacifismo del mondo cattolico che si richiama alla predicazione del Papa. I cui buoni motivi religiosi e le cui personali intenzioni di imparzialità non metto affatto in dubbio. Ma così come non mi sembra possa mettersi in dubbio che le suddette intenzioni naufraghino regolarmente di fronte alla parzialità con cui esse sono accolte da gran parte dei fedeli. Sarà di certo per qualche difetto della mia memoria, ma non riesco davvero a ricordare nessuna guerra o minaccia di guerra nel mondo che abbia suscitato un numero di marce, di veglie, di digiuni e di preghiere neppure lontanamente paragonabile a quello che sono soliti suscitare, invece, i conflitti in cui a qualsiasi titolo sono coinvolti gli Stati Uniti o Israele.
Faccio due esempi, pronto a ricredermi di fronte a fatti che mi smentiscano: quale mobilitazione ha espresso finora il mondo cattolico italiano di fronte alla guerra in Cecenia? Eppure, immagino, nessuno oserebbe sostenere che i lutti e i tormenti inflitti dai russi a quelle popolazioni siano inferiori (in realtà sono incommensurabilmente superiori) a quelli inflitti dagli americani alle popolazioni irachene. Come si spiega allora questa assenza di iniziative? Il secondo esempio riguarda i cattolici molto più direttamente. Si tratta di Timor Est, oggi finalmente indipendente e avviata alla libertà religiosa, ma dove dal 1975 al 2000 le truppe di invasione indonesiane costrinsero all’evacuazione forzata, ed internarono, metà (dico metà) della popolazione a maggioranza cristiana, e dove sono morte di fame, di malnutrizione, o vittime di una repressione feroce, almeno 200 mila persone, vale a dire un terzo (dico un terzo) degli abitanti della regione. Ebbene: quante veglie e quante manifestazioni sono state a suo tempo organizzate dai boyscout, quanti incontri per la pace sono stati indetti dai francescani di Assisi, per denunciare questa situazione? Chi conosce nel mondo cattolico il nome del vescovo di Timor Est, Ximenes Belo, premio Nobel per la Pace del 1996? In quante chiese italiane è stato invitato a parlare?
E’ difficile credere che tutto ciò sfugga alla Santa Sede e allo stesso Giovanni Paolo II. Credo che si preferisca però lasciare andare le cose come vanno per due ragioni, facilmente desumibili del resto dai due esempi citati: o perché specie da parte dei vertici della gerarchia non si vuole inasprire un contenzioso già abbastanza aspro (come sarebbe quello con la Russia postcomunista nel caso della Cecenia), ovvero perché si è consapevoli del fatto che nell’ambiente italiano il tema della «pace» è sentito tradizionalmente come un tema «di sinistra».
E in quanto tale stabilisce immediatamente un collegamento con il senso comune di sinistra, dunque con quella parte di cattolici orientati in questa direzione, e si reputa opportuno declinarlo in senso filoterzomondista per riequilibrare così l’immagine di un Pontificato che viceversa per altri aspetti appare inclinare piuttosto «a destra». Insomma, per essere più chiari e prendendo a prestito dalla politica il suo rozzo ma realistico linguaggio: fare una politica estera di taglio progressista per dare qualche soddisfazione agli scontenti di una linea politica interna di taglio conservatore. Usare insomma Arafat per far dimenticare Ratzinger, se è lecito esprimersi con questa semplicistica secchezza.
A chi fa discorsi come quelli sin qui fatti, si obietta di muovere dal presupposto (per altro il più delle volte taciuto) di una forzosa identificazione tra la Chiesa e l’Occidente, inteso per giunta in una versione che corrisponderebbe in pratica agli Stati Uniti. Di auspicare anzi tale identificazione, e di reagire con irritazione vedendola per l’appunto smentita dalle posizioni pacifiste della gerarchia e del Papa.
A me pare in verità proprio l’opposto. E cioè che siano precisamente le posizioni pacifiste della Chiesa cattolica la testimonianza più lampante del suo imprescindibile legame storico con questa parte del mondo, della sua appartenenza ad esso. Quelle posizioni, infatti, hanno senso storico e politico - del senso religioso, ripeto, non discuto: mi limito solo a chiedermi perché mai però esso risuoni e sia accolto con intensità diversa a seconda delle circostanze - quelle posizioni pacifiste, dicevo, hanno senso storico e politico vero solo perché trovano ascolto vasto nell’opinione pubblica occidentale, si inseriscono nel suo libero dibattito, la agitano e la commuovono, condizionano in vario modo i suoi governanti. E così servono a ribadire, insieme con l’influenza ideale e perciò politica della Chiesa nell’ambito dell’Occidente stesso, anche la sua specifica identità, irriducibile alle logiche dei poteri terreni in mezzo ai quali pure essa opera. A tutti questi scopi - che come si vede hanno senso e valore specialissimamente all’interno del rapporto con questa parte del mondo - servono le posizioni pacifiste. Dopotutto la Chiesa cattolica sa che solo all’Occidente, solo all’Europa e alle Americhe, alla culla della sua storia straordinaria, essa può parlare sicura che le sue parole non si perderanno. Altrove esse arriveranno invece fioche e lontane, o subiranno il filtro censorio di regimi ostili. Serviranno magari anche così: a procurarsi qualche utile benemerenza diplomatica da spendere diplomaticamente a tutela di sparute minoranze cristiane, ma, ahimè, a nulla di più.
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testo integrale tratto da "Il Corriere della Sera" - 13 gennaio 2003 |
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