Pace, se non ora quando?
Nella sala gremita di palazzo Marini Ingrao e Scalfaro lanciano il loro no alla guerra in fedeltà all'articolo 11 della costituzione, e spronano il Parlamento a intervenire. E' la memoria della II guerra mondiale che parla, condanna la subalternità atlantica del governo e critica gli spiragli lasciati dal Quirinale
di IDA DOMINIJANNI
ROMA
«Strano nel 2003, dopo tutto il cammino fatto dalla civiltà, trovarsi a dover tornare all'interrogativo guerra-non guerra», esordisce l'ex presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, convenuto con Pietro Ingrao («il mio Presidente» lo chiama affettuosamente Scalfaro ricordandolo presidente della camera) nella sala di palazzo Marini per spronare i parlamentari a fare tutto ciò che possono e ciò che devono per dire di no alla guerra sulla base dell'articolo 11 della Costituzione italiana. E' strano, ma è tragicamente vero. Tutto è cambiato da quando quell'aticolo, ricorda Scalfaro, fu votato all'unanimità, il 24 marzo del `47, dai costituenti che avevano vissuto la seconda guerra mondiale. Il mondo bipolare è diventato globale, e con i confini certi sembra aver perso la certezza delle Costituzioni nazionali e del diritto internazionale. Ma è così? I cambiamenti in corso ci autorizzano, come ogni giorno viene ventilato, a considerare la Costituzione superata, e a metterle i poteri dell'Onu in contrapposizione? Scalfaro e Ingrao sono lì per dire di no, e spiegare perché no alla sala gremita di parlamentari e di gente comune - in molti non riescono a entrare, «segno dei tantissimi che nel paese non vogliono la guerra, che vogliono pesare e che dovete riuscire a far pesare», dirà Ingrao rivolto ai deputati e senatori, quasi tutti dell'ala pacifista del centrosinistra, che ascoltano. Famiano Crucianelli e Alberto Monticone, sul palco con Rosi Bindi, hanno introdotto l'incontro, che si svolge lì a indicare che è il parlamento a doversi investire del ruolo di garante della Costituzione e della democrazia rappresentativa. Contro la vulgata dominante, che con
l'una considera superata anche l'altra.
Dunque, la vulgata dice che i pericoli del mondo globale, il terrorismo al primo posto, autorizzano l'Occidente a difendersi attaccando. Preventivamente, precisa Bush. Ma la logica dice che se è «preventiva», la guerra è d'attacco e non di difesa, tantomeno di legittima difesa. «L'idea della guerra di difesa si rovescia nel suo contrario», sintetizza Ingrao. Non è il primo passaggio: c'erano già state, negli anni novanta, le guerre "sante" e le guerre "giuste" a normalizzare la guerra che la Costituzione ripudia. Ma la guerra preventiva è un salto ulteriore: definitivo. C'è chi ne deduce che basta a dichiarare morta la Costituzione. «Ma se avanza la guerra preventiva, anche la Carta dell'Onu va in polvere», spiega Ingrao, «o almeno diventa arduo alzare la bandiera dell'Onu e tacere sulla guerra preventiva». Che è invece quello che la vulgata corrente fa. Dimenticando che, come ricorda Scalfaro, «le istituzioni internazionali per loro natura possono essere solo per la pace, non possono volere la guerra».
Dice di più, l'ex presidente della Repubblica. Sostiene che, qualora l'Onu desse la sua autorizzazione alla guerra preventiva contro l'Iraq, l'Italia non potrebbe che attestarsi sulla difesa della sua Carta costituzionale e dell'articolo 11. «Se non siamo in grado di farlo, tanto vale dichiarare che siamo a favore della guerra dichiarata dall'alleato più forte». Ecco, la questione dell'alleanza: uno dei concetti di base da ritirare fuori, sostiene Scalfaro. Perché «un'alleanza è tale solo a condizioni di parità. Se invece qualcuno sta in posizione di dominio, non si tratta di un'alleanza, e se qualcuno accetta questa posizione di dominio altrui non è alleato ma suddito. Una sudditanza che, quando è scelta, è il massimo del degrado: essere alleati comporta il diritto-dovere di far sentire la propria voce». Suona feroce la critica a Berlusconi e al suo modo di declinare le sue «amicizie personali», piovono applausi.
L'altro concetto di base da ripensare, per Scalfaro, è il concetto stesso di guerra. «Siamo convinti che la guerra è male assoluto, senza eccezioni? E riteniamo o no che sia il raziocinio, e la capacità di dialogo, a qualificare l'uomo?». Il dettato costituzionale del ripudio della guerra deriva da questa convinzione. Quanto è ancora viva, nella coscienza e nella memoria d'inizio millennio? Dice Ingrao che è viva, come l'affluenza a questa e ad altre iniziative di pace dimostra. Che, però, bisogna saperle dare voce. A questo servivano e servono tuttora i parlamenti. A questo servirebbe una democrazia che si voglia davvero decentrata e federale, a dare, non a togliere voce. Perciò è l'ora, «se non ora quando», che il parlamento si riunisca e che discuta, e che sappia dire no: «Su di voi - si rivolge ai parlamentari - pesa il compito di appurare se regge ancora e se ha valore la legge fondamentale di questo paese, e anche quanto la nazione italiana può incidere sulle decisioni delicatissime che attendono il giovane parlamento europeo. Diciamoci la verità: c'è chi considera ormai un pesante ingombro queste assermblee, questi luoghi della rappresentanza di fronte al nuovo potere dei capi. Non qui, non noi». Dipende dal parlamento, anche dal parlamento, «chiarire se la Costituzione in nome della quale giura il presidente della Repubblica è consumata, o ancora vive e ha un domani la sua grande domanda di pace». No, non convince né Ingrao né Scalfaro il modo in cui il presidente Ciampi sta risolvendo il dilemma, difendendone il dettato ma sub condicione delle decisioni dell'Onu, e lasciando aperta la porta alla partecipazione dell'Italia a operazioni antiterrorismo. «Il terrorismo
non si combatte con le cannonate», dice Scalfaro, anzi con le cannonate, dice Ingrao, non si fa che lanciare ai kamikaze il messaggio che altro non resta da fare che suicidarsi.
testo integrale tratto da "Il manifesto" - 16 gennaio 2003
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