«Pace, la sola possibile»
Parla Rosi Bindi: «Bisogna smettere di pensare che ai movimenti spetti predicare la pace e alla politica amministrare la guerra. La pace è l'unico realismo possibile anche per chi non è mosso da motivazione etiche»


di COSIMO ROSSI


«Oggi credo che spetti al centrosinistra dimostrare che l'unico realismo possibile è la pace». Perché per Rosi Bindi, «la pace conviene, così come la solidarietà conviene». Al centrosinistra conviene perciò interrogarsi sul significato e l'attualità dell'articolo 11 della Costituzione, sul quale alcuni deputati hanno chiamato a discutere Pietro Ingrao e Oscar Luigi Scalfaro. «L'incontro - spiega Bindi - è stato organizzato da alcuni di noi ricorrendo al preziosissimo aiuto di due padri della patria appartenenti alle due culture storiche che hanno scritto la Costituzione, che hanno contribuito da sponde diverse a fare del nostro paese una grande democrazia». Ai due costituenti, prosegue, «abbiamo chiesto di leggerci l'articolo 11 nell'attuale contesto, che cosa vuol dire oggi, in contesto internazionale molto diverso da quando fu scritta la Costituzione, che l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversi internazionali».

Sempre più spesso si sente mettere l'accento sulla seconda parte dell'articolo 11 (quella che acconsente alle «limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni...»). E non solo da destra, anche dal centrosinistra...

Ecco, noi invece vorremmo una lettura integrale dell'articolo 11. E abbiamo organizzato questo incontro prevalentemente per noi parlamentari, che saremo chiamati a prendere delle decisioni. Ma l'incontro sarà aperto anche a tutti coloro che sono interessati, a quanti hanno lavorato in questo periodo per la pace.

Voi parlerete di pace e Costituzione in Italia proprio nel momento in cui l'Europa sta scrivendo la propria carta. Non c'è qualcosa di allarmante e contraddittorio in questo sforzo di attualizzare il pacifismo di alcune costituzioni nazionali mentre l'Europa non riesce ad assumere una posizione univoca?

La forza dell'Europa è nella sua stessa esistenza e nella sua tenacia: il suo allargamento, l'approfondimento delle sue istituzioni. La sua debolezza resta ancora tutta politica. Quindi è chiaro che la mancanza di una politica estera comune rende l'Europa debole. Ma è altrettanto chiaro che si fa di tutto in questo momento, soprattutto da parte delle destre, per frenare il consolidarsi di una politica estera comune. Perché un'Europa più forte e unita sarebbe - come in parte lo è già dal punto di vista economico - un bel contrappeso rispetto agli Stati uniti: un contrappeso alleato, con una sua forza che in qualche modo potrebbe anche preludere, rappresentare davvero la base di un nuovo ordine internazionale. Ma proprio per queste ragioni, non è il momento in cui verrà accelerata una posizione comune in politica estera. Anche se una posizione è stata assunta dall'Europa, che in complesso ha respinto l'idea della guerra preventiva. Salvo poi non riuscire vincolare tutti a queste decisioni, in particolare gli inglesi.

Dal Palasport di Firenze si è chiesto tra le altre cose di inserire nella futura Costituzione europea un principio analogo a quello dell'articolo 11. Siamo ancora in tempo?

Mi pare che sia una battaglia sacrosanta, e credo che gi spazi in politica ci siano sempre. Per certi punti di vista, non ci dovrebbe neanche essere il bisogno di farla, questa battaglia. E' un po' come la dignità della persona: un'Europa che scrive la sua carta costituzionale e non recepisce quello che è sicuramente un contenuto della maggioranza della carte di tutti i paesi fondatori (basta pensare a Germania e Italia) sarebbe ben poca cosa.

In piccolo non vale forse anche per il centrosinistra italiano?

Quando abbiamo fatto al prima assemblea dell'Ulivo ci siamo appunto interrogati su quelle che erano le priorità. E io ne ho indicate due: la pace e le politiche economiche e sociali. Un programma futuro dell'Ulivo non può ignorare questi due aspetti. Ora si aggiungono le riforme. Ma credo che tutto ciò rappresenti una grande opportunità anche per il rapporto tra politica e movimenti.

A questo proposito il pacifismo cattolico sembra sempre consentito, tollerato in nome della sua giustificazione etica. A sinistra, invece, sembra esserci sempre il bisogno ci contrapporre la «ragion politica». Non c'è un fondamento razionale, oltre che etico, al pacifismo?

Ma insomma! Non è che ai movimenti spetti predicare la pace e ai politici spetti di amministrare la guerra; per cui la pace è un tema prepolitico, etico, morale. Oggi io credo che spetti al centrosinistra dimostrare che l'unico realismo possibile è proprio la pace. Come del resto l'unico realismo possibile è la solidarietà. Perché anche se uno non è mosso da una preoccupazione etica, io credo che convenga la pace. C'è un senso utilitaristico di alcuni valori sui quali vale la pena convincere il mondo. Vale anche per la divisione nord-sud. Io credo valga la pena affrontare alla radice lo squilibrio e la disuguaglianza tra nord e sud: ormai il 20 per cento del mondo ricco avverte chiaramente che ne va della propria sicurezza. Il fenomeno del terrorismo che cos'è se non questo?

Eppure gran parte delle sinistre di governo, non solo italiane, in questi anni hanno avuto difficoltà a sottrarsi alla legittimazione della guerra...

Credo che il nodo culturale fondamentale stia nel riuscire a capire tutti insieme che o la politica fa un salto di qualità nei confronti delle tematiche internazionali, oppure destina se stessa a non contare. Voglio dire: siamo tutti per la pace, questa idea che i movimenti predicano la pace e la politica costruisce la guerra non sta da nessuna parte. Diciamo che la differenza culturale sta nel valutare se la pace sia ancora perseguibile attraverso una sorta di continuismo con gli strumenti di politica internazionale che sono stati adottati fino a oggi, o se invece abbiamo la capacità di collocarci in un contesto che è profondamente cambiato e con pratiche nuove.

E non è la stessa differenza cultura e la stessa sfida che in questo momento crea tante tensioni nel centrosinistra?

Devo dire, però, che questa sfida la vedo un po' più facile della prima.

Davvero?

Sì. Alla fine ce la faremo. Ma sarà sempre nelle cose, nei contenuti che troveremo una risposta.

testo integrale tratto da "Il Manifesto" - 15 gennaio 2003
 

Casella di testo: «Pace, la sola possibile»
Parla Rosi Bindi: «Bisogna smettere di pensare che ai movimenti spetti predicare la pace e alla politica amministrare la guerra. La pace è l'unico realismo possibile anche per chi non è mosso da motivazione etiche»

di COSIMO ROSSI

«Oggi credo che spetti al centrosinistra dimostrare che l'unico realismo possibile è la pace». Perché per Rosi Bindi, «la pace conviene, così come la solidarietà conviene». Al centrosinistra conviene perciò interrogarsi sul significato e l'attualità dell'articolo 11 della Costituzione, sul quale alcuni deputati hanno chiamato a discutere Pietro Ingrao e Oscar Luigi Scalfaro. «L'incontro - spiega Bindi - è stato organizzato da alcuni di noi ricorrendo al preziosissimo aiuto di due padri della patria appartenenti alle due culture storiche che hanno scritto la Costituzione, che hanno contribuito da sponde diverse a fare del nostro paese una grande democrazia». Ai due costituenti, prosegue, «abbiamo chiesto di leggerci l'articolo 11 nell'attuale contesto, che cosa vuol dire oggi, in contesto internazionale molto diverso da quando fu scritta la Costituzione, che l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversi internazionali».

Sempre più spesso si sente mettere l'accento sulla seconda parte dell'articolo 11 (quella che acconsente alle «limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni...»). E non solo da destra, anche dal centrosinistra...

Ecco, noi invece vorremmo una lettura integrale dell'articolo 11. E abbiamo organizzato questo incontro prevalentemente per noi parlamentari, che saremo chiamati a prendere delle decisioni. Ma l'incontro sarà aperto anche a tutti coloro che sono interessati, a quanti hanno lavorato in questo periodo per la pace.

Voi parlerete di pace e Costituzione in Italia proprio nel momento in cui l'Europa sta scrivendo la propria carta. Non c'è qualcosa di allarmante e contraddittorio in questo sforzo di attualizzare il pacifismo di alcune costituzioni nazionali mentre l'Europa non riesce ad assumere una posizione univoca?

La forza dell'Europa è nella sua stessa esistenza e nella sua tenacia: il suo allargamento, l'approfondimento delle sue istituzioni. La sua debolezza resta ancora tutta politica. Quindi è chiaro che la mancanza di una politica estera comune rende l'Europa debole. Ma è altrettanto chiaro che si fa di tutto in questo momento, soprattutto da parte delle destre, per frenare il consolidarsi di una politica estera comune. Perché un'Europa più forte e unita sarebbe - come in parte lo è già dal punto di vista economico - un bel contrappeso rispetto agli Stati uniti: un contrappeso alleato, con una sua forza che in qualche modo potrebbe anche preludere, rappresentare davvero la base di un nuovo ordine internazionale. Ma proprio per queste ragioni, non è il momento in cui verrà accelerata una posizione comune in politica estera. Anche se una posizione è stata assunta dall'Europa, che in complesso ha respinto l'idea della guerra preventiva. Salvo poi non riuscire vincolare tutti a queste decisioni, in particolare gli inglesi.

Dal Palasport di Firenze si è chiesto tra le altre cose di inserire nella futura Costituzione europea un principio analogo a quello dell'articolo 11. Siamo ancora in tempo?

Mi pare che sia una battaglia sacrosanta, e credo che gi spazi in politica ci siano sempre. Per certi punti di vista, non ci dovrebbe neanche essere il bisogno di farla, questa battaglia. E' un po' come la dignità della persona: un'Europa che scrive la sua carta costituzionale e non recepisce quello che è sicuramente un contenuto della maggioranza della carte di tutti i paesi fondatori (basta pensare a Germania e Italia) sarebbe ben poca cosa.

In piccolo non vale forse anche per il centrosinistra italiano?

Quando abbiamo fatto al prima assemblea dell'Ulivo ci siamo appunto interrogati su quelle che erano le priorità. E io ne ho indicate due: la pace e le politiche economiche e sociali. Un programma futuro dell'Ulivo non può ignorare questi due aspetti. Ora si aggiungono le riforme. Ma credo che tutto ciò rappresenti una grande opportunità anche per il rapporto tra politica e movimenti.

A questo proposito il pacifismo cattolico sembra sempre consentito, tollerato in nome della sua giustificazione etica. A sinistra, invece, sembra esserci sempre il bisogno ci contrapporre la «ragion politica». Non c'è un fondamento razionale, oltre che etico, al pacifismo?

Ma insomma! Non è che ai movimenti spetti predicare la pace e ai politici spetti di amministrare la guerra; per cui la pace è un tema prepolitico, etico, morale. Oggi io credo che spetti al centrosinistra dimostrare che l'unico realismo possibile è proprio la pace. Come del resto l'unico realismo possibile è la solidarietà. Perché anche se uno non è mosso da una preoccupazione etica, io credo che convenga la pace. C'è un senso utilitaristico di alcuni valori sui quali vale la pena convincere il mondo. Vale anche per la divisione nord-sud. Io credo valga la pena affrontare alla radice lo squilibrio e la disuguaglianza tra nord e sud: ormai il 20 per cento del mondo ricco avverte chiaramente che ne va della propria sicurezza. Il fenomeno del terrorismo che cos'è se non questo?

Eppure gran parte delle sinistre di governo, non solo italiane, in questi anni hanno avuto difficoltà a sottrarsi alla legittimazione della guerra...

Credo che il nodo culturale fondamentale stia nel riuscire a capire tutti insieme che o la politica fa un salto di qualità nei confronti delle tematiche internazionali, oppure destina se stessa a non contare. Voglio dire: siamo tutti per la pace, questa idea che i movimenti predicano la pace e la politica costruisce la guerra non sta da nessuna parte. Diciamo che la differenza culturale sta nel valutare se la pace sia ancora perseguibile attraverso una sorta di continuismo con gli strumenti di politica internazionale che sono stati adottati fino a oggi, o se invece abbiamo la capacità di collocarci in un contesto che è profondamente cambiato e con pratiche nuove.

E non è la stessa differenza cultura e la stessa sfida che in questo momento crea tante tensioni nel centrosinistra?

Devo dire, però, che questa sfida la vedo un po' più facile della prima.

Davvero?

Sì. Alla fine ce la faremo. Ma sarà sempre nelle cose, nei contenuti che troveremo una risposta.
testo integrale tratto da "Il Manifesto" - 15 gennaio 2003