la sfida del secolo

Onu: l’Aids è fuori controllo

da Barcellona Michela Coricelli

«L'epidemia non è che agli inizi». L’allarme lanciato da Peter Piot, direttore dell’Unaids (l’agenzia dell’Onu per la lotta contro l’Aids), si basa su un dato drammatico: entro il 2020 il virus avrà ucciso 68 milioni di persone. Una spada di Damocle sulla testa del mondo, di tutto il mondo. «Perché l’Aids non conosce frontiere» spiega Luiz Loures, direttore per l’Europa e l’America dell’organismo delle Nazioni Unite. «Oggi servono più investimenti, più risorse. Non bastano più i programmi politici di facciata» aggiunge Loures, che ammette: «L’epidemia sta crescendo molto di più di quello che avevamo previsto. La verità è che l’Aids non conosce un tetto massimo». Fino a una ventina di anni fa, la “speranza” (seppur tragica) degli esperti, era che la diffusione del virus – in particolare nell’Africa subsahariana – avrebbe raggiunto un suo «limite naturale», oltre il quale il tasso di infezione non sarebbe più cresciuto. Ma la realtà ha superato le previsioni più pessimistiche: in Botswana il 40% degli adulti è affetto da Hiv, mentre nello Zimbabwe la malattia ha già colpito un terzo della popolazione. Negli ultimi 20 anni oltre 60 milioni di persone hanno contratto l’Hiv, e

solo nel 2001 tre milioni sono state le persone uccise dal morbo.

 L’allarme non riguarda solo i Paesi più poveri: l’immigrazione, il crollo delle strutture familiari, l’insicurezza sociale, hanno ampliato enormemente le cosiddette “categorie a rischio”.

La XIV Conferenza Internazionale dell’Aids di Barcellona (dal domani fino al 12 luglio) «è un punto di snodo fra le due prime decadi in cui si è diffuso l’Aids e il futuro della lotta contro la malattia: è il momento cruciale in cui cominciamo a renderci veramente conto della portata dell’epidemia» avverte Loures. Ma le risorse economiche non bastano. Nel Sud del mondo la spesa globale prevista per il 2002 è di 2,8 miliardi di dollari: secondo l’Unaids, nei Paesi meno sviluppati servono tra i sette e i 10 miliardi di dollari per avviare programmi di prevenzione e cure efficaci. I governi africani non hanno fondi, basti l’esempio del Ruanda: il 93% della spesa legata all’Aids viene sborsata di tasca propria dai cittadini. Non hanno denaro per i trattamenti anti-retrovirali, ma non hanno neppure i fondi per formare personale medico. La solidarietà delle regioni più ricche, invece di aumentare, è diminuita: gli aiuti per l’Africa, che nel 1990 erano pari a 36 dollari per persona, nel 1999 sono scesi a 20 dollari. La promessa di innalzare allo 0,7% del Pil gli aiuti allo sviluppo da parte dei Paesi ricchi (una chimera di cui si parla dal 1970), nel 2000 era stata onorata soltanto da quattro Stati. Se nei prossimi due decenni l’Aids divorerà 55 milioni di vite nell’Africa subsahariana (nel continente vivono i due terzi dei sieropositivi mondiali), un nuovo allarme riguarda oggi l’Asia: «La Cina e l’India (i due Paesi più popolosi del mondo con oltre un miliardo di abitanti a testa), sono sedute su una bomba a orologeria». La Cina ha registrato un aumento del 67% di infezioni nei primi sei mesi del 2001: migliaia di casi sono dovuti a trasfusioni di sangue infetto, mentre l’uso di droghe iniettate è cresciuto in modo esponenziale. In Thailandia (con una popolazione di 63,6 milioni di abitanti), una persona su 100 è stata colpita dall’Hiv. Di fronte alle cifre dell’epidemia, gli obiettivi dell’Unaids sembrano fin troppo ambiziosi: nei Paesi più colpiti, ridurre il 25% dell diffusione di Hiv nei giovani fra i 15 e i 24 anni entro il 2005, mentre nel resto del mondo la diminuzione del 25% dei casi dovrebbe essere raggiunta nel 2010. «Investire nei trattamenti è un meccanismo fondamentale per l’economia mondiale», continua Loures. L’Aids mette in ginocchio il Prodotto interno lordo di intere regioni, aumenta la povertà, falcia la fascia più attiva della popolazione (nel 2005 il Botswana avrà perso il 17% della forza lavoro), fa crollare il tasso di scolarizzazione e il livello dell’educazione (a Manicaland, nello Zimbabwe, il 19% dei maestri e il 29% delle maestre è affetto dall’Hiv).

La speranza di vita media nell’Africa subsahariana è crollata a 47 anni (livelli pari agli anni ’50): senza l’Aids avrebbe raggiunto i 62 anni.

Ma forse la cifra più scioccante con la quale la comunità internazionale deve fare i conti è quella relativa agli orfani per Aids: alla fine del 2001 in tutto il mondo erano 14 milioni. Il doppio della popolazione svizzera.

                                                                                                  da " Avvenire" Sabato 6 luglio 2002