Tra guerra e pace, scenari e rischi

 

UN MONDO SCOSSO E IN SALA D’ATTESA

di Alberto Ronchey

 

Disinnescare la «bomba Saddam» rimane il compito primario e dichiarato della guerra con l’Iraq, sia pure prevista ormai a più lungo termine. Ma si attribuiscono a George Bush anche altre motivazioni, subordinate o complementari secondo un ordine variabile. Washington, segnalano gli esperti nelle tecnologie militari avanzate, può con l'occasione sperimentare le più recenti armi del Pentagono. Esempi, gli esplosivi a microonde, i potenti sensori di guida per satelliti, gli aggiornati radar e visori notturni, i circuiti della strategia integrata fra nuovi missili e aerei, elicotteri e mezzi corazzati. Lo sviluppo delle armi procede ancora, senza tregua, da quando Diderot avvertiva che l’artiglieria campale aveva trasformato «la faccia della terra» instaurando le frontiere stabili e disegnando la moderna geografia politica. Ora, dopo la rivoluzione atomica, i sistemi d’armi dell’era telematica e satellitare verrebbero destinati alla dimostrazione che «un ordine internazionale tutelato» è perseguibile, malgrado le innumerevoli conflittualità del nostro tempo.
Fra gli osservatori economici, affiora spesso la convinzione che a ragione o a torto Bush sia fiducioso nella spesa del Pentagono per accrescere il prodotto lordo degli Stati Uniti facendo leva sul potenziale propulsivo del così detto «apparato militare industriale», high tech , Raytheon, Trw, Lockheed, Boeing, cantieristica navale. Ma il dollaro, che da qualche tempo ha subìto perdite nei cambi con l’euro, il franco svizzero, lo yen, quanto potrà sopportare i costi dell’impresa bellica? Proprio in tempi di guerra, si ricorda, è stato sempre «la moneta rifugio».
Nella prospettiva del dopoguerra, è parere comune altresì che la superpotenza vorrà insediarsi a presidiare il Golfo Persico, non solo centro della geografia petrolifera, ma insieme fonte di occulte sovvenzioni e vivaio di reclute per il terrorismo islamico. Sulla portata del potere che deriva dal controllo delle massime riserve mondiali di greggio, rimane come indimenticabile dato d’esperienza storica l’embargo d’ogni esportazione decretato nel 1973 dopo la guerra del Kippur dall’ Oil power arabo, che provocò inflazioni a due cifre all’interno delle società industriali prive di giacimenti e private di energia motrice.
Sullo sfondo dello scenario, tra le motivazioni di Bush, è sicura poi la sua candidatura per il secondo mandato presidenziale, che include l'aspirazione a raccogliere il decisivo consenso elettorale delle associazioni legate a Israele. Ma il catalogo delle incognite, benché numerosi rischi siano calcolati, rimane considerevole per il disinnesco della «bomba Saddam», se davvero è innescata.
Bagdad può usare missili Scud, come già nel ’91, per coinvolgere Israele. Pozzi petroliferi e oleodotti possono saltare, non solo nell’Iraq. Il Kurdistan, diviso tra cinque Stati, può esplodere presso l’infiammabile frontiera con la Turchia. L’Iran può fomentare nell’Iraq a proprio vantaggio il secessionismo degli sciiti, 62 per cento della popolazione. L’Arabia Saudita può subire non solo manovre di palazzo, ma turbolenze dell’integralismo islamico sulle piazze. La guerra da ultimo può favorire ancora il reclutamento dei terroristi, per opera di Al Qaeda o altre sette.
E in sintonia con l’approssimarsi dell’ora «X» nel Medio Oriente, insorge nell’Estremo Oriente la sfida nucleare nordcoreana. Finora neanche Pechino, se la notizia è credibile, riesce a distogliere Pyongyang dal nucleare.
Donald Rumsfeld, ministro del Pentagono, ha di recente avvertito che la superpotenza può affrontare anche due guerre. Dopo Saddam Hussein, Kim Jong Il?

 testo integrale tratto da "Il Corriere della Sera"- 15 gennaio 2003

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Casella di testo: Tra guerra e pace, scenari e rischi


UN MONDO SCOSSO E IN SALA D’ATTESA

di Alberto Ronchey

Disinnescare la «bomba Saddam» rimane il compito primario e dichiarato della guerra con l’Iraq, sia pure prevista ormai a più lungo termine. Ma si attribuiscono a George Bush anche altre motivazioni, subordinate o complementari secondo un ordine variabile. Washington, segnalano gli esperti nelle tecnologie militari avanzate, può con l'occasione sperimentare le più recenti armi del Pentagono. Esempi, gli esplosivi a microonde, i potenti sensori di guida per satelliti, gli aggiornati radar e visori notturni, i circuiti della strategia integrata fra nuovi missili e aerei, elicotteri e mezzi corazzati. Lo sviluppo delle armi procede ancora, senza tregua, da quando Diderot avvertiva che l’artiglieria campale aveva trasformato «la faccia della terra» instaurando le frontiere stabili e disegnando la moderna geografia politica. Ora, dopo la rivoluzione atomica, i sistemi d’armi dell’era telematica e satellitare verrebbero destinati alla dimostrazione che «un ordine internazionale tutelato» è perseguibile, malgrado le innumerevoli conflittualità del nostro tempo. 
Fra gli osservatori economici, affiora spesso la convinzione che a ragione o a torto Bush sia fiducioso nella spesa del Pentagono per accrescere il prodotto lordo degli Stati Uniti facendo leva sul potenziale propulsivo del così detto «apparato militare industriale», high tech , Raytheon, Trw, Lockheed, Boeing, cantieristica navale. Ma il dollaro, che da qualche tempo ha subìto perdite nei cambi con l’euro, il franco svizzero, lo yen, quanto potrà sopportare i costi dell’impresa bellica? Proprio in tempi di guerra, si ricorda, è stato sempre «la moneta rifugio». 
Nella prospettiva del dopoguerra, è parere comune altresì che la superpotenza vorrà insediarsi a presidiare il Golfo Persico, non solo centro della geografia petrolifera, ma insieme fonte di occulte sovvenzioni e vivaio di reclute per il terrorismo islamico. Sulla portata del potere che deriva dal controllo delle massime riserve mondiali di greggio, rimane come indimenticabile dato d’esperienza storica l’embargo d’ogni esportazione decretato nel 1973 dopo la guerra del Kippur dall’ Oil power arabo, che provocò inflazioni a due cifre all’interno delle società industriali prive di giacimenti e private di energia motrice. 
Sullo sfondo dello scenario, tra le motivazioni di Bush, è sicura poi la sua candidatura per il secondo mandato presidenziale, che include l'aspirazione a raccogliere il decisivo consenso elettorale delle associazioni legate a Israele. Ma il catalogo delle incognite, benché numerosi rischi siano calcolati, rimane considerevole per il disinnesco della «bomba Saddam», se davvero è innescata. 
Bagdad può usare missili Scud, come già nel ’91, per coinvolgere Israele. Pozzi petroliferi e oleodotti possono saltare, non solo nell’Iraq. Il Kurdistan, diviso tra cinque Stati, può esplodere presso l’infiammabile frontiera con la Turchia. L’Iran può fomentare nell’Iraq a proprio vantaggio il secessionismo degli sciiti, 62 per cento della popolazione. L’Arabia Saudita può subire non solo manovre di palazzo, ma turbolenze dell’integralismo islamico sulle piazze. La guerra da ultimo può favorire ancora il reclutamento dei terroristi, per opera di Al Qaeda o altre sette. 
E in sintonia con l’approssimarsi dell’ora «X» nel Medio Oriente, insorge nell’Estremo Oriente la sfida nucleare nordcoreana. Finora neanche Pechino, se la notizia è credibile, riesce a distogliere Pyongyang dal nucleare. 
Donald Rumsfeld, ministro del Pentagono, ha di recente avvertito che la superpotenza può affrontare anche due guerre. Dopo Saddam Hussein, Kim Jong Il? 
 testo integrale tratto da "Il Corriere della Sera"- 15 gennaio 2003