Locomotiva di debiti
Esplode il deficit commerciale Usa, cala la produzione, crollano le borse
di FRANCESCO PICCIONI
Stavolta Wall Street non ha neppure tentato di far finta di niente. In un solo giorno lo stillicidio di notizie «non proprio buone» è diventata grandine a grana grossa di news pessime. In rapida successione: la produzione industriale del mese di dicembre si è rivelata inferiore dello 0,2% rispetto a quella del mese precedente, il grado di utilizzo degli impianti è sceso dal 75,6% al 75,4, il deficit commerciale con l'estero a novembre ha aggiunto altri 40,1 miliardi di dollari alla montagna già esistente, la fiducia dei consumatori - misurata mensilmente dall'università del Michigan - è scesa da 86,7 a 83,7, numerose star tra le blue chip di borsa hanno diramato relazioni trimestrali peggiori delle attese, o comunque con prospettive non rosee per l'anno appena iniziato. Guardando più da vicino questi numeri si può ricavare una visione peggiorativa della prima impressione. La nuova caduta nei livelli produttivi è infatti arrivata inattesa (gli analisti puntavano a un modesto +01,%. Ma, soprattutto, si tratta di un calo che porta il dato definitivo del 2002 a un -0,6% totale rispetto all'anno precedente che, a sua volta, era stato altrettanto negativo. Insomma: era dal 1974-75 (quando stava finendo la guerra in Vietnam e scoppiava lo scandalo Watergate) che non si verificava una doppia flessione consecutiva. E non consola la constatazione la responsabilità principale sia da addebitare al cedimento del settore automobilistico; il tasso core sarebbe rimasto comunque invariato, evidenziando come minimo una brutta stagnazione.
Il dato, deficitario, del commercio con l'estero rappresenta il disavanzo più alto mai registrato in un solo mese. Abbiamo scritto spesso che se a trovarsi in una situazione simile (se non altro in proporzione, non certo come cifre assolute) fosse un altro paese, il G8 o qualsiasi altra istituzione finanziaria internazionale lo avrebbero dichiarato in default. E le portaerei statunitensi avrebbero salpato le ancore in quella direzione. Ora anche Joseph Stiglitz - premio Nobel ed ex vicepresidente della Banca mondiale - si chiede (sulle colonne del Corriere della sera ) «fino a quando dall'estero continueranno essere concessi prestiti agli Usa, con tutti i suoi problemi, a un interesse in eccesso di un miliardi di dollari al giorno»? Più che una domanda è un avvertimento: non per molto, e i mercati lo sanno.
La fiducia dei consumatori in gennaio, in grave calo (gli analisti la prevedevano addirittura in crescita), viene considerata come una manifestazione di rigetto nei confronti del «pacchetto di stimoli all'economia» appena annunciato da Bush. Molti sgravi per i ricchi, tagli alla spesa pubblica e poche agevolazioni per i medio-poveri. Ossia per la gran massa dei consumatori, che non correranno a comprare altro che il necessario, rallentando perciò la già fiacca produzione.
Infine le grandi corporation. Il settore hi tech, cuore della crescita anni '90, continua a restare in semi-agonia. Intel ha fornito dati trimestrali in fondo buoni, ma ha annunciato un taglio degli investimenti e un fatturato - nel primo trimestre di quest'anno - probabilmente al di sotto delle attese. Ibm ha chiuso l'anno con un fatturato in crescita, ma con profitti in calo del 56% rispetto al 2001. Microsoft certifica buoni risultati per il periodo appena concluso, ma prospettive molto incerte per l'anno in corso (nonostante per la prima volta abbia distribuito un dividendo agli azionisti). Buio pesto, invece, per Amd (microprocessori) che annuncia perdite superiori alle attese, per Sun Microsystem (idem) ed Apple McIntosh.
Si salva la old economy, ma solo in parte. General Motors e General Electric brindano allo scampato pericolo, ma Home Depot (grande distribuzione del fai-da-te) lancia un altro profit warning.
Le borse mondiali l'hanno presa malissimo, azzerando (chi li aveva accumulati) i guadagni di inizio anno. E la guerra ancora non c'è.
testo integrale tratto da "Il manifesto" - 18 gennaio 2003
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