OIL GAMES.
I nodi del petrolio
Nessuno vuole il gas naturale dell'Arabia saudita?
di GUGLIELMO RAGOZZINO
Il principale schema nel gioco dell'energia globale consiste nel far arrivare la benzina alle stazioni di servizio Usa, nella quantità richiesta e con prezzi alla pompa contenuti. Siccome l'american way of life dipende molto dall'auto e d'altro canto l'uso di motorizzazioni alternative è rimandato a data da destinarsi, il petrolio torna ad essere la linfa stessa delle civiltà, da difendere a tutti costi, anche preventivamente, anche con la guerra. In questi giorni si intersecano tre diversi sottoschemi: uno riguarda il petrolio siberiano, l'altro il petrolio del Caspio, il terzo il gas saudita. Il caso del gas saudita è esemplare: dimostra come anche un paese ricco e potente come l'Arabia possa essere obbligato alla «monocultura». Da molto prima dell'11 settembre due altissimi dignitari sauditi, il ministro degli esteri Saud al-Faisal e il principe ereditario Abdullah hanno offerto alle compagnie petrolifere più rinomate di intervenire in Arabia per sfruttare il gas naturale. Exxon Mobil, Shell, Bp, TotalFinaElf, Occidental, Phillips, Conoco, Marathon sono le otto sorelline che potendo rientrare nel paradiso del petrolio, trent'anni dopo cacciata, hanno tergiversato, discutendo sul prezzo di 25 miliardi di dollari e mettendo in gravi difficoltà i principi loro alleati di fronte ad altri dignitari del reame, decisamente contrari all'idea di ridare spazio alle compagnie di Usa ed Europa e contrari ancor di più alla prospettiva di consegnare con l'accordo con gli stranieri, un altro brandello di potere all'erede al trono e al suo alleato ministro degli esteri.
L'estrazione del gas naturale, è attualmente trascurata in Arabia saudita, nonostante sia il quarto paese per riserve al mondo, dopo Russia, Iran e Qatar. La produzione di petrolio è molto più remunerativa, sia per l'Aramco che l'estrae che per le compagnie che movimentano petrolio e prodotti raffinati. L'utilizzo del gas invece potrebbe offrire un modello energetico e sociale diverso e modernizzante; ed è anche su questo punto che le due oligarchie si scontrano.
Le compagnie occidentali che trattano sul prezzo, forse preferiscono l'Arabia saudita così com'è: con tanto petrolio facile e con tantissimo deserto. L'Arabia saudita aveva sempre tenuto il centro dell'Opec, a sua volta al centro del sistema mondiale del petrolio. Ora le grandi compagnie occidentali, appoggiate dalle compagnie russe, vogliono ridurre Opec e Arabia suadita al ruolo di comprimari.
In Medio oriente è sempre più vicina una soluzione per l'Iraq e il suo petrolio. Con le buone o le cattive, esso rientrerà nella disponibilità assoluta dell'occidente. L'Iraq fornisce attualmente il 2% del petrolio consumato negli Usa, mentre l'Arabia saudita ne fornisce il 17%, contro il 16% di Messico e Canada. La Russia fornisce meno dell'1% ma per la prima volta compare nell'elenco dei 15 primi fornitori. La strategia è quella di sviluppare le forniture dalla Russia. Ci sono due vie: una è il corridoio in direzione ovest, attraverso Russia, Bielorussia, Ucraina, Ungheria, Slovacchia e Croazia fino all'imbarco in enormi petroliere che attraversato l'Adriatico e altri mari a noi ben noti, trasportino il greggio sulla sponda orientale Usa, dopo un viaggio per mare di 8.000 chilometri.
La novità è l'accordo tra i paesi attraversati dal tubo: essi si sono accordati nel chiedere 60 centesimi di dollaro per tonnellata ogni 100 chilometri di percorso. L'alternativa è un rapprto tra Russia e Usa. La Lukoil, compagnia che ha raccolto molta parte dell'eredità del sistema petrolifero sovietico, si propone di riattare il porto di Murmansk, un terminale siberiano libero dai ghiacci tutto l'anno e utilizzarlo per petroliere da 300 mila tonnellate. Una parte del greggio potrebbe arrivare a bordo di petroliere rompighiaccio dai giacimenti di Timan-Pechora, cambiare vettore nel porto di Murmansk e viaggiare verso la California, con un percorso di 7 mila chilometri o poco più. I costi sarebero competitivi e taglierebbero fuori i porti europei del nord, come Anversa e Rotterdam.
Infine il caso del petrolio del Caspio. E' la soluzione più alternativa, giocata contro la Russia, oltre che contro i tradizionali padroni del petrolio, e con una presenza forte delle imprese europee che a volte - come l'Eni per il giacimento di Kashagan in Kazakhstan - fanno da capofila. Ogni tanto arrivano notizie di ritrovamenti importanti che riguardano anche le altre repubbliche exsovietiche alla frontiera della Russia. La Russia deve stare molto attenta a come si muove. Anche i suoi esami - esami di buona condotta capitalistica - non finiscono mai. E nel frattempo, per tenerla buona, si sposta sempre più in là l'inizio della produzione.
testo integrale tratto da "Il Manifesto" - 2 ottobre 2002