L'Italia di domani si collauda sui banchi

Il coraggio di integrare
In classe più facile

di Luisa Bassani

Cosa chiedono i bambini stranieri e le loro famiglie? Nella stragrande maggioranza dei casi chiedono di integrarsi, e lo chiedono in primo luogo alla scuola. La parola integrazione - talvolta guardata con sospetto - non deve in realtà spaventare: la sua origine etimologica sta nell'aggettivo latino "integrum", cioè non toccato, intatto, e non ha in sé alcun significato di manipolazione, colonizzazione o, tanto meno, di omologazione, ma solo un senso di intero, pieno, mentre il suo contrario "disintegrato" indica una completa distruzione.
A scuola l'integrazione è tendenzialmente più favorita perché quello è luogo di incontro tra persone. Il ragazzo nella scuola primaria, cioè fino alle soglie dell'adolescenza, assorbe quello che gli viene insegnato, non in modo passivo, come un otre che si riempie di vino altrui, bensì in modo radicale; egli interagisce con quello che riceve assumendo la propria particolare fisionomia s econdo tutto lo spessore dell'esistenza; l'anelito alla verità, alla bellezza, alla giustizia presenti nel cuore dell'uomo incontrano e si declinano in una forma particolare di bello, vero, giusto che coincide con quanto è offerto da coloro che vengono avvertiti quali riferimenti positivi. Solo più tardi interverrà un movimento critico di distacco, analisi e scelta sul materiale ricevuto. I bambini accolgono il nuovo e il diverso se le condizioni lo consentono, se non viene compromessa un'esperienza di sufficiente soddisfazione; ai fini dell'integrazione sono molto più importanti le condizioni di inserimento che non la lettura di tanti brani edulcorati sul «bambino di un altro colore». Bisogna quindi creare condizioni compatibili, partendo da una valutazione realistica del numero di bambini stranieri inseribili in una classe e dei loro problemi, da quello della lingua, a quelli dell'apprendi mento, fino ad arrivare ai modi di pensare e agire. Se il «nuovo» scardina in modo violento le coordinate abituali, la reazione non potrà che essere di rifiuto, anche se nascosta da una patina di civile sopportazione. Se si negano le difficoltà e le differenze quando sono palesi, il bambino imparerà che è meglio fingere; i ragazzi hanno le antenne e sono bravissimi nel restituire all'adulto quello che egli si aspetta senza mettersi in gioco. Se tra le materie introducessimo, per dire, una sui valori condivisi il bambino acquisirà queste competenze ma non sarà sufficiente e a volte addirittura controproducente, rispetto a un processo di reale integrazione.
Affinché questo processo avvenga è necessario ricercare nel bagaglio della nostra tradizione e trasmettere ciò che consente di allargare l'orizzonte. Per accettare mentalità e abitudini che mettono in discussione forme da lungo tempo vissute come buone e rassicuranti occorrono motivazioni forti e benefici evidenti. Per questo è indispensabile avere chiaro cos'è in gioco, quali le certezze da cui partiamo, cosa è irrinunciabile per noi: accettare la sfida di riconoscere e comunicare quello che ci appartiene - cioè la tradizione - non è impedimento ma condizione per un dialogo. Non è la generosità che permette l'incontro con le altre culture; non è annacquando ciò che si è che si rendono possibile la convivenza e l'integrazione, ma solo allargando l'orizzonte fino a scoprire in ciò che accade un bene che valga la pena perseguire. Se fissiamo lo sguardo su quello che rende diversi e lo sottolineiamo come inesorabile divisione, perdiamo di vista la nostra comune umanità. I bisogni che l'uomo ha sono gli stessi da tempo immemorabile e in culture fra loro lontane; sono diverse le risposte ma identiche le d omande: cibo, casa, affetti, lavoro. Possiamo dare credito al desiderio di vero e di bene impresso in ogni uomo e alla sua capacità di distinguere dentro la realtà ciò che soddisfa e ciò che invece contrasta con questo fondamentale sentire: non è il chador che porti che mi offende e mi fa scandalo, ma la negazione e la mutilazione che subisci, questa sì, perché essa offende anche te. Educare all'uso della ragione, insegnare a riconoscere e prendere sul serio le esigenze fondamentali, trasmettere il valore assoluto della persona appartiene alla nostra cultura ed è l'unica strada di una pacifica convivenza tra diversi.

 

testo integrale tratto da "Avvenire" - 1 ottobre 2002