L’ICONA DELLA NATIVITÀ
Nell’icona della Natività del Signore l’iconografo “trascrive” le pagine di Mt 1-2; Lc 2,1-20 e Gv 1,1-18, dopo averle lette, meditate e pregate alla luce di tutta la rivelazione biblica e della fede della Chiesa. L’icona presenta tre scene, disposte su tre piani orizzontali. La prima scena, in alto, costituisce il “piano della profezia”. Al centro abbiamo un raggio di luce dal quale emerge la Stella e dalla quale parte un raggio di luce trisolare. che si proietta nella grotta tenebrosa e oscura. È il simbolo della presenza di Dio Trinità che è Luce (cfr. 1Gv 1,5) per gli uomini, Luce che dà Senso alla vita umana, Luce che splende nelle tenebre del non-senso, ma le tenebre del non-senso non l’hanno sopraffatta (cfr. Gv 1,4-5), Luce divina che si manifesta nella Parola fatta creatura umana debole e fragile (“carne”), cioè nell’umanità del Figlio Gesù che viene ad illuminare ogni uomo (cfr. Gv 1,9). Dal raggio di luce, si diceva, emerge la Stella: essa rappresenta il Messia, “Stella del mattino”, annunciato dai profeti (cfr. 2Pt 3,19; Ap 22,16; Nm 24,15-17); annuncio profetico che seguono nel loro cammino di ricerca della Sapienza i tre Magi sapienti provenienti dall’ oriente (cfr. Mt 2,1-11), collocati a sinistra di chi guarda. Ecco perché qui siamo nel “piano della profezia”. È come ascoltare la preghiera del profeta Isaia: “Se tu squarciassi i cieli e scendessi!” (Is 63,19), vera epiclesi/invocazione della discesa dello Spirito sull’umanità, a cui Dio risponde inviando il Figlio, nato dallo Spirito: “Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio” (Lc 1,85). A destra di chi guarda notiamo due angeli in adorazione e un terzo che annuncia ai pastori l’evento della nascita del Messia Salvatore e dà il segno delle fasce e della mangiatoia per riconoscerlo (Lc 2,11-12). La seconda scena, collocata nella zona mediana o centrale dell’icona, costituisce il piano del Mistero dell’Incarnazione che realizza la profezia. Figura centrale è il Bambino, avvolto in fasce, giacente nella mangiatoia (cfr. Lc 2,12). Ma se si osserva con più attenzione, le fasce assomigliano molto alle bende che avvolgono il corpo di Cristo nel sepolcro, la mangiatoia assomiglia molto ad una tomba e la Grotta (i vangeli non ne parlano, qui l’iconografo segue la tradizione) al Sepolcro dove fu deposto Gesù. Si noti anche un’altro particolare: per la sua forma la Grotta come voragine tenebrosa e oscura, ci rimanda alla Grotta, voragine tenebrosa e oscura degli inferi posta sotto i piedi del Risorto nell’icona della “Discesa agli inferi”. Non sono coincidenze casuali, bensì somiglianze intenzionalmente volute, poiché l’iconografo, che ha meditato le pagine evangeliche della nascita di Gesù nella prospettiva del senso globale delle S. Scritture e della fede della Chiesa, contempla nel Mistero del Natale del Signore il Mistero della Pasqua del Signore. Il Natale lo si comprende e lo si contempla soltanto alla luce della Pasqua. L’ “Oggi” del Natale (cfr. Lc 2,11) è l’ “Oggi” salvifico della Risurrezione del Signore. Da questo punto di vista, allora, i tre Magi evocano le donne “mirofore” che vanno al Sepolcro/Luogo del Memoriale per ungere il corpo del Signore; i tre angeli che adorano a lato della Grotta e cantano il Gloria (cfr. Lc 2,13-14), evocano gli angeli che nel Sepolcro/Luogo del Memoriale annunciano “Non è qui, è Risorto”; i due pastori che ricevono l’annunzio e che, secondo la narrazione evangelica, vanno a Betlemme per vedere l’evento (cfr. Lc 2,15-16), evocano i discepoli che corrono al Sepolcro/Luogo del Memoriale per vedere ciò che le donne “mirofore” hanno annunziato loro; la mangiatoia/tomba evoca il dono esistenziale di Gesù come “Pane di vita” (cfr. Gv 6; Lc 22,19-20; non si dimentichi che “Betlemme” in ebraico significa “Casa del Pane”). Dunque, tutta l’icona, attraverso la luce dorata diffusa e le lumeggiature in bianco, trasmette la luce della Pasqua del Signore.
Così canta la Liturgia bizantina:
“Vedendo Isaia la luce senza tramonto della tua teofania, o Cristo, a noi manifestata nella tua compassione, vegliando sin dai primi albori gridava: Risorgeranno i morti e si desteranno quanti sono nei sepolcri, e tutti gli abitanti della terra esulteranno (cfr. Is 26.9.19)”. “Sei sorto, o Cristo, dalla Vergine, spirituale sole di giustizia; la stella ha indicato te, che nulla può contenere, racchiuso in una grotta, guidando i magi perché venissero ad adorarti: con loro noi ti magnifichiamo, o datore di vita, gloria a te”.
Così canta la Liturgia cattolica:
“Il Dio del Sinai promulgò i suoi decreti, obbedisce alla Legge. Sorge una nuova luce nella notte del mondo: adoriamo il Signore!”. “Nel mistero adorabile del Natale, egli, Verbo invisibile, apparve visibilmente nella nostra carne, per assumere in sé tutto il creato e sollevarlo dalla sua caduta. Generato prima nei secoli, cominciò ad esistere nel tempo, per reintegrare l’universo nel tuo disegno, o Padre, e ricondurre a te l’umanità dispersa”.
È interessante notare due particolari: la Grotta rimane voragine oscura, mentre viene illuminato il paesaggio tutt’intorno, e la posizione del Bambino, collocato all’incrocio dell’asse verticale centrale (che segue il raggio trisolare) con l’asse orizzontale (che distingue la seconda dalla prima scena), formando la dimensione classica della Croce. Tutto questo come a dire che in Cristo “era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno sopraffatta” (Gv 1,4-5), che il Risorto è sempre il Crocifisso (cfr. Lc 24,39-40; Gv 20,20.27), Colui che è di natura di divina è sempre Colui che “spogliò se stesso assumendo la condizione di servo” (Fil 2,7) e Colui che “umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Fil 2,8). Nella interno della Grotta vi sono il bue e l’asino in adorazione. L’iconografo ha seguito i vangeli apocrifi, ma, probabilmente, anche Is 1,5, dove il bue e l’asino rappresentano i pagani che riconoscono il Signore. Fuori della Grotta vi è la Madre del Signore. Ella è distesa, perché riposa dopo il parto. Ma è anche rivestita di porpora regale (simbolo della divinità) e distesa sulla roccia su un tappeto rosso a “mandorla” che rappresenta la sfera della divinità. Il rosso e il porpora che l’avvolgono evocano il roveto ardente che non si consuma (cfr. Es 3,2), simbolo della presenza di Dio e del suo Amore per l’umanità che non si consuma mai, che dura in eterno (cfr. Sal 136): come il roveto era l’ “abitazione di Dio” (cfr. Dt 33,16), così il grembo verginale della Madre di Dio, la Theotokos, è diventato luogo di abitazione del Figlio di Dio (cfr. Lc 1,42). Ella porta una stella sulla fronte e due, rispettivamente, sulla spalla sinistra e sulla spalla destra: indicano la sua verginità prima, durante e dopo il parto; per questo il “roveto che non si consuma” evoca simbolicamente anche la verginità perpetua di Maria. Così canta la Liturgia bizantina:
“Vergine degna di ogni canto, con occhi profetici Mosè vide il tuo mistero nel roveto ardente che non si cosumava: il fuoco della Divinità infatti non ha consumato il tuo grembo, o pura. Ti chiediamo dunque, quale Madre del nostro Dio, di donare al mondo la pace”.
Lo sguardo della Madre non è rivolto verso il Bambino, ma sugli eventi che conserva e medita nel suo cuore (cfr. Lc 2,19). Nella Madre del Signore, però, bisogna contemplare anche l’immagine dell’Umanità (perciò aderisce alla terra) e della Chiesa, che accogliendo e custodendo il seme bello/buono della Parola del Signore, “genera” Cristo (cfr. Lc 8,15.21) e lo dona al mondo come segno di speranza e di liberazione. Veniamo alla terza scena, collocata nella sezione inferiore dell’icona: è il “piano della fede”. A sinistra di chi guarda troviamo Giuseppe, seduto e pensieroso. Di fronte a lui una figura vestita da pastore — chiamato Tirso, secondo gli apocrifi — con un bastone, quasi a rappresentare le perplessità, i dubbi e i timori di Giuseppe (cfr. Mt 1,20). Ma in questa figura di pastore vestito come i profeti dell’AT e come Giovanni Battista, possiamo vedere anche il profeta Isaia che ricorda a Giuseppe il segno dato da Dio della vergine che “concepirà e partorirà un figlio, che si chiamerà Emmanuele”, “Dio-con-noi” (Is 7,14; cfr. Mt 1,23); e ricorda anche la profezia del germoglio che spunterà dal tronco secco di Iesse (Is 11,1ss). Da notare che l’immagine del “germoglio” è ben visibile tra Giuseppe e il profeta, ma anche quasi ovunque tra le rocce (il profeta Isaia è ben presente nell’icona), e in particolare al centro della terza scena, dove attorno al “germglio” sembrano pascolare l’agnello e il lupo (cfr. Is 11,6-7). Così canta la Liturgia bizantina:
“Virgulto dalla radice di Iesse e fiore che da essa procede, o Cristo, dalla Vergine sei germogliato, dal boscoso monte adombrato, o degno di lode: sei venuto incarnato da una Vergine ignara d’uomo, tu immateriale e Dio. Gloria alla tua potenza, Signore”. “Tripudia, Davide, perché dai tuoi fianchi è il Cristo; gioisci, Iesse, perché la tua radice fiorisce; dai tuoi lombi, o Giuda, verrà il Signore; come Balaam, guardate, o genti: secondo la parola del grande Isaia: ecco, l’augustissima Vergine partorirà il bambino l’Emmanuele”.
Si diceva di Giuseppe seduto e pensieroso. Qui emerge non solo il Giuseppe “dubbioso”, ma anche il Giuseppe “sognatore” (cfr. Mt 1,20.24; 2,12.14.19.21.22). Egli è l’uomo giusto (cfr. Mt 1,19; Sal 1; 15) che sogna una società più giusta, ovvero più attenta all’ascolto di Dio e ai diritti dei più deboli e degli esclusi; sogna una società in cui si viva un po’ di più da fratelli. E allora Dio, attraverso i suoi “messaggeri” (= “angeli”, cfr. Mt 1,20, ovvero situazioni, fatti, esperienze, persone...), gli fa comprendere che il sogno di Giuseppe è anche il Suo sogno e che Lui solo, Dio, lo può realizzare attraverso le scelte e lo stile di vita del Figlio, l’Emmanuele, il “Dio-con-noi” (cfr. Mt 5,3-12.44-45.48; 23,8; 25,40). Giuseppe il “sognatore” è chiamato adesso a “prendere con sé” (cfr. Mt 1,24; 2,14.21), ovvero ad accogliere con fede e a custodire con cura il dono di questo Figlio. Al lato destro, sempre della terza scena, troviamo due donne che fanno il bagno al Bambino. Secondo gli i vangeli apocrifi la donna che tiene tra le braccia il Bambino, quasi in segno di adorazione, è Salome; invece la donna che lo lava è Eva, la madre dei viventi. Ma quello che è più interessante di questa raffigurazione è la vasca assomigliante di molto al fonte battesimale. Anche questo elemento è intenzionale: il Natale celebra la nascita di Gesù, l’Uomo Nuovo, ma celebra pure la nostra ri-nascita in Lui mediante i sacramenti dell’iniziazione cristiana (battesimo, confermazione, eucaristia: cfr. Rm 61-11; Ef 4,24; Col 3,9-10). Una suggestione in più, che viene, ancora una volta, a confermare la dimensione pasquale del Natale. Egidio Palumbo
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