Ipotesi guerra: americani e inglesi perplessi

Opinione pubblica sempre più gelida

 

di Maurizio Blondet

Che anche il primate anglicano Rowan Williams si sia pronunciato contro la guerra all'Iraq è un sintomo da non sottovalutare. È altamente improbabile che l'arcivescovo di Canterbury prenda pubblicamente una tal posizione - contraria al governo di Sua Maestà, quello di Blair - senza echeggiare umori dell'opinione pubblica britannica. E non quella - diciamo così - popolare, ma quella che il Primate prevedibilmente frequenta: quella dei lords e dei Pari. La lobby più influente, leale alla Corona, fra cui non abbondano i pacifisti integrali. Sicché, quando l'arcivescovo va alla Bbc per mettere la volontà di guerra in conto a "tutto un mondo invecchiato nell'intrigo e nella violenza, nel cinismo, disperazione e falsa speranza", bisogna credere che faccia un'allusione ben informata.
Sicché in Europa non sono più solo l'opinione tedesca o francese, o i no-global "antiamericani", a criticare l'unilateralismo della Casa Bianca. Anche il più sicuro alleato lascia emergere, come minimo, delle perplessità sulla saggezza dell'entourage di Bush. Il tempo passa, e i collegamenti di Saddam con il "terrorismo" divengono sempre meno stringenti. Intanto, l'attesa dell'ora "x" ha già fatto rincarare il greggio. Ciò si ripercuote sulla crisi economica globale che non accenna a finire, anzi ha già fatto sparire interi Paesi (guardate l'Argentina) dal mercato e dal consumo mondiale. Le domande sui costi della futura guerra, da sussurri, diventano argomenti. L'ultimo numero di Foreign Affairs, la rivista del Council on Foreign Relations (il centro-studi privato dei Rockefeller che ha spesso orientato la politica estera Usa) prefigura per l'Iraq un governatorato militare americano permanente. Ma già l'occupazione dell'Afghanistan, con soli 8 mila soldati, costa al Pentagono 5 miliardi di dollari al mese. E ogni giorno di più i militari americani cadono in agguati e imboscate.
La popolazione americana appoggia ancora Bush, benché 70 americani su cento comincino a dichiarare nei sondaggi che la guerra deve essere approvata dall'Onu. Ma anche là, non registrate dai media, si moltiplicano le manifestazioni pacifiste. "What Really Happened", un sito internet nato per indagare "che cosa veramente è accaduto" l'11 settembre (manca a tutt'oggi una indagine giudiziaria), ora è diventato un centro di informazioni contro la guerra: e conta ogni giorno 4 milioni di contatti. Persino al Pentagono cresce il malessere. Le burocrazie militari di carriera si sentono scavalcate da un istituto di consulenza privato, il Defence Policy Board diretto da Richard Perle (un "esperto militare" che dal Pentagono fu cacciato per sospetto di spionaggio a favore di Israele), che sembra dettare al ministro in carica gli obbiettivi, mezzi e fini della prossima campagna bellica. Secondo Michael Ledeen, uomo del Defence Policy Board, la guerra potrebbe esssere a ventaglio: non limitata all'Iraq, ma estesa a Iran, Arabia Saudita, Siria. Ai militari di mestiere, disegni bellici così vasti e vaghi danno i brividi.
Più il tempo passa, e più i celebri editorialisti americani cominciano a dubitare nero su bianco. William Pfaff del "Los Angeles Times" ha scritto: con la minaccia di usare la forza preventiva contro "ogni" Stato a suo giudizio, Bush finisce per dichiarare "illegittimo" ogni altro Stato. E "liquida l'ordine che ha governato i rapporti internazionali fin dal Trattato di Westfalia del 1648": Un solo altro Paese fece lo stesso, ricorda Pfaff, e fu l'Unione Sovietica: unico Stato "legittimo" perché governato dal "proletariato", si sentì in guerra perpetua con gli Stati "borghesi". E anche Pfaff, credete, non è un no-global antiamericano e pacifista.

 testo integrale tratto da "Avvenire" - 28 dic. 2002

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Casella di testo:                 Ipotesi guerra: americani e inglesi perplessi
Opinione pubblica sempre più gelida
 
di Maurizio Blondet 
Che anche il primate anglicano Rowan Williams si sia pronunciato contro la guerra all'Iraq è un sintomo da non sottovalutare. È altamente improbabile che l'arcivescovo di Canterbury prenda pubblicamente una tal posizione - contraria al governo di Sua Maestà, quello di Blair - senza echeggiare umori dell'opinione pubblica britannica. E non quella - diciamo così - popolare, ma quella che il Primate prevedibilmente frequenta: quella dei lords e dei Pari. La lobby più influente, leale alla Corona, fra cui non abbondano i pacifisti integrali. Sicché, quando l'arcivescovo va alla Bbc per mettere la volontà di guerra in conto a "tutto un mondo invecchiato nell'intrigo e nella violenza, nel cinismo, disperazione e falsa speranza", bisogna credere che faccia un'allusione ben informata. 
Sicché in Europa non sono più solo l'opinione tedesca o francese, o i no-global "antiamericani", a criticare l'unilateralismo della Casa Bianca. Anche il più sicuro alleato lascia emergere, come minimo, delle perplessità sulla saggezza dell'entourage di Bush. Il tempo passa, e i collegamenti di Saddam con il "terrorismo" divengono sempre meno stringenti. Intanto, l'attesa dell'ora "x" ha già fatto rincarare il greggio. Ciò si ripercuote sulla crisi economica globale che non accenna a finire, anzi ha già fatto sparire interi Paesi (guardate l'Argentina) dal mercato e dal consumo mondiale. Le domande sui costi della futura guerra, da sussurri, diventano argomenti. L'ultimo numero di Foreign Affairs, la rivista del Council on Foreign Relations (il centro-studi privato dei Rockefeller che ha spesso orientato la politica estera Usa) prefigura per l'Iraq un governatorato militare americano permanente. Ma già l'occupazione dell'Afghanistan, con soli 8 mila soldati, costa al Pentagono 5 miliardi di dollari al mese. E ogni giorno di più i militari americani cadono in agguati e imboscate. 
La popolazione americana appoggia ancora Bush, benché 70 americani su cento comincino a dichiarare nei sondaggi che la guerra deve essere approvata dall'Onu. Ma anche là, non registrate dai media, si moltiplicano le manifestazioni pacifiste. "What Really Happened", un sito internet nato per indagare "che cosa veramente è accaduto" l'11 settembre (manca a tutt'oggi una indagine giudiziaria), ora è diventato un centro di informazioni contro la guerra: e conta ogni giorno 4 milioni di contatti. Persino al Pentagono cresce il malessere. Le burocrazie militari di carriera si sentono scavalcate da un istituto di consulenza privato, il Defence Policy Board diretto da Richard Perle (un "esperto militare" che dal Pentagono fu cacciato per sospetto di spionaggio a favore di Israele), che sembra dettare al ministro in carica gli obbiettivi, mezzi e fini della prossima campagna bellica. Secondo Michael Ledeen, uomo del Defence Policy Board, la guerra potrebbe esssere a ventaglio: non limitata all'Iraq, ma estesa a Iran, Arabia Saudita, Siria. Ai militari di mestiere, disegni bellici così vasti e vaghi danno i brividi. 
Più il tempo passa, e più i celebri editorialisti americani cominciano a dubitare nero su bianco. William Pfaff del "Los Angeles Times" ha scritto: con la minaccia di usare la forza preventiva contro "ogni" Stato a suo giudizio, Bush finisce per dichiarare "illegittimo" ogni altro Stato. E "liquida l'ordine che ha governato i rapporti internazionali fin dal Trattato di Westfalia del 1648": Un solo altro Paese fece lo stesso, ricorda Pfaff, e fu l'Unione Sovietica: unico Stato "legittimo" perché governato dal "proletariato", si sentì in guerra perpetua con gli Stati "borghesi". E anche Pfaff, credete, non è un no-global antiamericano e pacifista.
 testo integrale tratto da "Avvenire" - 28 dic. 2002