La morale universale
di FILIPPO GENTILONI
Il papa a Montecitorio. Un grande successo mediatico. Bande musicali e bandiere; tappezzeria nuova e pulizie. Soprattutto applausi da tutti, sinistra e destra. Pochi gli assenti. Alcune domande incalzano. La prima: come mai questa esaltazione, come mai il Tevere così stretto, come diceva Spadolini?
Non basta pensare a un governo di destra in cerca di legittimazione cattolica. In realtà l'invito al papa lo aveva già rivolto il centrosinistra. E non credo che qualcuno possa pensare che la presenza del papa a Montecitorio possa incrementare i voti del Polo.
In realtà non si deve dimenticare che il quadro dei rapporti stato-chiesa (cattolica) non è più quello di una volta. E' finita la grande mediazione del partito «a ispirazione cristiana» e se ne sentono gli effetti. Oggi il rapporto con lo stato è tenuto direttamente dalla chiesa, papa e vescovi. Non credo che, ad esempio, Paolo VI sarebbe andato a Montecitorio. Il governo democristiano non lo invitava: non ne aveva bisogno. Il rapporto, per tutti i decenni del dopoguerra, era tenuto per via indiretta dalla Dc. Oggi non è più così e le gerarchie ecclesiastiche si devono esporre direttamente.Vantaggi e svantaggi. Rischi, forse più di prima, per la laicità dello stato.
Lo si può ricavare anche dal discorso del papa, nonché dagli applausi che lo hanno punteggiato, sottolineando il detto e soprattutto il non detto, l'esplicito e l'implicito. Il papa è stato attento a non polemizzare direttamente, in modo da ricevere applausi da tutte parti, anche se con diverso dosaggio. Così quando, senza nominare l'aborto, ha insistito sul problema tutto italiano della diminuzione delle nascite e della necessità di una politica di maggiore sostegno alla famiglia.
Così quando, senza nominare esplicitamente la scuola privata, ha insistito su una educazione che tenga conto delle diverse istanze formative.
Così quando ha parlato della necessaria unità del paese, ma, per non offendere la Lega, ha insistito anche sulle differenze culturali e geografiche.
Piuttosto debole e generico il passaggio sulla pace. L'accenno alla inutilità delle guerre, date le circostanze, si poteva sperare che fosse più esplicito, ma forse, anche qui, il Vaticano non vuole esasperare Bush.
Ripetuto il tema della solidarietà, ma in termini piuttosto vaghi, soprattutto a proposito della immigrazione (anche qui per non offendere Bossi) e anche della gravità della disoccupazione.
Molto attesa la questione dei carcerati. Qui il papa è stato più esplicito nella richiesta di un «segno di clemenza». Non è una novità: al tempo del Giubileo il suo appello rimase inascoltato.
L'elenco dei temi toccati, accennati ma sorvolati potrebbe continuare.
In genere l'argomentazione poggia, come da secoli nel magistero cattolico, sulla convinzione di una morale naturale, valida per tutti al di là delle varie culture, etnie e religioni, e della quale la chiesa cattolica sarebbe custode universale. Una tesi che ormai, di fronte alla globalizzazione, sembra datata e comunque insufficiente. Roma continua a sostenerla, sia per mantenere la pretesa di un magistero universale, sia perché è una tesi difficile da sostituire con qualche altra che possa essere egualmente universale. Perciò, per secoli la chiesa è stata diffidente nei confronti di quella democrazia che ieri, invece, il papa ha esaltato più volte (ma il discorso sulla democrazia all'interno della chiesa sarebbe molto più difficile).
Altra domanda, più stringente: a chi gioverà la giornata «storica» di ieri? Probabilmente a nessuno. Non alla «evangelizzazione»: il cattolicesimo italiano procede, ormai, per vie diverse di quelle dall'alto, per vie più «povere», più diffuse e più convincenti. Non allo stato, che ormai non ha più bisogno di legittimazioni sacrali. E i guai della società civile - disoccupazione, ecc. - sono tali che nessuna giornata «storica» di incontro delle due sponde del Tevere li può guarire.
Tutto come prima, allora? Temo proprio di si.
testo integrale tratto da "Il Manifesto" - 15 novembre 2002
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