L'etica esige concretezza,

 niente evasioni nell'utopia

Nella Nota diffusa ieri dalla Congregazione per la dottrina della fede un invito a non sminuire la propria ispirazione in un generico idealismo. Una responsabilità anche per chi forma a questo tipo di impegno Clapis: «Servono luoghi di confronto in cui esercitarsi a mettere a fuoco, al di là delle appartenenze, questioni pratiche irrinunciabili per tutti»

Di Giorgio Bernardelli
 

In politica con una verità da portare. Non in termini astratti, ma nella concretezza delle singole scelte che hanno ripercussioni etiche. È un forte invito a non lasciar cadere la propria identità cristiana in un generico utopismo il cuore della «Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l'impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica», diffusa ieri dalla Congregazione per la dottrina della fede. Un invito a un salto di qualità, oltre che per i singoli, anche per chi forma a questo tipo di impegno? È la domanda che abbiamo rivolto a Dino Clapis, membro del Coordinamento regionale lombardo delle Scuole di formazione all'impegno sociale e politico e animatore delle iniziative dei gruppi di Operatori culturali dell'Università cattolica del Sacro Cuore.
«Per il cristiano in politica - commenta Clapis - mantenere una serie di punti fermi dentro al pluralismo delle opzioni oggi è una sfida da cui non si può prescindere. La dottrina sociale della Chiesa, ci ricorda questa Nota, non è una vaga cornice: affronta specificamente questioni molto concrete».
Il documento della Congregazione le elenca una per una: aborto, embrioni, educazione, pace nella giustizia... Non è una messa in guardia rispetto a un genericismo in cui rischia di cadere la stessa formazione all'impegno sociale e politico?
«È vero. C'è bisogno di una maggiore incisività. Nella quotidianità dell'agire politico ma anche nella formazione. Una via per superare l'utopismo è individuare luoghi di confronto tra cristiani su questi temi. Occasioni in cui riflettere, e magari anche progettare, al di là delle diverse appartenenze. Certo, poi sui metodi da seguire per raggiungere questi obiettivi è legittimo avere opzioni diverse. Ma i traguardi devono essere identificati bene da tutti. E d eve anche essere chiaro che non sono questioni da poter mettere in secondo piano rispetto ad altro»
Serve una strada nuova, dunque?
«Esperienze significative ci sono già. Tra le Scuole di formazione che seguo, ad esempio, ho in mente i casi di Brescia e di Novara, dove nel percorso di formazione sono previsti incontri pubblici di confronto aperti a tutti i politici locali. Sono momenti che all'inizio fanno un po' paura: la logica dell'appartenenza è molto più comoda e non è facile da superare. Ma è uno sforzo che alla fine insegna a progettare. Va aggiunto, però, che la formazione all'impegno sociale e politico non può fermarsi alle Scuole»
In che senso?
«La fatica di questo discernimento non è solo del politico. In forme certamente diverse ma, ad esempio, è chiesta pure al singolo cittadino elettore cattolico. Oggi è urgente una formazione di base, nelle parrocchie. Perché su questioni così delicate anche i nostri criteri di giudizio, spesso, più che dal magistero rischiano di essere dettati da un'informazione modello rotocalco, se non addirittura dalla chiacchera da bar».
D'accordo. Ma per chi in politica c'è già?
«Si tratta di passare dall'idea di una formazione "iniziale" a una formazione continua. Al cristiano che vive in prima persona l'esperienza della politica va chiesto un di più di studio, di informazione, di elaborazione, soprattutto su temi come quelli indicati dalla Nota. A prima vista può sembrare un impegno astratto, meno gratificante rispetto ad altri. Ma se si guarda alla sostanza non è così. È quando manca questo sforzo che l'impegno politico dei cristiani si allontana dalla concretezza».
Il documento chiede anche di formarsi a una retta comprensione della parola laicità.
«Qu alcuno potrà equivocare, accusando il documento di confessionalità. Invece è proprio il contrario. L'invito non è a immettere un tasso più alto di cattolicità nella politica, ma ad affermare verità che riguardano l'uomo in quanto tale. Il riferimento a una legge morale naturale non è casuale. Prescindere da questo ancoraggio etico non è laicità, ma evanescenza».
 

testo integrale tratto da "Avvenire" - 17 gennaio 2003

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Casella di testo: L'etica esige concretezza,
 niente evasioni nell'utopia 
Nella Nota diffusa ieri dalla Congregazione per la dottrina della fede un invito a non sminuire la propria ispirazione in un generico idealismo. Una responsabilità anche per chi forma a questo tipo di impegno Clapis: «Servono luoghi di confronto in cui esercitarsi a mettere a fuoco, al di là delle appartenenze, questioni pratiche irrinunciabili per tutti» 
Di Giorgio Bernardelli 

In politica con una verità da portare. Non in termini astratti, ma nella concretezza delle singole scelte che hanno ripercussioni etiche. È un forte invito a non lasciar cadere la propria identità cristiana in un generico utopismo il cuore della «Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l'impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica», diffusa ieri dalla Congregazione per la dottrina della fede. Un invito a un salto di qualità, oltre che per i singoli, anche per chi forma a questo tipo di impegno? È la domanda che abbiamo rivolto a Dino Clapis, membro del Coordinamento regionale lombardo delle Scuole di formazione all'impegno sociale e politico e animatore delle iniziative dei gruppi di Operatori culturali dell'Università cattolica del Sacro Cuore. 
«Per il cristiano in politica - commenta Clapis - mantenere una serie di punti fermi dentro al pluralismo delle opzioni oggi è una sfida da cui non si può prescindere. La dottrina sociale della Chiesa, ci ricorda questa Nota, non è una vaga cornice: affronta specificamente questioni molto concrete». 
Il documento della Congregazione le elenca una per una: aborto, embrioni, educazione, pace nella giustizia... Non è una messa in guardia rispetto a un genericismo in cui rischia di cadere la stessa formazione all'impegno sociale e politico? 
«È vero. C'è bisogno di una maggiore incisività. Nella quotidianità dell'agire politico ma anche nella formazione. Una via per superare l'utopismo è individuare luoghi di confronto tra cristiani su questi temi. Occasioni in cui riflettere, e magari anche progettare, al di là delle diverse appartenenze. Certo, poi sui metodi da seguire per raggiungere questi obiettivi è legittimo avere opzioni diverse. Ma i traguardi devono essere identificati bene da tutti. E d eve anche essere chiaro che non sono questioni da poter mettere in secondo piano rispetto ad altro» 
Serve una strada nuova, dunque? 
«Esperienze significative ci sono già. Tra le Scuole di formazione che seguo, ad esempio, ho in mente i casi di Brescia e di Novara, dove nel percorso di formazione sono previsti incontri pubblici di confronto aperti a tutti i politici locali. Sono momenti che all'inizio fanno un po' paura: la logica dell'appartenenza è molto più comoda e non è facile da superare. Ma è uno sforzo che alla fine insegna a progettare. Va aggiunto, però, che la formazione all'impegno sociale e politico non può fermarsi alle Scuole» 
In che senso? 
«La fatica di questo discernimento non è solo del politico. In forme certamente diverse ma, ad esempio, è chiesta pure al singolo cittadino elettore cattolico. Oggi è urgente una formazione di base, nelle parrocchie. Perché su questioni così delicate anche i nostri criteri di giudizio, spesso, più che dal magistero rischiano di essere dettati da un'informazione modello rotocalco, se non addirittura dalla chiacchera da bar». 
D'accordo. Ma per chi in politica c'è già? 
«Si tratta di passare dall'idea di una formazione "iniziale" a una formazione continua. Al cristiano che vive in prima persona l'esperienza della politica va chiesto un di più di studio, di informazione, di elaborazione, soprattutto su temi come quelli indicati dalla Nota. A prima vista può sembrare un impegno astratto, meno gratificante rispetto ad altri. Ma se si guarda alla sostanza non è così. È quando manca questo sforzo che l'impegno politico dei cristiani si allontana dalla concretezza». 
Il documento chiede anche di formarsi a una retta comprensione della parola laicità. 
«Qu alcuno potrà equivocare, accusando il documento di confessionalità. Invece è proprio il contrario. L'invito non è a immettere un tasso più alto di cattolicità nella politica, ma ad affermare verità che riguardano l'uomo in quanto tale. Il riferimento a una legge morale naturale non è casuale. Prescindere da questo ancoraggio etico non è laicità, ma evanescenza». 

testo integrale tratto da "Avvenire" - 17 gennaio 2003