FONTE: M.I.S.N.A. AFGHANISTAN, 13 NOV 2002 (19:52) AD UN ANNO DI DISTANZA, IL BILANCIO DI UNA GUERRA GIUSTA
Un anno fa in Afganistan infuriava ‘enduring freedom’ e il Paese stava per essere ‘liberato’. L’occidente guardava all’operazione internazionale di polizia contro il terrorismo senza riuscire a saper bene cosa in realtà accadesse in quel posto lontano. Il responsabile della strage delle ‘Twin towers’, il milardario saudita Bin Laden, ed il capo dei talebani, mullah Omar, erano già descritti in catene, catturati ‘dall’esercito dei buoni’. Le donne, costrette dagli integralisti islamici a vivere nascoste nei ‘burka’, già non vedevano l’ora di sfilarsi l’odioso vestito. I barbuti uomini afgani, costretti dagli studenti coranici a non tagliarsi la barba, erano raccontati come ansiosi di por fine all’inaccettabile vessazione. Reporter, inviati, fotografi ed operatori tv, non riuscendo a saper nulla dal campo di battaglia, diffondevano i comunicati dei comandi militari alleati senza nemmeno una verifica e liberando la fantasia evitavano di descrivere i drammatici bombardamenti a tappeto dei B52 americani, le condizioni della popolazione civile abbandonata da tutti e sofferente dopo anni di guerra, le tragedie dei morti e dei mutilati a causa dell’enorme quantità di mine antiuomo. “Se di una cosa l’Afganistan non aveva bisogno era di armi. Oggi, dopo la guerra ce ne sono ancora di più”. Giulietto Chiesa, uno dei più famosi inviati italiani comincia così il suo infuriato discorso sul dopo ‘enduring freedom’. “Lì non è cambiato nulla –aggiunge Chiesa – e la questione principale è completamente assente dalla discussione: la droga. Milioni di dollari di ‘merce’ che servono a mantenere i signori della guerra e i loro eserciti continuano a girare come sempre.” Dei due pericolosi ricercati, Bin Laden ed il mullah Omar, si sono perse le tracce. L’Afganistan è un immenso spazio pietroso e i vincitori, i pacificatori Usa e gli alleati occidentali, non controllano quasi nulla del territorio . Ogni zona del Paese è nelle mani del capo clan dell’area e, come nella antica tradizione locale, i tradimenti, le guerre intestine e le vendette consumano ogni giorno dell’anno. “Prima delle ‘torri’ c’erano i morti, le bombe, le stragi. Adesso ci sono altri morti, la guerra continua, non si dice, e chi stava male continua a star male”. Vauro, il noto vignettista, anche lui inviato in Afganistan, ha lo stesso tono di Chiesa, nella sua voce legge il dolore e l’indignazione. “I vincitori si combattono tra loro, come sempre…”, insiste Vauro. Oltre al papavero, oltre al grande motore della economia afgana, oggi un altro fiume di denaro, quello degli “aiuti umanitari” dopo la ‘guerra umanitaria’. Naturalmente quasi solo a Kabul, nel resto del Paese arriva poco, se arriva. Chiesa ci dice: “L’enorme flusso di dollari ha stravolto abitudini, costruito mafie, prodotto altra violenza. Gli americani si comportano da colonizzatori, le Nazioni Unite hanno fissato un salario minimo per i loro collaboratori locali. Ma è un salario talmente alto che le persone si uccidono per questo e la criminalità locale gestisce gran parte di questa riserva finanziaria.” Giulietto ne ha viste tante ed a questo punto il suo tono cambia, è scoraggiato: “Noi occidentali non rispettiamo nulla, non sappiamo guardare, vedere, ascoltare. Ovunque andiamo finiamo per inquinare, per distruggere sotto la scure dei nostri interessi”. Sarebbe possibile aggiungere la storia dell’oleodotto, le questioni che riguardano la sanità, l’istruzione, la dignità delle donne. Sarebbe possibile chiedere, come spesso facciamo, ai grandi reporter internazionali di sacrificarsi per qualche giorno. Ai politici che difendevano la guerra sostenendo che era un mezzo per l’affermazione della libertà. Sarebbe possibile, ad un anno di distanza. Invece rischiamo di doverci occupare di un’altra guerra giusta, quella dell’Iraq. Al lungo elenco che dalla Somalia passa per il Kossovo, l’Afganistan, il Ruanda, il Congo adesso forse dovremo aggiungere un altro capitolo. Le genti di quei Paesi, le persone che vivevano al margine, quel margine continuano a vederlo. Sempre eguale a se stesso. (RB)
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