Tricase (LE) -30 ottobre 2002 Dopo 20 anni esatti dall’ordinazione del Vescovo don Tonino Bello
«VOCE FORTE PER CHI NON HA VOCE» di don Luigi Ciotti Trascrizione della relazione (non rivista dall’autore)
Mons. Mincuzzi il 30 ottobre 1982 profeticamente pronunciò, rivolto al novello vescovo, queste parole: “Per quanta mitezza e discrezione ci potrà mettere Tonino, dovrà annunciare le beatitudini, i paradossi evangelici, dovrà condannare la violenza, la possibilità di manipolazione delle masse; sarà malvisto e non avrà consolazioni neppure da coloro gli appartengono”. Cosi è stato. Don Tonino una cosa sembra volerci dire oggi : che dobbiamo essere tutti analfabeti sul tema dei diritti, nel senso che dobbiamo continuare a cercare. Solo se continuiamo a cercare, a documentarci, a leggere i cambiamenti, a lasciarci prendere dallo stupore riusciremo a espellere dalla nostra vita il maledetto personaggio che tanto ci affascina: la paura del nuovo, del cambiamento. Ad esempio, egli non ha conosciuto materialmente i 5 curdi che recentemente sono morti soffocati in quel camion sulla Canosa-Napoli, e neppure gli altri 39 morti in questo modo nell’ultimo anno; non ha conosciuto materialmente i 700 immigrati morti annegati nei nostri mari alla fine del loro viaggio della speranza. Ma certamente ci inviterebbe, oggi come allora, a guardare i volti, anzi chiamerebbe per nome ognuna di quelle persone. Don Tonino ha testimoniato il linguaggio della vita quotidiana, ha usato parole comprensibili alla gente, consapevole del fatto, che possiamo dire chi siamo solo quando ci assumiamo la responsabilità di rispondere alla domanda “Dov’è tuo fratello ? ”, cioè nella misura in cui ci si mette in gioco nel rapporto con i fratelli. Un altro grande insegnamento viene dal nostro amico vescovo, quello cioè di evitare linguaggi e prassi “esclusivi”e di scegliere invece linguaggi e prassi “inclusivi”: non esiste la mia idea o la mia chiesa o la mia nazione o la mia associazione/gruppo … ma c’è la “mia e la tua” idea, chiesa, nazione, associazione, e insieme possiamo costruire un mondo più umano, più rispettoso dei diritti di tutti, nella convivialità delle differenze. Esasperando le diversità e i conflitti, invece, non si arriva da nessuna parte, solo alla sopraffazione del più forte sul più debole. Agli ultimi della fila, alle “pietre di scarto”, don Tonino guardava con un occhio privilegiato, con la precisa consapevolezza che non sono oggetto di assistenza ma soggetti di diritto: a voi che non fate la storia – diceva – a voi che non contate agli occhi degli uomini ma che siete grandi agli occhi di Dio deve essere data l’opportunità di diventare cittadini, e questa non è una concessione magnanime ma questione di giustizia. Occorre dire, però, che anche se la parola giustizia è una delle 30 parole più usate nel mondo, non sempre la sua traduzione nei fatti è coerente con il suo significato. Sulla parola giustizia si operano numerose manipolazioni. Chi opera queste, manopolazioni (i nostri politici sono maestri in quest’arte) a favore di una giustizia fai da te, oppure a propria misura o a misura dei propri interessi, ha una grande responsabilità politica e sociale.”La giustizia è una parola terribile, come la verità” diceva Saveria Antiochia, la madre di Roberto,il poliziotto trucidato con 80 colpi di pistola a Palermo il 5 agosto del 1985 mentre volontariamente si era aggiunto alla scorta del commissario Cassarà il giorno in cui la mafia lo uccise. Dobbiamo sentire forte la “fame e sete di giustizia”, ci dice don Tonino. La povertà infatti non è un evento biologico ma un frutto dell’ingiustizia. Se creiamo le condizioni per cui le persone siano libere veramente, cioè non dipendenti dagli altri, allora costruiamo una società più solidale, dunque più giusta . E don Tonino non è venuto mai meno alle domande dei poveri del suo territorio, domande di solidarietà, di giustizia, di legalità, anche quelle domande che non emettono suoni: si è inventato di tutto per ascoltare, condividere, aiutare. Egli è stato profeta, non per leggere il futuro, ma perché si è sporcato le mani nel presente, ha fatto emergere contraddizioni, ha fatto concretamente accoglienza, si è messo in gioco. Ha abbattuto le mura della sua chiesa e l’ha fatta diventare una casa dove c’era accoglienza e relazione: “Un vescovo senza fantasia – diceva don Tonino – senza creatività, incapace di mischiarsi per paura di contaminarsi, ridotto a distributore di verità, non mi sembra in linea con l’incarnazione”. E aggiungeva “L’importante per un Vescovo è che non sia arrogante”. Diciamole ai nostri vescovi queste parole. Diciamole anche a quei vescovi che oggi affermano di essere stati amici di don Tonino, e sono tanti. Diciamo loro che la Chiesa o è profetica o non è. Di fronte alla nuova legislazione italiana in tema di immigrazione don Tonino non avrebbe taciuto. Un credente, e un pastore in particolare, non può e non deve stare zitto di fronte alle violazioni della giustizia. E la giustizia oggi è piena di ferite gravissime. Alcuni esempi: la legge sull’immigrazione che consacra l’esistenza di “cittadinanze diseguali” e che viola 8 direttive europee sul tema dei diritti; la consacrazione di “cittadinanze diseguali” a livello geografico tra Nord e Sud d’Italia; l’impossibilità di rendere usufruibili i diritti sociali per tutti, ecc. I diritti sono risposte ai bisogni delle persone e, dunque sono i bisogni delle persone a definire i diritti. Occorre avere la strada come punto di riferimento. Don Tonino, come Gesù che nel Vangelo ha avuto 109 incontri, ha preferito una evangelizzazione “per contagio d’amore” lungo la strada: la strada ci invita a incontrare la povertà e ad entrare in relazione con i poveri, ci costringe a non dimenticare che la povertà è espressione della visibilità dell’in-giustizia. Il 30 aprile 1983 don Tonino all’Arena di Verona, parlando di pace propose di sostituire la parola “Beati” dalla famosa frase delle beatitudini con la Parola “in piedi”, in modo che suoni cosi: “In piedi costruttori di pace sarete figli di Dio”. Voleva dire che dobbiamo stare in piedi davanti a tante croci che incontriamo nella vita: solitudini, sofferenze degli anziani e dei malati, famiglie toccate dalla malattia, esclusi, inclusi ma disperati dentro ecc. Don Tonino ha avuto il coraggio della denuncia , attenta, puntuale mai generica, dell’ingiustizia, facendolo con umiltà e utilizzandola come annuncio di salvezza. Il suo obiettivo era infatti semplicemente di “saldare la Terra con il cielo” e quello di sparare a zero sui cattivi. Diceva ancora: “Dio non fa graduatorie. Non saranno sufficienti i propositi (le promesse) dei partiti per tranquilllizarci sulle situazioni di ingiustizia. Il futuro sarà con i piedi scalzi”. Come a dire che la giustizia è un criterio dell’a-zione individuale, ma anche un criterio della politica, altrimenti la politica è sotto la schiavitù dei privilegi di pochi. Dobbiamo spezzare la catena dei privilegi che genera ingiustizie e dobbiamo sconfiggere l’omertà. Ecco una piccola litania o via crucis dei fatti che ogni giorno ascoltiamo, ma poi facilmente rimuoviamo: Bernardo Romano, padre di sei figli, si è bruciato qualche mese fa perché aveva perso il lavoro; è stata quantificata in 16.000 unità la tratta dei minori nel nostro Paese che vengono utilizzati soprattutto nel mercato della prostituzione; sull’asse Bucarest-Madrid la mafia “acquista” migliaia di piccoli disabili per mandarli sulle strade dei Paesi europei ed elemosinare ; alla conferenza di Johannesburg – boicottate da Bush, e non solo da lui – l’OMS ci ha detto che il 40% dei bambini che muore ogni anno nel mondo sono vittime degli effetti diretti o indiretti dell’inquinamento (come se precipitasse un boeing carico di bambini ogni 45 minuti); c’è poi lo scandalo degli aiuti, con i Paesi ricchi che riescono a dare ai paesi poveri appena lo 0,7 % del loro Pil; si muore prima per conseguenze del “dio mercato” che per la malattia o la povertà (3,5 milioni i morti di Aids). Oggi si sta affermando un orizzonte culturale estremamente pervasivo e pericoloso, una vera insidia per l’umanità, che passa attraverso i media, la pubblicità, le trasmissioni televisive di intrattenimento. Questo orizzonte culturale vuole convincerci che ciò che conta è apparire, e che per ottenere il potere di apparire, di essere come questo o quel personaggio, tutto è consentito, anche di passare sopra agli altri. Ebbene, don Tonino ci direbbe che dobbiamo avere il coraggio di essere “persone inadeguate”. C’è bisogno oggi di persone adulte, di cittadini adulti, di cristiani adulti, sul piano personale e sul piano sociale e politico, persone responsabili, persone che alla domanda di Caino “Sono forse io il custode di mio fratello?” rispondono un secco “Sì”. C’è bisogno di prudenza e sana follia, e il coraggio di osare: non basta andare a rimorchio dei ricercatori delle scienze sociali, che ci presentano il quadro dei problemi sociali; c’è bisogno di rischiare. C’è bisogno di diventare più vivi, perché a volte ci illudiamo soltanto di essere vivi, che significa non porre impedimenti al futuro che irrompe. Don Tonino cita Morale che dice “ la morte odora gia di resurrezione” . Come dire che la sofferenza e la morte hanno una “collocazione provvisoria” nella nostra vita, perché prima o poi irrompe la resurrezione e dunque la speranza. Perché si muoia non lo so, ma il senso della vita, dell’a-micizia, dell’amore – diceva – non si trova nei ragionamenti ma nella base dell’impegno. Non si può concludere un ricordo del vescovo don Tonino, “voce forte per i diritti di chi non ha voce”, se non si parla della pace. Questa mattina 26 guerre si stanno combattendo nel mondo. Secondo l’Osservatorio di Stoccolma negli ultimi 20 anni 9 milioni di persone, soprattutto civili, sono morti in queste guerre. La diplomazia si è dimostrata impotente, l’informazione incompleta se non cieca. La prima vittima delle guerra è la verità. Il primo vincitore invece è la volontà di controllare le ricchezze naturali (diamanti, petrolio, droga, ecc.) altro che ideologie o progetti sociali e politici o religiosi: il potere, la volontà di dominare, di possedere le risorse è solo motore delle guerre, dell’oppressione. Nessuno vuol fare sconti ai dittatori che minacciano e preparano guerre nei punti più critici del mondo, ma occorre riconoscere che le modalità di risposta alle loro provocazione o violenze non sono neutrali, una a caso la volontà degli Usa di bombardare a tutti i costi Saddam,e il suo Paese. Sarebbe paradossale pensare che per prendere quel mafioso di Provenzano bisognerebbe bombardare tutta la Sicilia … Il terrorismo non è mai figlio della povertà, anche se si alimenta nella disperazione. Dilatare la giustizia: è questo il vero antidoto alla guerra e al terrorismo. Non c’è pace senza giustizia, ce lo ripete in tutti i suoi discorsi il papa Giovanni Paolo II. Una pace stabile richiede una politica dialogica, che si basa su due pilastri: 1) bisogna spostare il baricentro del diritto internazionale dagli Stati alle persone: è questa la ragione per cui don Tonino è andato a Sarajevo oppure si è bonariamente preso gioco delle Forze Armate; 2) bisogna rinforzare il tribunale penale internazionale, costringendo i Paesi che non hanno firmato la Convenzione a farlo subito (sono gli stessi Paesi che si ostinano a dirsi difensori della pace nella vicenda di Saddam Hussein). Concludo con una frase di Turoldo, che salutò don Tonino con queste stupende parole: “Grazie fratello vescovo per il tuo coraggio … perché ci inviti a metterci in ascolto del futuro.” da “Adista” n. 82 – 18 novembre 2002
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