Tutto questo nonostante la giovane età: aveva 42 anni ed era vescovo da quattro; formalmente ausiliare di Cracovia, di fatto il vero rappresentante di quella prestigiosa diocesi polacca, seconda solo a Varsavia, perché il suo titolare Baraniak era morto tre mesi prima.
Oggi Karol Wojtyla è anche l’unico sopravvissuto, ancora nel pieno delle sue funzioni, dei 2500 padri conciliari presenti in San Pietro il giorno dell’inaugurazione.
Paolo VI chiude il Vaticano II l’8 dicembre 1965, ma già nel gennaio dell’anno prima aveva nominato Wojtyla arcivescovo di Cracovia e nel 1967 lo fa cardinale, a soli 47 anni.
Da quel momento e fino al giorno della sua elezione a Papa, nell’ottobre del 1978, l’arcivescovo di Cracovia, aggirando l’asfissiante vigilanza del regime comunista, trasforma la sua diocesi in un laboratorio per la migliore comprensione e applicazione dei documenti conciliari.
Migliaia di riunioni, una massa impressionante di testi, precise strategie pastorali elaborate senza complessi clericali anzi col pieno coinvolgimento di laici, uomini e donne, Wojtyla vuole che i fermenti di rinnovamento penetrino in profondità nella mente e nel cuore dei suoi cristiani.
Fa quello che, in nessuna altra parte del mondo e con altrettanta convinzione e tenacia, si verificherà dopo il Concilio: trasferire dai vertici alla base la carica innovativa del più grande evento ecclesiale del XX secolo, senza cedere a nostalgie, senza fughe in avanti.
Mentre a Roma Paolo VI fatica a tenere in carreggiata una Chiesa, incerta nel suo cammino dopo lo scossone subìto, a Cracovia ci si allena ai tempi nuovi con metodo e disciplina.
Quegli anni sono la preparazione di Wojtyla alle responsabilità universali: senza saperlo e senza volerlo, studia da papa. Quando verrà il suo turno, sarà pronto ad agire.
Per questo, Giovanni Paolo II sa quel che dice, quando al termine della lettera apostolica, scritta alla fine dell’Anno Santo del 2000, la
Novo millennio ineunte, fa esplodere una domanda che suona come un severo monito: «In preparazione al Grande Giubileo, ho chiesto alla Chiesa di interrogarsi sulla ricezione del Concilio.
È stato fatto?».
Altro che i vaneggiamenti di chi considera il Vaticano II una disgrazia o un malinteso. Sono passati quarant’anni e la sua spinta è lungi dall’essersi esaurita. C’è ancora un gran lavoro da fare.
leonardo.zega@stpauls.it
testo integrale tratto da "La Stampa" - 11 ottobre 2002