QUARANT'ANNI FA SI APRIVA IL CONCILIO VATICANO II

IDEALE INTEGRO UNA SFIDA TUTTA APERTA

 di Andrea Riccardi

Quarant'anni fa si apriva il Concilio Vaticano II con un discorso di grande spessore, Gaudet Mater Ecclesia, con il quale Giovanni XXIII additava le vie del futuro della Chiesa. Chi si aspettava un programma per i lavori che sarebbero seguiti restò deluso. Non erano molti infatti pronti a cogliere con immediatezza il cuore del messaggio di quel vecchio Papa.
Il suo fedele segretario, don Loris Capovilla, un giorno mi confidò che, fin dai primi passi del suo pontificato, papa Giovanni ebbe chiara la necessità di un Concilio per affrontare i problemi della Chiesa assieme a tutti i vescovi. La decisione andò poi maturando nella radicale fiducia che egli aveva nello Spirito che guida la comunità ecclesiale. Per questo dissentì dai "profeti di sventura" e credette che proprio in un Concilio si sarebbe individuata la strada più evangelica. Come a dire: se si vuol comprendere l'origine del Vaticano II è decisivo coglierne la spiritualità. La Chiesa ha proclamato - non a caso - beato questo Papa che, con la sua fede, ha segnato il cammino della Chiesa anche per i decenni successivi.
Fino ad oggi il Vaticano II è già stato molto studiato e continuerà ad esserlo. Il suo itinerario è stato esuberante, faticoso, complesso. Paolo VI diede ad esso un contributo decisivo. La sua capacità di soffrire e ad un tempo la sua abilità nel tenere insieme istanze di riforma e di tradizione hanno caratterizzato l'intero arco del suo ministero. Chiusa l'assise si è aperta la stagione della recezione conciliare ricca e tumultuosa. Oggi, a quarant'anni di distanza, qualcuno potrebbe sentire il Vaticano II come un evento lontano, segnato dalla cultura e dalla mentalità di un tempo passato. Non è neppure necessario evocare quante cose siano mutate da allora. Dalle nuove tecnologie di comunicazione alla geopolitica mondiale. L'uomo e la donna di oggi sembrano cambiati. Ma questa è solo una percezione psicologica: il Concilio non è lontano dalla vita odierna come si potrebbe dire di un vecchio, venerato testo di altra epoca.
Piuttosto il Vaticano II è il «vissuto» di generazioni, e ha la concretezza di milioni e milioni di persone, le quali hanno accettato di rimodellare la loro esistenza a partire dall'antica domanda evangelica della conversione. Il Vaticano II

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ha guidato i cattolici a un senso più profondo della liturgia e a una partecipazione più spirituale ad essa.

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Ha stimolato i laici a una nuova responsabilità nel mondo e nella Chiesa.

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Ha arricchito il ministero dei preti di una nuova pastorale.

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Ha condotto verso un rapporto più impegnativo con il mondo e con quelli che non condividono la vita della Chiesa.

L'amore partecipe del buon Samaritano non è stato solo un'icona dell'assise, come disse Paolo VI nel discorso conclusivo, ma è diventato il paradigma del rapporto con il mondo nei decenni successivi.
Il Vaticano II insomma non lo si può circoscrivere ad un programma che si esaurisce in un (breve) tratto di tempo, come non è paragonabile ad un codice da applicare, né ad una corrente di pensiero che fatalmente passa. Il Concilio è una trama multidirezionale di vite personali, familiari, comunitarie, è l'ordito di una compagine variegata e complessa come è la Chiesa. Certo, gli sfilacciamenti e i rischi si vedono ad occhio nudo, ma ugualmente evidente è l'esercizio di una libertà più responsabile e un'obbedienza più profonda, nonostante molte difficoltà. Una cosa sopra a tutte va detta: il Concilio rappresenta ancora per noi il modulo sapiente e fresco per vivere oggi l'appartenenza a Cristo nella Chiesa.
Il libro del Concilio è un ponte vitale fra la lunga storia della Chiesa e il nostro tempo, ed è lampada indispensabile per i nostri passi, per vincere il buio che talora ci investe.

testo integrale tratto da "Avvenire" - 11 ottobre 2002