Censis: un'Italia che galleggia e ha le pile scariche
L'Italia del 2002 presenta negli atteggiamenti collettivi «una tenace propensione alla stazionarietà»; inoltre il «sistema non ha una sua capacità di fare politica di sostegno alla internazionalizzazione del Paese». E «il peso di queste carenze strutturali fa pensare a molti che il declino sia inevitabile». Sono alcuni dei passaggi chiave delle «Considerazioni generali» del 36 Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2002, un rapporto di 660 pagine, presentato questa mattina a Roma dal presidente del Censis, Giorgio Cigliana. Il Rapporto Censis 2002 mette subito a fuoco quattro grandi «problemi veri», come sempre intrecciati in dinamiche positive e negative. - Il primo elemento preso in considerazione dal Censis è che la nostra società presenta oggi una stazionarietà prolungata senza contraccolpi di reattività. Gli indicatori disponibili sono tanti e finalizzabili a diverse letture sull'andamento dei consumi, dell'occupazione, dei risparmi, degli impieghi; ma è specialmente negli atteggiamenti collettivi che si legge una tenace propensione alla stazionarietà. Il Censis cerca di offrire alcune spiegazioni. Paghiamo in primo luogo la delusione per il mancato ruolo di innovazione e traino che avrebbero dovuto esercitare alcuni conclamati motori di ulteriore sviluppo: le promesse della new economy, della finanziarizzazione, dei processi di privatizzazione e liberalizzazione, della cultura capitalistica, della globalizzazione, della stessa costruzione europea. Paghiamo in secondo luogo l'enfasi mediatica e politica su quell'impulso alla discontinuità che avrebbe dovuto fare degli anni 90 un crinale di radicale trasformazione dell'Italia. Quell'impulso è abortito: nelle mancate riforme istituzionali, nel rinsecchimento delle vecchie istituzioni, nella personalizzazione del potere cresciuta senza portar frutto, nella riduzione del federalismo a confuso sindacalismo istituzionale. Si comprende allora - secondo il Censis - quanto sia complessa la trama causale sotto l'inaspettato deficit di reattività di cui soffriamo in questa particolarissima fase congiunturale, e in ciò gioca pesantemente un antico deficit di stimolo politico e di sostegno strutturale. Una nube di declino è preconizzata dalla debolezza delle strutture di accumulazione di sistema. Avvertiamo la penalizzazione indotta dalla mancanza di un coerente insieme di trafori alpini; dalla debolezza della nostra rete ferroviaria; dai veri e propri blocchi quotidiani di mobilità su decisive tratte autostradali; siamo prigionieri di un deficit di innovazione nell'attività logistica (porti, interporti, fiere, aeroporti); e il deficit di innovazione lo si riscontra anche nel mondo della scuola, nell'Università, nelle attività di ricerca scientifica. - Fra stazionarietà non reattiva e pericoli strutturali di declino, non deve sorprendere che si insinui oggi quella che il Censis definisce «un'ambigua deriva di curvatura concava della vita collettiva», che inaspettatamente e stranamente ci viene indicata dall'esterno, quasi preconizzando un nuovo modello italiano, centrato non sulla crescita continuata ma sulla qualità della vita. Appariamo a molti stranieri una società che esalta la propensione a viver bene, che sa sfruttare l'immeritata benedizione di paesaggi e bellezze naturali, che sa valorizzare l'antico patrimonio artistico e monumentale anche nei centri minori, che è sempre più attenta all'ambiente come fattore di ricchezza; che ha sviluppato una imprenditorializzazione del leisure (dalla wellness all'agriturismo), che è attento a sfruttare prodotti agricoli tipici o biologici, comunque di medio-alto livello; che sviluppa un'accoglienza turistica non di lusso ma di buona qualità; che esalta in ogni maniera il gusto della diversità e dell'immaginazione. - Ci sono tuttavia, secondo il rapporto Censis ,trasformazioni sottili che, man mano che prenderanno forma, potranno cambiare il volto complessivo del Paese. Il rapporto guarda alla vitalità ancora proliferante delle piccole imprese: mentre non riescono a prendere sbalzata immagine le dinamiche intermedie, sia aziendali che territoriali, ma la metamorfosi da esse e su di esse innestata è chiaramente in corso. Anche perché si coniuga con una lenta trasformazione della struttura sociale, dove continua quel processo di crescita neo-borghese che da anni è in corso attraverso l'affermarsi di nuova imprenditorialità medio alta, di giovane ed aggressivo management bancario, di alto professionismo terziario, di nuova classe dirigente locale (nella geo-communities dell'Italia centrosettentrionale come nei patti territoriali meridionali), di incisive responsabilità dei gestori delle autonomie funzionali, dalle Università agli enti fieristici. La metamorfosi in altre parole comincia ad avere una potenziale classe dirigente. Una più lenta e sotterranea metamorfosi si va svolgendo sul versante istituzionale, anche se in esso «il non più» è quasi più evidente che sul versante economico, mentre il «non ancora» è a stadi iniziali. Si vanno infatti accentuando tre processi a diverso grado di maturazione: il processo di crescita delle autonomie locali, il processo di crescita delle autonomie funzionali, ed infine il processo complesso e lento con cui molte strutture vecchie e nuove associano gli stakeholders alla gestione degli interventi (nei consorzi di bonifica, nelle associazioni dei malati, nelle stesse fondazioni bancarie). testo integrale tratto da "La Stampa" - 6 dicembre 2002
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