IL DECALOGO DI RATZINGER
Aver fede non è ingerenza
di Leonardo Zega
Se la Nota dottrinale della Congregazione per la dottrina della fede sull’impegno dei cattolici in politica ha il suo punto di forza nell’intangibilità della vita umana, lo spirito che la anima mi sembra essere la rivendicazione, non orgogliosa ma convinta, del diritto di cittadinanza e di parola della Chiesa cattolica come portatrice di un pensiero, di una cultura, di un patrimonio di valori, di principi etici che, per la loro natura e per il loro ruolo di fondamento della vita sociale, non sono negoziabili. Se ne devono rendere conto i fedeli laici, ai quali è demandata la gestione delle realtà terrene, come insegna il Vaticano II; ma ad essi non possono restare insensibili parlamenti e governi democraticamente eletti, perché anche i popoli che legittimano la loro autorità ne sono impregnati, soprattutto nell'Occidente cristiano.
Il credente, dunque, non è solo tenuto a trasferire questi valori nella vita di fede personale, ma a farli valere anche come cittadino. L’impegno sociale e politico del cattolico è un’esigenza altrettanto imperiosa quanto la testimonianza privata. «Situazioni nuove, sia ecclesiali, sia sociali, economiche, politiche e culturali, reclamano oggi, con una forza del tutto particolare, l’azione dei fedeli laici. Se il disimpegno è sempre stato inaccettabile, il tempo presente lo rende ancor più colpevole. Non è lecito a nessuno rimanere in ozio». Questo testo del Vaticano II, riferito appunto al ruolo dei laici nella Chiesa, è stato indicato dal cardinale di Colonia Joakim Meisner - che ieri ha presentato il documento vaticano insieme con il cardinale di Bologna Giacomo Biffi - come il parametro ideale per una sua corretta lettura.
Il linguaggio non proprio usuale di questa Nota rispecchia, a mio avviso, assai da vicino lo stile del «teologo» Ratzinger piuttosto che la passione pastorale di Papa Wojtyla e, tantomeno, il carattere didascalico di tanti altri documenti della Curia romana. La preoccupazione di precisare punti di dottrina - certamente condivisa da Giovanni Paolo II, che ha dato il suo pieno avallo al testo della Congregazione per la dottrina della fede - prevale sulle indicazioni pratiche, che pur sono numerose e significative, specialmente nel secondo capitolo della Nota. Che non riguarda soltanto i cattolici impegnati in politica, costretti a confrontarsi democraticamente con il pluralismo delle opinioni o con proposte legislative in contrasto con la morale cristiana (dalle biotecnologie all’eutanasia, alla clonazione umana, dopo il divorzio e l'aborto), ma tocca anche intellettuali, scienziati, ricercatori, comunicatori di ispirazione cristiana.
Ad essi si chiede - come credenti - di non cedere alla rassegnazione, di non avere complessi di inferiorità, ma di levare la loro voce perché hanno qualcosa di essenziale da dire e il dovere di dirlo.
Rispettosa dei valori democratici, la Chiesa chiede almeno reciprocità. «Con la sua parola alle società democratiche - ha affermato il cardinale Meisner - la Chiesa non intende mettere in discussione il loro carattere laico; essa al contrario esige il proprio diritto democratico anche per sé stessa in un dialogo paritario». Ed ha aggiunto: «Questo documento ha pertanto quel significato ed attualità, che competono solo a riflessioni inattuali». Sarebbe dunque un peccato ridurre un insegnamento così alto a beghe di partito, a polemiche di corto respiro, o peggio al provincialismo, di cui si è avuto sentore fin dal suo primo annuncio, di un certo nostro mondo laico, dimentico del fatto che l’Urbi et orbi non vale solo per le benedizioni papali.
testo integrale tratto da "La Stampa" - 17 gennaio 2003