Quella non soffocabile voglia di pregare

 da "Avvenire" 14 settembre 2001

Ancora una volta è apparso il male, il male assoluto, il male come azione di uomini contro uomini, un’azione che provoca carneficina, devastazione, angoscia. Aver potuto assistere a questa epifania del male in diretta, alla sua manifestazione in un luogo che simbolicamente sentiamo come “nostro”, come “casa nostra” – quasi un emblema del nostro occidente –, ha significato un’angoscia che forse non ha sperimentato neppure chi è stato vittima diretta di quell’evento mortifero. Quest’angoscia, che attraversa tutto l’occidente, di fatto spinge i cristiani a pregare, e già nella sera stessa di quel giorno buio per tutta l’umanità si sono celebrate veglie di preghiera...

Sì, il cristiano nell’ora dell’angoscia cerca il Signore, cerca di aprire una comunicazione con lui, per riversare davanti a lui il suo lamento e invocarne l’aiuto, proprio perché il credente sa che questo mondo è stato voluto da Dio, che l’umanità è creata a immagine e somiglianza di Dio, e che la storia è stata pensata da Dio come il luogo della salvezza, essendo destinata a sfociare nel Regno. Il cristiano dunque prega, è per lui spontaneo cercare di leggere davanti a Dio, oserei dire con gli occhi di Dio, gli eventi e il loro significato, il loro insegnamento.

Certamente i cristiani che si recano a pregare in questi giorni devono essere consapevoli che il ritrovarsi a pregare non è un modo per obbedire alle aspirazioni di una civil religion che chiede unità e compattezza, di stringersi insieme di fronte al Nemico e mostrargli coesione e solidarietà. La solidarietà cristiana, proprio perché conforme a quella manifestata da Dio nell’incarnazione e nell’abbassamento fino alla morte di croce del Figlio, non può mai darsi contro nessuno.

I cristiani oggi non si recano nemmeno a pregare per chiedere a Dio: “Dove sei!”. Essi, ormai, dovrebbero aver imparato, dopo i genocidi del secolo scorso – da quello del popolo armeno, alla shoà , al genocidio dei tutsi –, a non chiedere a Dio dov’è, ma piuttosto a chiederlo all’uomo! Uomo, umanità, dove sei? Nessuno può oggi pensare di poter alzare il dito verso Dio e accusarlo, neppure per crimini che vengono inopinatamente perpetrati nel suo Nome e a causa di un fanatismo religioso, perché tutti dovremmo saper distinguere l’idolo da Dio, il dio perverso dal Dio vivente e vero... Pregare è operazione seria e a caro prezzo per il cristiano. Non è mettere sulle spalle di Dio un carico o una responsabilità che competono a noi. Gesù direbbe: “Se non vi convertite perirete tutti allo stesso modo”, non per un castigo di Dio – Dio qui in terra non castiga mai! – ma perché il male dà origine alla morte. È questa una profonda verità da assumere, in ogni tempo e in ogni luogo.

Sì, la preghiera ci deve far diventare consapevoli del fatto che il cuore dell’uomo è un abisso profondo, da cui sgorga il bene ma anche, e più sovente, il male. E questo non è circoscrivibile a una sola categoria di uomini, a una “civiltà” nemica – quanti capri espiatori nella storia! –, ma riguarda ogni uomo, solidale in una certa misura con tutti gli uomini suoi fratelli nel peccato, ma chiamato, alla luce della misericordia di Dio attinta nella preghiera, a diventare segno di quella comunione che solo l’amore misericordioso di Dio può portare.

Pregare significa allora pensare davanti a Dio, conoscere noi stessi alla luce della sua Parola, e anche imparare a poco a poco a comprendere cosa arde nel cuore degli altri, quali paure, quali angosce, quale disperazione, quali interminabili umiliazioni accecano gli occhi di chi è giunto a una tale aberrazione e violenza da essere disposto a dare la vita per seminare la morte. La preghiera cristiana è fatta molto più di ascolto del Signore (e dei fratelli) che non di grandi parole da rivolgere a lui (e a loro): nell’ascolto possiamo ricevere ispirazioni e illuminazioni, possiamo accedere a quella sapienza “altra” che solo Dio può rivelarci, perché, come ricorda il Salmo 49: “L’uomo nel benessere non comprende”.

Ma allora, e solo allora, pregare diventa davvero inter-cedere, fare un passo tra gli uomini che vivono il dramma della violenza e della guerra, per chiedere un cambiamento dei cuori, e dunque della vita.

Pregare, o significa convertirsi, accogliere Dio e imparare a poco a poco a pensare e agire come lui, secondo la sua volontà, o non è un pregare da cristiani. Non si va a pregare perché fa bene, perché aiuta a vivere, come se l’effetto oggettivo diventasse il motivo della preghiera. E la preghiera non è informare Dio, non è convincerlo a fare il bene, non è un’esibizione propagandistica, non è un modo per dire “ci siamo anche noi!”, ma è un’attività tesa a farci diventare uomini e donne che hanno i sentimenti di Cristo.

Enzo Bianchi