«E' un attacco inaccettabile»
Non è azione di difesa «La guerra preventiva non può essere ammessa dalla santa sede». Il Vaticano presenta la giornata mondiale della pace.

 E recupera l'enciclica Pacem in terris
di  MIMMO DE CILLIS*


Il re Bush è nudo. La sua dottrina di «guerra preventiva» non è altro che la maschera di una guerra di aggressione. I temi legati alla guerra e gli scenari nefasti della politica internazionale tengono banco alla presentazione del messaggio di papa Wojtyla per la Giornata mondiale della pace. Le parole di monsignor Renato Martino, neo presidente del dicastero vaticano di Giustizia e Pace, dopo una lunga esperienza come osservatore all'Onu, sgombrano il campo dagli equivoci: «La guerra preventiva è un'azione di attacco e non di difesa e per questo non può essere ammessa dalla Santa Sede sotto la definizione di guerra giusta», in quanto «la difesa degli interessi di un paese non può essere identificata con l'autodifesa e quindi non può giustificare un attacco». La voce profetica di Wojtyla si fa più forte e chiara di fronte a uno scenario mondiale che vede deteriorarsi velocemente un'architettura globale fondata sul diritto internazionale e l'affermarsi di dottrine unilateraliste, logiche di vendetta e violenza militare. Dopo pars destruens che si è sostanziata nel grido di un Dio «disgustato dalle azioni umane», Wojtyla propone una pars costruens, rilanciando la sua visione del mondo, della storia, della politica. E lo fa rispolverando con notevole tempestività un documento che ormai appartiene alla storia della Chiesa: l'enciclica Pacem in terris (1963) di Papa Giovanni XXIII, una vera magna carta del pacifismo cattolico, il testo che, in tempi di guerra fredda, per primo formulò una dottrina coerente e globale sulle ragioni dell'impegno cristiano per la pace nel mondo.

«La Pacem in terris - ha ricordato l'arcivescovo Martino - costituì un decisivo momento di rottura perché riaffermò il fondamentale valore della pace come aspirazione della gente di ogni parte della terra a vivere in sicurezza, giustizia e speranza", intuendo la necessità di una vera e propria "rivoluzione spirituale».

E proprio da qui prende le mosse il discorso di papa Wojtyla che parla di necessaria «sensibilità spirituale», ricordando le conseguenze pubbliche e politiche che tale consapevolezza può avere per il bene comune - principio classico della dottrina sociale - dentro un orizzonte mondiale. E la tutela di quello che diventa "bene comune universale" va affidata a un'autorità pubblica a livello internazionale che possa "disporre dell'effettiva capacità di promuoverlo", identificata con l'Onu. Le dottrine unilateraliste che ne minano i fondamenti sono dunque deprecabili e mettono realmente a rischio la pace nel mondo: lo schiaffo a Bush suona forte e chiaro, soprattutto se si considera che il Papa pone la questione su un piano morale, ambito sul quale il documento di Wojtyla si sofferma ampiamente.

E' impossibile, afferma il pontefice, separare esigenze morali e politiche. Non può esistere una "zona franca" della politica che si sottrae al giudizio morale, basato su principi connessi all'affermazione della dignità e dei diritti umani. E il legame inscindibile tra morale e politica, continua Wojtyla, è particolarmente rilevante e attuale rispetto alla questione mediorientale: "Finché coloro che occupano posizioni di responsabilità non accetteranno di porre coraggiosamente in questione il loro modo di gestire il potere e di procurare il benessere dei loro popoli, sarà difficile immaginare che si possa davvero progredire verso la pace. La lotta fratricida, che ogni giorno scuote la Terra Santa (...) pone l'urgente esigenza di uomini e di donne convinti della necessità e dei diritti della persona". Un monito che sembra calzare a pennello per Sharon e le autorità politiche israeliane, che tuttora sottopongono Betlemme, "la città scelta dal Principe della Pace come luogo prediletto della sua nascita in questo mondo", a violenza e terrore.

Il documento ribadisce poi che la pace cammina a braccetto con lo sviluppo dei popoli. Diventa allora quanto mai urgente il "disarmo per lo sviluppo": "Non si potrà eliminare la fame finché nel mondo si investono tanti miliardi di dollari all'anno (circa 800, ndr) in spese militari". Inoltre, dopo l'11 settembre, nota il papa, la pace è minacciata anche dal "cancro" del terrorismo internazionale, che mina la stabilità e la sicurezza a livello nazionale, regionale ed internazionale. "Ma la lotta contro il terrorismo - conclude Wojtyla - mai dovrà essere combattuta a spese dei diritti umani ed umanitari".

*Lettera 22
 

testo integrale tratto da "IL MANIFESTO" - 18 dicembre 2002

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Casella di testo: «E' un attacco inaccettabile» 
Non è azione di difesa «La guerra preventiva non può essere ammessa dalla santa sede». Il Vaticano presenta la giornata mondiale della pace.
 E recupera l'enciclica Pacem in terris
di  MIMMO DE CILLIS*

Il re Bush è nudo. La sua dottrina di «guerra preventiva» non è altro che la maschera di una guerra di aggressione. I temi legati alla guerra e gli scenari nefasti della politica internazionale tengono banco alla presentazione del messaggio di papa Wojtyla per la Giornata mondiale della pace. Le parole di monsignor Renato Martino, neo presidente del dicastero vaticano di Giustizia e Pace, dopo una lunga esperienza come osservatore all'Onu, sgombrano il campo dagli equivoci: «La guerra preventiva è un'azione di attacco e non di difesa e per questo non può essere ammessa dalla Santa Sede sotto la definizione di guerra giusta», in quanto «la difesa degli interessi di un paese non può essere identificata con l'autodifesa e quindi non può giustificare un attacco». La voce profetica di Wojtyla si fa più forte e chiara di fronte a uno scenario mondiale che vede deteriorarsi velocemente un'architettura globale fondata sul diritto internazionale e l'affermarsi di dottrine unilateraliste, logiche di vendetta e violenza militare. Dopo pars destruens che si è sostanziata nel grido di un Dio «disgustato dalle azioni umane», Wojtyla propone una pars costruens, rilanciando la sua visione del mondo, della storia, della politica. E lo fa rispolverando con notevole tempestività un documento che ormai appartiene alla storia della Chiesa: l'enciclica Pacem in terris (1963) di Papa Giovanni XXIII, una vera magna carta del pacifismo cattolico, il testo che, in tempi di guerra fredda, per primo formulò una dottrina coerente e globale sulle ragioni dell'impegno cristiano per la pace nel mondo.

«La Pacem in terris - ha ricordato l'arcivescovo Martino - costituì un decisivo momento di rottura perché riaffermò il fondamentale valore della pace come aspirazione della gente di ogni parte della terra a vivere in sicurezza, giustizia e speranza", intuendo la necessità di una vera e propria "rivoluzione spirituale».

E proprio da qui prende le mosse il discorso di papa Wojtyla che parla di necessaria «sensibilità spirituale», ricordando le conseguenze pubbliche e politiche che tale consapevolezza può avere per il bene comune - principio classico della dottrina sociale - dentro un orizzonte mondiale. E la tutela di quello che diventa "bene comune universale" va affidata a un'autorità pubblica a livello internazionale che possa "disporre dell'effettiva capacità di promuoverlo", identificata con l'Onu. Le dottrine unilateraliste che ne minano i fondamenti sono dunque deprecabili e mettono realmente a rischio la pace nel mondo: lo schiaffo a Bush suona forte e chiaro, soprattutto se si considera che il Papa pone la questione su un piano morale, ambito sul quale il documento di Wojtyla si sofferma ampiamente.

E' impossibile, afferma il pontefice, separare esigenze morali e politiche. Non può esistere una "zona franca" della politica che si sottrae al giudizio morale, basato su principi connessi all'affermazione della dignità e dei diritti umani. E il legame inscindibile tra morale e politica, continua Wojtyla, è particolarmente rilevante e attuale rispetto alla questione mediorientale: "Finché coloro che occupano posizioni di responsabilità non accetteranno di porre coraggiosamente in questione il loro modo di gestire il potere e di procurare il benessere dei loro popoli, sarà difficile immaginare che si possa davvero progredire verso la pace. La lotta fratricida, che ogni giorno scuote la Terra Santa (...) pone l'urgente esigenza di uomini e di donne convinti della necessità e dei diritti della persona". Un monito che sembra calzare a pennello per Sharon e le autorità politiche israeliane, che tuttora sottopongono Betlemme, "la città scelta dal Principe della Pace come luogo prediletto della sua nascita in questo mondo", a violenza e terrore.

Il documento ribadisce poi che la pace cammina a braccetto con lo sviluppo dei popoli. Diventa allora quanto mai urgente il "disarmo per lo sviluppo": "Non si potrà eliminare la fame finché nel mondo si investono tanti miliardi di dollari all'anno (circa 800, ndr) in spese militari". Inoltre, dopo l'11 settembre, nota il papa, la pace è minacciata anche dal "cancro" del terrorismo internazionale, che mina la stabilità e la sicurezza a livello nazionale, regionale ed internazionale. "Ma la lotta contro il terrorismo - conclude Wojtyla - mai dovrà essere combattuta a spese dei diritti umani ed umanitari".

*Lettera 22 

testo integrale tratto da "IL MANIFESTO" - 18 dicembre 2002