IL VATICANO II,

UN'ANTICAGLIA O UNA SFIDA PER IL FUTURO ?

di Giancarlo Zizola

Sono passati quarant'anni dal giorno in cui Papa Giovanni XXIII inaugurò in San Pietro il Concilio Vaticano II , la più folta e universale assemblea della storia del cristianesimo. Anniversario di un'anticaglia per alcuni, di una memoria ferita per altri, sul quale plana ancora la domanda suscitata da Karl Rahner all'indomani dell'elezione di Wojtyla di fronte alle prime mosse del revisionismo: "Il Vaticano II ha o no un significato permanente?"  O anche l'altra spinosa questione: se l'attuale generazione di vescovi e teologi saprebbe offrire una simile testimonianza alla libertà spirituale per sfidare il predominio degli organi centrali e affrontare i nodi della crisi cristiana sommersa. A papa Roncalli premeva l'avvio di un processo di riforma non accettato per obbedienza ma condiviso per convinzione, un processo che non sarebbe potuto partire con gli strumenti precettivi ordinari, ma solo mediante una dinamica partecipativa. Per questo il papa non volle imporre né il proprio paradigma né quello riorganizzativo proposto da Montini a da Suenens, critici della disorganicità e dispersione del materiale preparatorio. Preferì «ascoltare e tacere per lasciare libero il gioco dello Spirito Santo».

Ma non è sicuro che il modello alto di riforma lanciato l' 11 ottobre sia stato corrisposto esaurientemente dal Concilio e dal  dopo-Concilio, malgrado le mediazioni di Paolo VI. I  progressi realizzati furono incisivi, ma nelle condizioni effettive non potevano essere maggiori.

I Concili non sviluppano la loro efficacia che con il tempo. Il caso del Vaticano II è particolare. Nutrito da una cultura cattolica che non domina più la società, il suo linguaggio non parla più a molta gente. I  limiti della cultura del Concilio appaiono scopertamente oggi, grazie agli sviluppi germinati dal Concilio stesso. Il Vaticano II aveva lavorato in un'ottica eurocentrica, che non gli permetteva di assumere i termini della critica antimoderna svolta dalle Chiese del sud del mondo (che costituiscono il 74 per cento dei cattolici), per le quali la modernità comporta drammatici problemi di dominazione culturale ed economica. Dalla teologia della libertà (approdata alla svolta del Concilio sulla libertà religiosa) si è passati alla teologia della liberazione, dagli scenari  europei agli orrizonti planetari. Ancora, l'universalismo, dentro il quale e per il quale il Concilio si era impegnato, era visto allora prevalentemente come adattamento della Chiesa nella permanenza della cultura europea come forma "congenita", della fede cristiana. Dopo il Concilio, si è fatta strada l'opzione per l'inculturazione, dunque della rilettura dell'annuncio evangelico a partire dalle radici culturali, dai nodi di comprensione e dai linguaggi dei mondi diversi verso i quali la Chiesa tenta la sua missione, come Paolo la svolse uscendo dal suo guscio mosaico. Molte delle questioni discussa allora non sono più attuali oppure si presentano in termini nuovi. Altre allora rimosse si sono vendicate  esplodendo (celibato, morale sessuale, nascite sacerdozio femminile). Il dialogo con la modernità era basato sul progetto di una cristianità rinnovata: non si era capito abbastanza che questa cristianità sarebbe sconvolta da un'erosione interna massiccia, che nessun riformismo sarebbe valso a contenere. La svolta antropologica del Sessantotto, riconosceva Padre Congar, ha determinato l'invecchiamento precoce del Concilio, ma anche la crisi della modernità strumentale. In alcuni campi, la Chiesa di Giovanni Paolo II è andata oltre le conclusioni del Concilio, sviluppandole: ad esempio,

punto elenco

nella riforma liturgica,

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nel dialogo con gli Ebrei,

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nella dottrina sulla pace,

punto elenco

nel dialogo interreligioso,

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nella priorità dei diritti umani e della libertà religiosa,

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nell'erosione dell'intreccio fede-politica.

In altri settori le realizzazioni sono state deludenti: abbiamo assistito al ritorno in forze dei conservatori, a interpretazioni minimaliste, ad applicazioni riduttive del valore vincolante del Concilio, quasi che il cambiamento nell'ordine delle strutture  (il governo collegiale della Chiesa, il decentramento, il ruolo delle Chiese locali, l'inculturazione extraeuropea del Vangelo) non fosse considerato necessario per la riforma "spirituale" della Chiesa, ed essa potesse affrontare coi freni tirati le sfide del Millennio.

Ma il nuovo aeropago della globalizzazione sembra invocare, come ha fatto Giovanni Paolo II nella Novo Millennio Ineunte, uno sviluppo degli indirizzi segnati dal Vaticano II , al di là dei lenti anche se reali mutamenti adottati. Il Concilio è una tappa decisiva, non un termine.

E questi sono i temi che attendono risposta:

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l'ecumenismo,

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l'incontro con le culture asiatiche e africane,

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 la riforma del papato,

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il rapporto  tra fede e cultura scientifica,

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un'identità cristiana fuori del guscio protettivo della cristianità di regime,

punto elenco

 la ripresa del tema della Chiesa dei poveri,

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 un nuovo sforzo di dialogo con la società secolare.

Il problema più scottante per la Chiesa di Wojtyla è di assumere la sfida della globalizzazione senza salire sul carro dei vincitori. 

testo integrale tratto da "Il sole 24 0re" - 13 ottobre 2002

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Casella di testo: IL VATICANO II,
UN'ANTICAGLIA O UNA SFIDA PER IL FUTURO ?
di Giancarlo Zizola
Sono passati quarant'anni dal giorno in cui Papa Giovanni XXIII inaugurò in San Pietro il Concilio Vaticano II , la più folta e universale assemblea della storia del cristianesimo. Anniversario di un'anticaglia per alcuni, di una memoria ferita per altri, sul quale plana ancora la domanda suscitata da Karl Rahner all'indomani dell'elezione di Wojtyla di fronte alle prime mosse del revisionismo: "Il Vaticano II ha o no un significato permanente?"  O anche l'altra spinosa questione: se l'attuale generazione di vescovi e teologi saprebbe offrire una simile testimonianza alla libertà spirituale per sfidare il predominio degli organi centrali e affrontare i nodi della crisi cristiana sommersa. A papa Roncalli premeva l'avvio di un processo di riforma non accettato per obbedienza ma condiviso per convinzione, un processo che non sarebbe potuto partire con gli strumenti precettivi ordinari, ma solo mediante una dinamica partecipativa. Per questo il papa non volle imporre né il proprio paradigma né quello riorganizzativo proposto da Montini a da Suenens, critici della disorganicità e dispersione del materiale preparatorio. Preferì «ascoltare e tacere per lasciare libero il gioco dello Spirito Santo».
Ma non è sicuro che il modello alto di riforma lanciato l' 11 ottobre sia stato corrisposto esaurientemente dal Concilio e dal  dopo-Concilio, malgrado le mediazioni di Paolo VI. I  progressi realizzati furono incisivi, ma nelle condizioni effettive non potevano essere maggiori. 
I Concili non sviluppano la loro efficacia che con il tempo. Il caso del Vaticano II è particolare. Nutrito da una cultura cattolica che non domina più la società, il suo linguaggio non parla più a molta gente. I  limiti della cultura del Concilio appaiono scopertamente oggi, grazie agli sviluppi germinati dal Concilio stesso. Il Vaticano II aveva lavorato in un'ottica eurocentrica, che non gli permetteva di assumere i termini della critica antimoderna svolta dalle Chiese del sud del mondo (che costituiscono il 74 per cento dei cattolici), per le quali la modernità comporta drammatici problemi di dominazione culturale ed economica. Dalla teologia della libertà (approdata alla svolta del Concilio sulla libertà religiosa) si è passati alla teologia della liberazione, dagli scenari  europei agli orrizonti planetari. Ancora, l'universalismo, dentro il quale e per il quale il Concilio si era impegnato, era visto allora prevalentemente come adattamento della Chiesa nella permanenza della cultura europea come forma "congenita", della fede cristiana. Dopo il Concilio, si è fatta strada l'opzione per l'inculturazione, dunque della rilettura dell'annuncio evangelico a partire dalle radici culturali, dai nodi di comprensione e dai linguaggi dei mondi diversi verso i quali la Chiesa tenta la sua missione, come Paolo la svolse uscendo dal suo guscio mosaico. Molte delle questioni discussa allora non sono più attuali oppure si presentano in termini nuovi. Altre allora rimosse si sono vendicate  esplodendo (celibato, morale sessuale, nascite sacerdozio femminile). Il dialogo con la modernità era basato sul progetto di una cristianità rinnovata: non si era capito abbastanza che questa cristianità sarebbe sconvolta da un'erosione interna massiccia, che nessun riformismo sarebbe valso a contenere. La svolta antropologica del Sessantotto, riconosceva Padre Congar, ha determinato l'invecchiamento precoce del Concilio, ma anche la crisi della modernità strumentale. In alcuni campi, la Chiesa di Giovanni Paolo II è andata oltre le conclusioni del Concilio, sviluppandole: ad esempio, 
nella riforma liturgica,
nel dialogo con gli Ebrei, 
nella dottrina sulla pace, 
nel dialogo interreligioso,
nella priorità dei diritti umani e della libertà religiosa,
nell'erosione dell'intreccio fede-politica. 
In altri settori le realizzazioni sono state deludenti: abbiamo assistito al ritorno in forze dei conservatori, a interpretazioni minimaliste, ad applicazioni riduttive del valore vincolante del Concilio, quasi che il cambiamento nell'ordine delle strutture  (il governo collegiale della Chiesa, il decentramento, il ruolo delle Chiese locali, l'inculturazione extraeuropea del Vangelo) non fosse considerato necessario per la riforma "spirituale" della Chiesa, ed essa potesse affrontare coi freni tirati le sfide del Millennio.
Ma il nuovo aeropago della globalizzazione sembra invocare, come ha fatto Giovanni Paolo II nella Novo Millennio Ineunte, uno sviluppo degli indirizzi segnati dal Vaticano II , al di là dei lenti anche se reali mutamenti adottati. Il Concilio è una tappa decisiva, non un termine.
E questi sono i temi che attendono risposta: 
l'ecumenismo, 
l'incontro con le culture asiatiche e africane,
 la riforma del papato, 
il rapporto  tra fede e cultura scientifica, 
un'identità cristiana fuori del guscio protettivo della cristianità di regime,
 la ripresa del tema della Chiesa dei poveri,
 un nuovo sforzo di dialogo con la società secolare. 
Il problema più scottante per la Chiesa di Wojtyla è di assumere la sfida della globalizzazione senza salire sul carro dei vincitori.  
testo integrale tratto da "Il sole 24 0re" - 13 ottobre 2002