La prima volta di un Papa in Parlamento

 

UN TESTIMONE DELLA LIBERTA’

di Enzo Biagi

 

Se Gesù andava incontro ai lebbrosi, non capisco perché il Suo rappresentante debba star fuori dal Parlamento. Una certa mediocrità non è malattia né peccato. L’Italia è, per definizione e anche nella sostanza, un Paese cattolico. Il Santo Padre va tra gli «onorevoli» (il titolo non indica sempre dei meriti) eletti dai cittadini perché facciano giuste leggi e governino il Paese possibilmente accantonando il loro interesse e i loro affari. Qualcuno ha protestato: ma io ricordo Papa Pacelli, dopo un bombardamento di Roma, tra i popolani che piangevano, con la veste candida macchiata di sangue. Guai, ammoniva uno scrittore francese, usare la croce come un manganello: ma le mani tremolanti di Wojtyla la sollevano nell’aria solo per benedire. E soltanto i faziosi dimenticano quello che il Pontefice polacco ha fatto per la libertà, non solo della gente dell’Est, ma del mondo. Ha convissuto col dolore. Bernanos nel Diario di un parroco di campagna racconta la solitudine del prete: penso alla sua. Quando lo osservo affacciato per benedire la folla che lo attende in Piazza San Pietro, il mio sguardo si fissa sul tremito della mano e vedo nei suoi occhi azzurri la pena per gli affanni del mondo.
Penso a Karol Wojtyla ragazzo, orfano della madre, cresciuto in un lontano villaggio, la parrocchia e l’osteria, i campi di segala e i malinconici canneti, i cieli della Polonia, la polvere delle cantorie, i volti duri dei santi, il profumo della cera che brucia e dell’incenso che svanisce e, una sera, recitate le preghiere, la chiamata di Dio: «Lascerai tutto». Obbedì. Forse riflette sul passato, sulla sua vita a Cracovia: aveva vent’anni quando arrivarono i tedeschi, e deportavano e uccidevano. Celebrava la prima messa quando al potere andò un governo che combatteva la religione e imponeva altre dottrine. Diventò vescovo e dovette, per insegnare il Vangelo, rischiare la prigione. In ogni momento il peggio è in agguato. Ma affronta il pericolo con la serenità di chi sa che, quando il fango sale, bisogna essere pietra per segnare la strada giusta della storia. E ci sono immagini che lo rappresentano nella sua umanità: ragazzino con un cappellaccio di pezza; a nove anni aveva perso la mamma. Poi un fratello, bello, giovane, medico, ucciso dalla scarlattina. Poi il padre, col quale ha studiato e pregato, se ne va. Poi lui giovanotto, con gli sci sui monti Tatra, o in bicicletta, mentre si rade all’ombra di un albero. E ancora la solennità di San Pietro, con il mistero che decide di cento destini: i cardinali scelgono uno che viene da lontano, fuori da ogni previsione. E il suo italiano conquista le folle: «Se sbaglio, voi corrigete me».
E quando il male e la cattiveria umana lo colpiranno, prima di cadere mormora: «Perché lo hanno fatto?». Perché volere uccidere un uomo che predica la carità e l’amore? Quando il male lo affligge e deve affidarsi ai chirurghi, ai fedeli che aspettano la sua benedizione raccomanda: «Pregate per me». Ora che entra nel nostro Parlamento, un cittadino qualsiasi, io, gli dico: «Santità, preghi per il mio popolo. Giorni difficili ci attendono».
 

testo integrale tratto da "Il Corriere della Sera"-15 novembre 2002

 

 

 

 

 

 

Casella di testo: La prima volta di un Papa in Parlamento


UN TESTIMONE DELLA LIBERTA’

di Enzo Biagi

Se Gesù andava incontro ai lebbrosi, non capisco perché il Suo rappresentante debba star fuori dal Parlamento. Una certa mediocrità non è malattia né peccato. L’Italia è, per definizione e anche nella sostanza, un Paese cattolico. Il Santo Padre va tra gli «onorevoli» (il titolo non indica sempre dei meriti) eletti dai cittadini perché facciano giuste leggi e governino il Paese possibilmente accantonando il loro interesse e i loro affari. Qualcuno ha protestato: ma io ricordo Papa Pacelli, dopo un bombardamento di Roma, tra i popolani che piangevano, con la veste candida macchiata di sangue. Guai, ammoniva uno scrittore francese, usare la croce come un manganello: ma le mani tremolanti di Wojtyla la sollevano nell’aria solo per benedire. E soltanto i faziosi dimenticano quello che il Pontefice polacco ha fatto per la libertà, non solo della gente dell’Est, ma del mondo. Ha convissuto col dolore. Bernanos nel Diario di un parroco di campagna racconta la solitudine del prete: penso alla sua. Quando lo osservo affacciato per benedire la folla che lo attende in Piazza San Pietro, il mio sguardo si fissa sul tremito della mano e vedo nei suoi occhi azzurri la pena per gli affanni del mondo. 
Penso a Karol Wojtyla ragazzo, orfano della madre, cresciuto in un lontano villaggio, la parrocchia e l’osteria, i campi di segala e i malinconici canneti, i cieli della Polonia, la polvere delle cantorie, i volti duri dei santi, il profumo della cera che brucia e dell’incenso che svanisce e, una sera, recitate le preghiere, la chiamata di Dio: «Lascerai tutto». Obbedì. Forse riflette sul passato, sulla sua vita a Cracovia: aveva vent’anni quando arrivarono i tedeschi, e deportavano e uccidevano. Celebrava la prima messa quando al potere andò un governo che combatteva la religione e imponeva altre dottrine. Diventò vescovo e dovette, per insegnare il Vangelo, rischiare la prigione. In ogni momento il peggio è in agguato. Ma affronta il pericolo con la serenità di chi sa che, quando il fango sale, bisogna essere pietra per segnare la strada giusta della storia. E ci sono immagini che lo rappresentano nella sua umanità: ragazzino con un cappellaccio di pezza; a nove anni aveva perso la mamma. Poi un fratello, bello, giovane, medico, ucciso dalla scarlattina. Poi il padre, col quale ha studiato e pregato, se ne va. Poi lui giovanotto, con gli sci sui monti Tatra, o in bicicletta, mentre si rade all’ombra di un albero. E ancora la solennità di San Pietro, con il mistero che decide di cento destini: i cardinali scelgono uno che viene da lontano, fuori da ogni previsione. E il suo italiano conquista le folle: «Se sbaglio, voi corrigete me». 
E quando il male e la cattiveria umana lo colpiranno, prima di cadere mormora: «Perché lo hanno fatto?». Perché volere uccidere un uomo che predica la carità e l’amore? Quando il male lo affligge e deve affidarsi ai chirurghi, ai fedeli che aspettano la sua benedizione raccomanda: «Pregate per me». Ora che entra nel nostro Parlamento, un cittadino qualsiasi, io, gli dico: «Santità, preghi per il mio popolo. Giorni difficili ci attendono». 

testo integrale tratto da "Il Corriere della Sera"-15 novembre 2002