Le terribili parole del Papa sul silenzio divino: “Si nasconde in cielo per le azioni dell’umanità”
Il Dio “disgustato” di Wojtyla
di Massimo Cacciari
“Dio non si rileva più, sembra nascondersi nel suo cielo, in silenzio, quasi disgustato dalle azioni dell’umanità”. Con queste terribili parole il Papa solleva un tema che è al centro della riflessione teologica contemporanea, ben prima di Auschwitz: il silenzio di Dio davanti agli orrori del mondo. Ma il tema di questo silenzio è puro non senso, se non c’é nessuno che lo ascolta e lo interroga. Per farlo, deve credere di una fede paradossale ed estrema. Deve credere come credevano in Dio i maestri assidici quando nel mezzo delle più atroci persecuzioni danzavano, quasi a consolare Dio nelle stragi che subivano. Oppure occorre essere persone convinte che pensare a Dio e porsi il problema di Dio sia uno dei compiti fondamentali, se non il massimo compito, come dicevano Platone e Aristotele, del pensiero. Allora la domanda che bisogna porsi è: come dare senso al problema del silenzio di Dio, se nessuno ci crede, se nessuno è convinto che pensare a lui sia una questione decisiva. Da qui emerge la grandezza tragica di questo Papa. Tragica perché profeta è – letteralmente – colui che parla di fronte a un popolo e il popolo lo ascolta. Il popolo può mettere anche a morte i suoi profeti come accade da quelli veterotestamentari fino a Gesù. Ma anche metterli a morte è una forma radicale di crederci. Se la risposta è invece l’indifferenza , se di fronte alla parola del profeta io continuo ad andare per la mia strada, non ascolto la sua predica, ma anzi, peggio, fingo ipocritamente ossequio, allora chi parla non è più profeta. E’ la tragedia del profeta quella di non essere ascoltato. Questa essenzialmente è la condizione di questo Papa e di questa Chiesa. A questo punto occorrerebbe passare dalla parabola e dalla metafora al discorso diretto. A volte nel Vangelo accade. Gesù parla per parabole, ma prende anche a calci i mercanti nel Tempio. E’ un gesto radicale. Oppure dice che è venuto a portare la spada nel mondo, a dividere i sepolcri imbiancati, gli ipocriti, da coloro che credono veramente. Dunque, davanti alla tragedia non del silenzio di Dio, ma di questo non ascolto del silenzio di Dio, la Chiesa dovrebbe passare dalla parabola all’azione, dovrebbe dire chi sono i sepolcri imbiancati, i mercanti del Tempio, i mercanti di guerra. Dovrebbe cominciare a indicarli con il dito. Cosi facevano i profeti davanti ai re, rischiando di essere lapidati. La grande differenza è che oggi tutti vanno a baciargli l’anello. Il Papa ha parlato anche di un Dio disgustato dalle azioni dell’umanitò. E’ il tema dell’«ira Dei », nell’ottica retributiva, remunerativa che è propria di alcune parti del Vecchio Testamento, quelle che a me piacciono meno. L’ottica per la quale la fame, le carestie, le guerre vengono da Dio per i nostri peccati. Ma è da tempo che la teologia si è liberata da questa assurdità. Pensare che Dio punisca per i peccati dell’umanità i bambini dell’Iraq o dell’Afghanistan mi sembra grottesco. Uno dei momenti di massima carica rivoluzionaria del Nuovo Testamento è proprio che Gesù esplicitamente esclude e condanna ogni logica remunerativa. Le malattie, il dolore, le sciagure non sono assolutamente un segno di peccato. Qualunque cosa faccia l’uomo, l’amore di Dio per lui non si interrompe. Il Papa non parla di un Dio vendicativo, ma di un Dio ammutolito: e la domanda su come ascoltare il silenzio vale per il cattolico come per il laico, che dovrebbe porsi quelle che una volta si chiamavano le questioni ultime, quelle per le quali pensare non vuol dire solo calcolare, ma vuol dire anche chi siamo, da dove veniamo, se abbiamo un senso. Domande che possono anche non avere risposta. Ma se nel mondo contemporaneo gli unici interrogativi sensati sono quelli che possono avere una risposta definitiva, allora il tema del silenzio di Dio cade nel vuoto. testo integrale tratto da "Repubblica" -12 dicembre2002
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