4a DOMENICA DI AVVENTO - B
1. Con l’ultima domenica di Avvento e quasi alla vigilia di Natale siamo ancora una volta invitati ad ascoltare e meditare la pagina dell’Annunciazione del Signore (Lc 1,26-38). Questa pagina è la “Porta Regale” — così la tradizione iconografica della chiesa ortodossa — che ci introduce all’accoglienza del “Verbo che si fa uomo”, del Figlio che sposa la nostra umanità.
2. Che questa pagina ci parli di accoglienza, lo dice la verginità di Maria (v. 27): accoglienza della Parola del Signore senza ritrosìe; e lo dice anche l’espressione “non conosco uomo” (v. 34) che già qualche padre della chiesa leggeva anche come ritrosia a confidare nell’uomo, riluttanza ad affidarsi esclusivamente a parole e a progetti umani, rifiuto a stare sempre e comunque nelle rigide logiche del “buon senso” umano. L’accoglienza di Maria è accoglienza che ha imparato a fidarsi della Parola di Dio. Non una fede cieca e nemmeno miracolistica. Ma una fede che sa ragionare, discernere, riflettere, dialogare: “si domandava il senso... Come è possibile?... ”. Trovo molto significativo e opportuno accostare a questa pagina quella di Lc 8,15 dove sta scritto che il seme della Parola caduto “sulla terra bella sono coloro che dopo aver ascoltato la parola con cuore bello e perfetto, la custodiscono e producono frutto con la loro perseveranza”. Maria è l’umanità “terrosa” che, proprio perché fatta di terra, ha imparato a non confidare “in certe parole umane” e a custodire — come l’Arca dell’Alleanza custodiva la Torah — e a far crescere in lei il piccolo seme della Parola di Dio. Eloquente l’altra pagina di Lc 8,21: “Mia madre e miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la fanno creativamente”, ovvero “rigenerano” con la loro vita quella stessa parola che li ha rigenerati (cf. 1Pt 1,23).
3. La risposta di Maria “Ecco, sono la schiava del Signore, avvenga a me secondo la tua parola-avvenimento-fatto” (v. 38), chiarisce ancora di più la sua accoglienza e la sua fede. Il vocabolo “parola-avvenimento-fatto” dice quello che per la mentalità semitica è un dato ovvio: la parola non è soltanto una “emissione di fiato e di suoni” ma anche “fatto”, “avvenimento”, “cosa”. Ciò che uno dice si realizza realmente, e questo a determinate condizioni. È un dato ovvio per la mentalità semitica. Lo è anche per noi occidentali. Se riflettiamo, anche per noi, sempre a determinate condizioni, quello che diciamo molto spesso diventa “fatto”, “avvenimento”. Un esempio un po’ banale e forse un po’ “fuori moda” o da “roba da antiquariato”. Se un insegnante dice agli alunni “alzatevi e usciamo per...”, gli alunni si alzano ed escono: ciò che l’insegnante ha detto si realizza perché tra lui e gli alunni c’è un rapporto di fiducia e di rispetto; se non si realizza, allora qualcosa non funziona nel loro rapporto: può accadere, infatti, che ad uscire, e di corsa, sia solo l’insegnante... (comunque sempre qualcosa è “avvenuto”). Ecco, in Maria la parola è diventata “fatto”, “avvenimento” a motivo della sua fede, della sua relazione di fiducia/affidamento con Dio e, quindi, del suo essere vergine/accogliente: “E beata colei che ha creduto — dirà Elisabetta — nell’adempimento di ciò che ti ha detto il Signore” (Lc 1,45). Maria, dicevano i padri della chiesa, ha generato il Figlio prima nella fede e poi nella carne. Generarlo nella fede, significa accoglierlo come “casa” in cui abitare (cf. 2Sam 7,1-16.18-29), come “progetto di vita” che testimoni in questo mondo la Sua Presenza che ci rende — come Lui — figli liberi e fratelli di ogni uomo, popolo e cultura. “La sua casa siamo noi, se conserviamo la libertà e la speranza di cui ci vantiamo” (Eb 3,6). Egidio Palumbo Barcellona PG (ME)
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