TRIPOLI, ITALIA

Il mondo in cui viviamo assomiglia ad una gigantesca accumulazione di ghetti. Mentre crescono ovunque la miseria e la disperazione, crescono le gabbie in cui catturarle e segregarle, al fine di tenerle lontane dai salotti buoni della società. Solo che questi salotti sono sempre più circondati dal loro contrario, da un’umanità che sopravvive a stento, delusa e numerosa. Dove rinchiuderla?

Il governo italiano ha pensato che quei lager chiamati “centri di permanenza temporanea”, costruiti in diverse città della penisola, non bastano. Ne vuole costruire ancora, certo, perché quelli attuali sono troppo affollati e indecenti per le anime pie della sinistra. Ma non bastano.

Ecco allora l’idea — non nuova, per la verità, ricca com’è di passato coloniale — di rastrellare e internare gli immigrati privi di documenti in regola direttamente là dove partono per raggiungere le coste italiane. CosÏ sono nati gli accordi con lo Stato libico per un’attività coordinata fra le rispettive polizie e la costruzione di un lager in cui rinchiudere almeno parte dei migranti africani. Questi accordi prevedono un programma di addestramento delle forze di polizia libiche, la fornitura di unità navali, aeree e terrestri per controllare i confini, l’apertura di sportelli per filtrare già in Africa le domande di asilo e una più generale collaborazione per un’impresa odiosa quanto impossibile: fermare la miseria alle frontiere. Molti aspetti di questi accordi sono segreti. Lo Stato italiano sta pagando fin d’ora i charter con cui il governo libico deporta numerosi africani (non solo verso la Libia). Si tratta di una versione aggiornata del “modello Albania” già applicato dal governo di centro-sinistra alla fine degli anni Novanta, a riprova che i colori politici non modificano il razzismo di Stato. Entro qualche settimana, 130 poliziotti italiani partiranno per la Libia. L’ex nemico pubblico Gheddafi è ora un prezioso collaboratore della Fortezza Europa nella caccia ai poveri e agli indesiderabili. A forza di lauti risarcimenti — ultimi, in ordine di tempo, i 35 milioni di dollari dati allo Stato tedesco per un attentato avvenuto a Berlino nel 1986 —, il Colonnello si è comprato la fine dell’embargo. E proprio di un nuovo rapporto dell’Europa con la Libia si parlerà, tra l’altro, nell’incontro del G5 (cioè dei ministri degli esteri di Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Spagna) previsto a Firenze nel mese di ottobre. In materia di immigrazione gli Stati si apprestano a combattere una guerra, con le debite alleanze, movimenti di truppe e servizi di propaganda: la guerra di questo mondo contro i suoi poveri.

Se conosciamo la sorte dei tanti immigrati rinchiusi nei Cpt italiani, non è difficile immaginare cosa subiranno in quelli controllati dalle due polizie in Libia. I campi dell’Algeria gestiti dagli sbirri francesi nel recente passato coloniale possono rappresentare una buona approssimazione. Le democrazie fuori dalle proprie frontiere e lontane dai benpensanti danno sempre il meglio di sé. Starà a noi squarciare la tranquillità e l’ipocrisia dei loro salotti buoni.

S.L.


NAUFRAGHI E SOPRAVVISSUTI

La vicenda della nave dell’Ong Cap Anamur dimostra come lo Stato italiano non abbia nessun ritegno nell’impedire che qualche decina di stranieri possa poggiar piede sulle nostre sante terre.

Alla nave tedesca, che lo scorso giugno ha salvato dei profughi sudanesi che stavano naufragando nel Mediterraneo, viene impedito per ventitre giorni l’attracco a Porto Empedocle, con un pesante dispiegamento di mezzi militari della Marina italiana. Durante tutto questo periodo varie organizzazioni umanitarie prestano assistenza sull’imbarcazione, “offrendo” ai 37 sudanesi sempre più irrequieti ingenti dosi di sedativi. Quando finalmente alla nave viene permesso l’approdo sulle coste siciliane, il governo non perde tempo per cercare di impedire che si crei un pericoloso precedente. Gli immigrati non possono sbarcare neanche se chiedono asilo politico, neanche se fuggono da una guerra civile, quella nel Darfur, sulla quale i nostri politici e i giornali spendono migliaia di lacrimevoli dichiarazioni. Soprattutto, nessuno deve permettersi di salvarli da una morte sicura in mare. Già ci avevano provato nell’estate del 2002 alcuni pescatori di Portopalo, che avevano tratto in salvo centocinquantuno stranieri, col risultato di essere indagati per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina; adesso il capitano della Cap Anamur e tre membri dell’equipaggio vengono direttamente arrestati per lo stesso reato. Ai profughi viene negata praticamente la possibilità di dichiararsi tali, subiscono pesanti pressioni affinché si dichiarino ghanesi o nigeriani, sono trasportati dal Cpt di Agrigento a quello di Caltanissetta, poi di nascosto vengono tradotti a Fiumicino su un aereo della Ghana Airways, prima che possano presentare un ricorso o vedere un avvocato. Lo Stato agisce in fretta e furia e con notevole sprezzo del ridicolo, pur di non fare scoppiare il “caso”. Non è necessaria una particolare sensibilità antirazzista per scorgere tutta l’abiezione di questa vicenda, che ricorda il calvario dell’Exodus, la nave carica di ebrei che furono rifiutati da ogni Stato dopo essere fuggiti dalla Germania nazista.

La cosa più significativa è che durante il presidio in solidarietà con i profughi di fronte al Cpt di San Benedetto di Agrigento, una quindicina di immigrati ha dato vita a una rivolta per cercare di scappare da quel lager, bruciando i materassi ed altre suppellettili e svellendo le sbarre alle finestre; la rivolta è stata però sedata e gli insorti sono stati raggruppati in un campetto di calcio adiacente al Centro, dove gli sbirri hanno iniziato i pestaggi di rito. Nello stesso momento all’esterno la polizia caricava i manifestanti che, seduti e con le mani alzate, non opponevano praticamente resistenza, provocando parecchi feriti. Nulla è meno realista del realismo della pacata protesta politica.

Considerato che sempre più spesso gli stranieri rinchiusi nei lager approfittano delle manifestazioni di fronte ai cancelli e della confusione che si crea per ribellarsi e tentare la fuga, forse si potrebbe pensare di organizzarsi prima. Per essere solidali, non occorre aspettare il manganello del poliziotto con le mani alzate.

I.E.

Responsabile del lager di San Benedetto (AG): Biagio Palumbo, coordinatore della Misericordia di San Biagio Platani, Via Matteotti 32