MURI DI CEMENTO E MURI DI IDEE

Dalla testimonianza di un amico e compagno israeliano abbiamo un resoconto diretto delle accesissime proteste contro la costruzione del muro nei territori della striscia di Gaza. Il risultato di quest’opera sarebbe la creazione di un ghetto palestinese, ma è ora più che mai che, in questo scenario di umana vergogna, la rabbia scavalca confini e check-point e unisce nella lotta palestinesi dei territori, musulmani e laici con dissidenti israeliani, anarchici, libertari, ebrei, atei, sfruttati. È nella rivolta accesa contro l’autorità, la polizia, le imprese di costruzione, che nasce l’incontro tra israeliani e palestinesi. Un rapporto non semplice ma già frutto di anni di resistenza comune, che l’informazione ufficiale tende a non riportare. «La scorsa settimana —, ci racconta il compagno, — a Bait Liqya siamo riusciti (per lo più palestinesi) a fermare i lavori del muro per due giorni, abbiamo fatto scappare tre bulldozer inseguendoli, uno è stato spaccato a sassate! Cerco di non essere troppo ottimista ma sembra che la lotta contro il muro stia guadagnando sempre più forze».

L’incontro tra rivoltosi palestinesi e israeliani avviene in un contesto particolare ed ha, proprio per questo, un significato profondissimo per l’umanità a venire per la quale stiamo lottando: chiunque si batta per un cambiamento radicale della società saprà coglierlo. A sperimentare una fiducia reciproca e un’unità per un comune desiderio di libertà e riscatto, infatti, non ci sono qui solo una popolazione oppressa e dissidenti del paese oppressore, ma soprattutto due visioni del mondo molto diverse basate su idee spesso strumentalizzate dal potere, e anche profondamente radicate nel pensiero e nella vita delle persone appartenenti a questi mondi.

Il nostro corrispondente solidale ci spiega come questo incontro avviene nella pratica. Gruppi di israeliani attraversano i controlli per andare dall’altra parte, mostrando anche loro un tesserino dello stesso colore di quello che i lavoratori palestinesi devono mostrare tutte le volte per recarsi nei luoghi di sfruttamento in territorio israeliano. Il lavoro, lo stesso sfruttamento che conosciamo in tutti i paesi democratici non in guerra.

“Di là” e a ridosso dei cantieri del muro uomini e donne, palestinesi e israeliani, musulmani, ebrei, laici, atei, organizzano la lotta e quando il problema è di imminenza pratica c’è poco da discutere, sono pietrate. «Ieri siamo stati al villaggio di Deir Qaddis dove i bulldozer israeliani stavano rivoltando la terra per tracciare il percorso del muro tagliando e sradicando ulivi, sono bastati 15 minuti dal nostro arrivo perché gli sbirri cominciassero a tirare lacrimogeni e shock granade (bombe assordanti) su una folla di donne e uomini anziani e bambini. Per le successive quattro, cinque ore, abbiamo cercato di irrompere tra lo schieramento dell’esercito ma senza riuscire a sfondare per fermare i lavori. A un certo punto senza motivo i soldati incazzati hanno iniziato a spararci contro proiettili di plastica, allora i più giovani, dai 5 ai 25 anni, hanno cominciato a tirar pietre riuscendo anche a fermare i lavori per una mezz’ora, questo ha portato all’arrivo di altra polizia e altri proiettili di gomma sparati. Ci siamo riposati un po’ mentre la gente era andata a pregare per poi tornare... l’esercito rimaneva in attesa con un carico di gas e proiettili, tutto è finito alle 16.30 con una quindicina di persone ferite, oggi la gente è ritornata e l’esercito ha sparato di nuovo (anche proiettili veri). Io ci tornerò domani».

Non siamo di sicuro di fronte alla fusione tra mondo arabo e quello occidentale, anzi, la separazione è netta, ma viene accantonata in virtù di necessità comuni, quali la resistenza all’annientamento quotidiano di una sorella, un fratello o un vicino sconosciuto.

Gli spostamenti e le fusioni di popoli e civiltà sono più che mai dettati da condizioni forzate di povertà, miserie, annientamento e catastrofi; la necessità di una lotta comune contro queste condizioni e il nemico che le causa si intravede anche nella possibilità di scardinare le leggi del più forte che schiaccia il più debole, o il “buono” che si disfa del “cattivo” con un ghetto, un Tso, il carcere, o un bel intervento sul Dna, tutto secondo i principi utilitaristi e autoritari del mondo patriarcale. La rivolta comune è l’unica via d’uscita.