DA UN LAGER ALL’ALTRO

Il Regina Pacis non sarà più un Cpt. La scelta che in estate era stata prospettata come possibile dai suoi responsabili ha assunto, pare, un carattere definitivo.

La fondazione Regina Pacis allo scadere del termine del 31/12/2004 ha deciso di non rinnovare più la convenzione con lo Stato italiano, anche se il Ministero dell’Interno ha prorogato tale convenzione di tre mesi, ufficialmente per dare il tempo di ripensarci; se la decisione presa dalla curia leccese e dai responsabili della fondazione sarà confermata, il 31 marzo 2005 il Cpt Regina Pacis di San Foca dovrebbe smettere di esistere.

Secondo quanto riportato dai media, i motivi che hanno spinto la curia ad abbandonare il business della carcerazione degli immigrati, sono da ricercare nella contestazione che gli anarchici hanno portato avanti contro il Cpt nel corso degli ultimi anni, e negli atti di sabotaggio e gesti intimidatori compiuti contro strutture e responsabili coinvolti a vario titolo nel funzionamento del Cpt stesso. Se da una parte questo conferma che l’azione e l’autorganizzazione sono strumenti utili nel portare avanti le lotte e che con costanza si arriva a dei risultati, d’altra parte questi potrebbero non essere stati i soli motivi che hanno fatto decidere per la chiusura del Cpt.

Di certo una grossa spinta a tale decisione è stata data dai costanti tentativi di evasione – più o meno riusciti – che si sono susseguiti con continuità nel corso degli anni, dalle tante rivolte scatenate all’interno dai reclusi e da motivi, legali ed economici, connessi a tutto ciò. Motivi legali per via di un processo in corso a carico di diversi gestori, operatori ed esponenti delle forze dell’ordine per lesioni, violenze, ecc., e di un altro processo contro i massimi dirigenti del Cpt per sottrazione di fondi; motivi economici perché data la particolare posizione logistica (sulla costa) del Regina Pacis, questo cozza con la vocazione turistica del luogo, suscitando le lamentele di turisti, operatori e amministratori. A ciò si aggiunga che la fondazione Regina Pacis ha spostato i suoi interessi economici in Moldavia, dove gestisce cinque centri sfruttando le situazioni più disparate, ed è inserita in vari programmi di “recupero”, di prostitute e non solo, sul suolo nazionale.

Inoltre, il Cpt salentino è l’unico rimasto in Italia ad essere gestito da una organizzazione religiosa, e questo ha suscitato nei confronti dei suoi gestori una ferma condanna da parte di altri organi ecclesiali.

Infine, particolare tutt’altro che irrilevante, il vuoto del Regina Pacis potrà essere coperto provvidenzialmente da un nuovo Cpt che sta per aprire a Bari, e la proroga di tre mesi concessa dal Ministero dell’Interno sembra fatta apposta per permetterne il completamento dei lavori.

Preso atto di tutto ciò, siamo convinti che la lotta resti il mezzo più importante per raggiungere il fine e siamo contenti che in Puglia altri compagni abbiano voluto intraprendere un percorso di opposizione ad altri Cpt, perché capiamo che, fermo restando la gioia per essersi sbarazzati di uno, c’è ben poco da festeggiare fino a che nuovi lager nasceranno. Da parte nostra, se veramente il Regina Pacis chiuderà, il discorso che da anni abbiamo intrapreso sarà tutt’altro che chiuso, e sposteremo la nostra lotta su un’altra struttura presente nel Salento, cioè il Centro di Prima Identificazione “Don Tonino Bello” di Otranto. Centri come questo sono comunque strutture detentive dove chi richiede asilo è trattenuto finché una commissione statale non deciderà della sua sorte: sono quindi sempre ingranaggi fondamentali nel perverso meccanismo delle espulsioni. Quello di Otranto in particolare, poi, ha finora funzionato in pratica come “zona d’attesa” per il Regina Pacis, in quanto oltre ai richiedenti asilo venivano rinchiusi anche coloro che erano in attesa di espulsione ma a cui ancora non era stato notificato il decreto, nell’attesa che si liberassero posti al Cpt di San Foca dove, una volta trasferiti, il decreto veniva notificato.

Quello che segue, è un primo piccolo contributo in tal senso.

Nemici di ogni frontiera  

Centro di Identificazione “Don Tonino Bello” - Via Uggiano la Chiesa - 73028 Otranto (LE) - Tel. 0836/806183

Gestore del Cdi: Comune di Otranto

Municipio - Via Rocamatura - Tel. 0836/802240 -- Centralino - P.za Basilica, 1 - Tel. 0836/871111 - Fax uffici:  0836/801683 - e-mail: otranto@mail6.clio.it - Tel. Sett. Affari Generali: 0836/871308

Sindaco di Otranto: Francesco Bruni -- Abitazione: via Porto Craulo, 17 - 73028 Otranto (LE) - Tel. 0836/802684 -- Studio: via Vittorio Emanuele, 10 - Tel. 0836/802703


PER QUANTO VI CREDIATE ASSOLTI...

Potremmo dire che lo abbiamo sempre sostenuto, ma l’ovvio e la banalità non ci appartengono e preferiamo lasciarli a politicanti e giornalisti, che di esse ne hanno fatto una ragione di vita. Ancora meno poi, gioiamo nel vedere all’opera la giustizia di Stato, che disprezziamo profondamente. Le riflessioni che si impongono, invece, sono altre.

Quello che è accaduto e accade ogni giorno nel lager Regina Pacis, al di là che un giudice qualunque voglia e riesca o meno a dimostrare, non è un caso isolato e non è neanche il frutto di una legge ingiusta o di una cattiva gestione di un centro: insomma, non si tratta di una eccezione. Il sequestro di persona, la violenza, la tortura, la spersonalizzazione dell’individuo sono il muro portante di ogni struttura detentiva, che sia essa un carcere, un centro di permanenza temporanea, un manicomio, un campo di internamento o una comunità terapeutica. Il Regina Pacis e Abu Graib, Auschwitz, Guantanamo e San Patrignano non sono eccezioni ma la normalità di questi tempi di guerra, così come don Cesare, il dottor Mengele, Muccioli e gli sbirri torturatori di Bolzaneto a Genova nel luglio del 2001, non sono persone che sono venute meno ai loro doveri andando "un po’ oltre", ma al contrario uomini che hanno svolto egregiamente il loro compito, che è quello di riprodurre continuamente l’attuale sistema sociale basato appunto sulla sopraffazione, sul terrorismo e sulla tortura. Tutto quello che hanno fatto è stato eseguire fin troppo bene gli ordini di uno Stato di cui sono servi; quello di cui si sono resi responsabili non è stato antidemocratico, ma è l’aspetto portante della democrazia, con buona pace di tutti i suoi sostenitori.

Da parte nostra, come anarchici, siamo contro il carcere e non vogliamo che nessun essere vivente venga rinchiuso, neanche un essere abietto e spregevole quale è senza dubbio don Cesare Lodeserto, carceriere a sua volta e aguzzino e torturatore di lungo corso. Se non vivessimo in questo mondo alla rovescia, il giusto atteggiamento nei confronti di terroristi del genere dovrebbe essere il disprezzo sociale e l’isolamento dalla comunità, e non già le veglie di preghiera e le lodi tessutegli dai mezzi di disinformazione e da gentaglia del suo calibro. Peraltro, la stessa gentaglia di ogni colorazione politica che si è sperticata ad esprimergli solidarietà quando, quattro anni fa, ha ricevuto minacce di morte ad opera di una fantomatica banda di albanesi, e che ha fatto una ben triste figura alla luce di quanto accertato in questi giorni, e cioè che tali minacce don Cesare se le era inviate da solo!

È curioso vedere come l’arresto di un personaggio potente susciti reazioni tanto scandalizzate proprio tra coloro che, quotidianamente, consolidano le mura del carcere sociale che rinchiude tutti gli sfruttati. Eppure nelle galere marciscono ogni giorno milioni di individui esclusi da qualsiasi possibilità di vivere una vita dignitosa, senza che questo disturbi il sonno delle anime belle della società civile. Senza contare che molti tra questi, poi, vengono rinchiusi proprio da gente come don Cesare Lodeserto e funzionari simili, e senza neanche il "privilegio" di starsene in una cella singola ed essere trattati da esseri umani.

… SIETE PER SEMPRE COINVOLTI

Anarchici

Capolinea Occupato - Via Adua, 5 - Lecce