BENVENUTI NEL PAESE DEI CANGURI

Oltre a possedere una solida tradizione di campi di concentramento, l’Australia offre la particolarità di accogliere gli immigrati che sbarcano sulle sue coste incarcerandoli in immensi centri di detenzione per anni, fino alla decisione che li riguarda. Attualmente sono circa 3.000 le persone rinchiuse, di cui circa 600 minorenni, che, oltre all’angoscia per una risposta che tarda a venire, vivono in condizioni detentive concentrazionarie (tende nel deserto circondate da filo spinato elettrificato come a Woomera, telecamere e mezzi blindati), fra torture e cure mediche inesistenti. In un simile contesto, le rivolte non potevano che moltiplicarsi.

Nel giugno 2000 quasi 700 rifugiati evadono dai campi di Woomera, Curtin e Port Hedland per recarsi a protestare nel centro cittadino. In seguito alle manifestazioni del 25 agosto davanti al campo di Woomera, alcuni detenuti si ribellano lanciando pietre contro i guardiani e incendiando alcuni edifici fra cui quello dell’amministrazione. Nell’agosto del 2000, una sommossa si conclude col ferimento di tredici guardie e danni per milioni di euro. Nel gennaio 2001, quasi 180 rifugiati attaccano le guardie con bastoni e spranghe di ferro prendendo il controllo del campo prima dell’intervento della polizia. Il 27 febbraio 2001, 40 rifugiati si ribellano per protestare contro l’espulsione di tre di loro. Il 3 aprile 2001, 200 rifugiati del campo di Curtin abbattono le recinzioni interne e incendiano due fabbricati. Nel novembre 2001, nuova sommossa a Woomera nel corso della quale sono tre gli edifici incendiati.

Oltre ai tentativi di evasione individuali e ai suicidi col fuoco in seguito al rifiuto di asilo, nel gennaio 2002 quasi 350 rifugiati di Woomera iniziano uno sciopero della fame che durerà 16 giorni, per ottenere che dopo la caduta dei Talebani gli afgani non siano più rimandati 'a casa'. In 50 si cuciono le labbra ed uno di loro si getta sul filo spinato. Almeno in questo caso, il governo cederà. Infine, durante le mobilitazioni del marzo 2002 davanti al campo di Woomera, l’attacco esterno alle recinzioni e gli scontri tra manifestanti e forze dell’ordine permette a 35 reclusi di evadere (altri 50 erano fuggiti in giugno).

Per contrastare l’immigrazione, lo Stato australiano ha adottato una politica particolarmente severa che prevede l’uso della marina militare per impedire alle navi cariche di immigrati di approdare. Queste navi vengono dirottate all’isola di Nauru, ben presto diventata un’Alcatraz australiana, con oltre 2.000 immigrati. Ma non è mancato il caso di una nave rimandata indietro, verso l’Indonesia, affondata poco dopo provocando quasi 400 morti. Tutto ciÚ è dovuto alla legge contro l’immigrazione approvata poco dopo l’11 settembre 2001, la quale ha concesso carta bianca alla repressione degli immigrati. Come se non bastasse — in seguito all’attentato avvenuto il 12 ottobre 2002 a Bali contro un locale notturno, che causÚ 192 morti fra cui 88 australiani — il governo australiano ha cominciato ad accusare i campi di detenzione di ospitare “terroristi” e ha avviato una campagna invitando la popolazione a segnalare ogni straniero “sospetto”, a partire dal 29 dicembre 2002.

Cinque dei sette campi presenti in Australia hanno salutato il nuovo anno accendendo il fuoco della rivolta. Venerdì 27 dicembre un primo incendio scoppia al campo di Baxter — in cui si trovano 215 persone — la cui costruzione era terminata da pochi mesi. Nei due giorni successivi, altri incendi distruggeranno quasi completamente l’intero campo, prigione ultimo grido dal costo di 22,3 milioni di euro. Il campo di Port Hedland, al cui interno si trovano 146 persone, divampa la notte fra domenica 29 e lunedì 30 dicembre. Il terzo campo ad andare in fiamme è Woomera, che si trova in mezzo al deserto ed è attivo dal 1999. Due primi fuochi vengono accesi domenica 29 dicembre, al mattino, nel blocco sanitario. L’indomani sera è la volta di due blocchi abitativi e due refettori, che vanno quasi interamente in fumo. I 130 rifugiati vengono trasferiti verso un altro blocco non utilizzato. In tutto il campo viene eseguita una vasta perquisizione, mentre i rifugiati passano due giorni seduti e ammanettati sul campo di pallacanestro, sotto il sole bruciante dell’estate e senz’acqua (7 uomini verranno condotti in prigione). Lunedì 30 dicembre è la volta del campo di Perth. Due rifugiati che dovevano essere portati all’aereoporto reagiscono all’arrivo degli agenti, suscitando l’immediata solidarietà di una quindicina dei loro compagni. Solo l’intervento della polizia in tenuta anti-sommossa riporterà la calma, con una guardia ferita e quattro rifugiati arrestati. Lo stesso giorno, anche il campo di Christams Island prende fuoco. Una quarantina di rifugiati appiccano due focolai e assumono il controllo del campo, armati di bastoni e tubi. I pompieri, prima di entrare, dovranno aspettare la fine degli scontri particolarmente duri fra immigrati e polizia.

L’ultima rivolta avviene nel campo di Villawood, a Sidney, dove si trovano 513 persone tutte in attesa di espulsione. I danni causati non sono elevati, ma la rivolta è la più violenta del fine settimana. Dopo aver incendiato alcune attrezzature, la notte di San Silvestro, 35 rifugiati cercano di evadere rubando un’auto delle guardie da usare come ariete; fermati dalla polizia, attaccano i guardiani con spranghe di ferro. Secondo un portavoce delle autorità, un’altra sessantina di “detenuti” si sarebbe nel frattempo ribellata in un’altra zona del campo. Numerosi dormitori e un blocco dedicato al tempo libero vanno distrutti, dopo tre ore di incendio. Quindici rifugiati sono accusati di “sommossa e tentativo di evasione” e condotti in prigioni di massima sicurezza.

(gennaio 2003)

D.