Storie d'ordinario incenerimento - 14-05-03 - Giovanni Forgione

 

Nella serata di martedì 13 maggio 2003, prima della semifinale della coppa dei campioni tra Inter e Milan, ho visto nel Tg3 Campania due servizi relativi allo smaltimento rifiuti: uno che parlava in negativo della disorganizzazione in Campania; l'altro della positività dell'inceneritore di Brescia, nuovo e con tanti meriti.

Tra le cose buone dell'inceneritore di Brescia:

  1. il superamento dell'esame degli esperti sulla produzione minima di fumi nocivi,
  2. l'energia prodotta a vantaggio della popolazione
  3. i posti di lavoro offerti dall'impianto
  4. lo smaltimento in loco, economico e senza spese esterne.

Il servizio su Brescia ha assunto un tono di spot pubblicitario per incentivare anche in Campania soluzioni simili. La curiosità mi ha spinto a ricercare su internet notizie sugli inceneritori.

 

 
 
INCENERITORI [DOSSIER ECOISTITUTO VENETO]

http://www.ecoistituto.veneto.it/inceneri.html

    INCENERIRE I RIFIUTI: CHI PAGA?

    I costi reali di un inceneritore e il prezzo maggiorato dell’energia prodotta
    di Ing. Lorena Vuga
    Paolo Stevanato
    con la collaborazione dell’ Ing. Claudio Cavallari

    Ogni opinione espressa nel seguente lavoro è da attribuirsi unicamente e personalmente agli autori e non rispecchia necessariamente il punto di vista dell’ECOISTITUTO del Veneto

    Ricerca realizzata con il contributo del gruppo Parlamentare Verdi Senato e Camera

    ECO-ISTITUTO DEL VENETO "ALEX LANGER"
    viale Venezia, 7
    30171 Mestre-Venezia
    tel e fax 041/935666

    "I rifiuti mandano un doppio crudele messaggio: ci dicono che le cose vengono usate con economica brutalità, senza comprensione e sintonia, e che tutto ciò che non conserva l’abbagliante luccichio del "nuovo di zecca" è semplicemente da buttare: Che terribile oracolo: l’usa e getta come canone fondamentale della nostra società!" (A. Langer, 1996)

    Finalità della ricerca
    Se ragionassimo in termini esclusivamente aziendali l’incenerimento dei rifiuti solidi urbani, visto il prezzo drogato dei Kw/h venduti all’Enel, potrebbe essere un investimento redditizio. Tutti gli impianti da noi considerati infatti si sono rilevati aziende economicamente vantaggiose.
    Emissioni di inquinanti decine di volte inferiori dei livelli europei, tecnologie avanzate, assenza di disagi quali sgradevoli odori o fumi per i cittadini residenti nelle zone circostanti gli impianti: gli inceneritori fra un po’ proporranno di ospitare degli agriturismi nelle ampie aree verdi che li circondano.
    Ma ammesso che effettivamente ci sia stato un salto di qualità rispetto agli impianti della "prima generazione" e che i problemi di impatto ambientale siano stati in parte superati, possiamo limitarci alla valutazione di questi elementi per accettare l’incenerimento per la soluzione del problema rifiuti? Sono solo l’impatto ambientale e i disagi alla popolazione gli elementi da considerare?

    Il problema può essere visto da due angolature diverse: incenerire i rifiuti significa sprecare risorse materiali per degradarle nella forma più bassa di energia, cioè calore, quindi il processo può presentarsi conveniente per chi opera nel settore, ma molto sconveniente per la società (una bottiglia di vetro riusata venti volte è un risparmio di risorse e di energia molto più grande del guadagno prodotto dalla bottiglia di plastica incenerita). Inoltre va analizzato l’aspetto economico dell’incenerimento: è davvero conveniente eliminare i rifiuti bruciandoli? E a quale prezzo un "inceneritore", tanto aborrito e combattuto da ambientalisti e comitati cittadini, si è trasformato in un "termovalorizzatore"? Ma soprattutto chi paga e pagherà questo prezzo?
    Questi sono gli interrogativi ai quali abbiamo cercato di dare risposta con questa ricerca.

    1. IL PROBLEMA AMBIENTALE DELL’INCENERIMENTO
    Parlare di impianti di incenerimento dei rifiuti provoca ancora oggi in molte persone preoccupazione e disagio; non sono lontani i tempi in cui le aree circostanti gli impianti sono divenute micidiali per la salute delle persone che le abitavano. E il lavoro di singoli cittadini, di associazioni culturali e ambientaliste e dei comitati spontanei, più che quello di politici e amministratori, ha impedito che i danni si estendessero.
    Parlare di "ambiente" non significa parlare solo di ciò che ci circonda, ma soprattutto di noi stessi, della nostra salute e della nostra vivibilità.
    Visitando oggi impianto di incenerimento la prima cosa che i tecnici sottolineano è che le emissioni di sostanze dannose sono tutte sotto i limiti fissati dalle normative europee. Ormai nessun impianto, ad esempio, può essere senza camera di post - combustione, tecnologia attraverso la quale si riducono le emissioni di diossina e furani. E altre moderne strutture riescono ad eliminare da ceneri e fumi gran parte degli inquinanti. Addirittura i fumi nella parte terminale della ciminiera vengono riscaldati da fiamme a metano per eliminare anche l’impatto visivo che potrebbe creare timori nella popolazione.
    Alla fine noi non vediamo e non sentiamo nulla. Ma le emissioni sono solo ridotte, non eliminate, cioè contenute in limiti che sono stati fissati tenendo conto anche degli interessi di chi produce le sostanze dannose.
    Considerato però che troppo spesso il buon senso e il rispetto delle persone e delle leggi viene prevaricato dagli interessi economici, ci si chiede chi garantisca con gli opportuni controlli che le emissioni siano effettivamente quelle dichiarate; allora emerge, ad esempio, che per la diossina sono previsti dalla legge controlli solamente trimestrali, per cui spesso (è il caso di Padova) ci si deve affidare a una azienda specializzata esterna perché costerebbe troppo per l’impianto dotarsi delle strutture di controllo.
    Inoltre la legge stabilisce dei limiti per emissioni che comunque ci sono e ci saranno, e i coni di ricaduta degli inquinanti, ben analizzati e previsti dalle strumentazioni informatiche, comunque investono aree coltivate e centri cittadini.
    La pericolosità degli inquinanti prodotti dagli inceneritori è confermata da numerosi studi medici. Uno studio epidemiologico condotto dall’Università di Birmingham ribadisce che in prossimità di fabbriche che producono sostanze volatili derivate dal petrolio e di forni o fornaci come inceneritori di rifiuti, il rischio di leucemia e cancri solidi aumenta vertiginosamente nei bambini.
    Gli inquinanti prodotti da un moderno impianto non vengono eliminati dagli strumenti di depurazione ma semplicemente
    trasferiti dall’aria al suolo con le scorie e le ceneri.

    Le sostanze inquinanti emesse da un impianto di incenerimento sono:

    - Policlorodibenzodiossine (Diossina)
    - Policlorodibenzofurani (Furani)
    - Ceneri contenenti mercurio, cadmio, rame, manganese, nichel, zinco, cromo, ferro.
    - Idrocarburi policiclici aromatici.
    - Fosforo
    - Ossidi di zolfo
    - Cloro
    - Ossidi di azoto
    - Acido Solfidrico
    - Ossido di carbonio
    - Ceneri contenenti argento, antimonio, arsenico, stagno, idrocarburi policiclici aromatici. -etc.....

    A tutto questo va aggiunta la produzione di CO2: incenerire 1 kg di rifiuti comporta l’uso di 7 kg di aria e 1 kg acqua, nonché la produzione di 3 kg di CO2 determinante per l’incremento dell’effetto serra.
    Un inceneritore inoltre riduce ma non elimina la quantità di rifiuti
    : di ogni tonnellata di RSU incenerita infatti produce 300 kg di scorie, 30 kg di ceneri e 10 - 80 kg di prodotti usati per la depurazione . Tutto questo ha un peso e un volume molto inferiore rispetto ai RSU ma ha un potere inquinante molto più alto e quindi va smaltito in discariche speciali le quali oltre ad essere più costose garantiscono la conservazione e la non pericolosità dei rifiuti solamente per 20 anni a fronte di una durata centenaria degli inquinanti.

    Anche se le emissioni degli inceneritori non superano i limiti previsti dalle normative, in genere il loro impatto ambientale supera quei livelli che sono già stati proibiti per altre attività. Barry Commoner riporta i dati di un modernissimo inceneritore del New Jersey che emette ogni anno più piombo nell’atmosfera di quanto si è riusciti a ridurre eliminandolo dalla benzina per le automobili, e tanto mercurio da vanificare gli sforzi fatti dall’insieme delle cartiere americane per ridurre le loro emissioni inquinanti..

    Infine non è ben chiara quale sia la procedura nei casi di incidenti o guasti che comportino emissioni di sostanze dannose nell’ambiente, soprattutto perché fermare un inceneritore significa provocare una forte perdita economica.
    Non crediamo opportuno soffermarci sulla moltitudine di tabelle e di dati sulle emissioni di inquinanti; non avendo i mezzi per provare la veridicità dei dati, dobbiamo fidarci dei dati dichiarati.
    Ci limitiamo a concludere che un impianto di incenerimento continua ad avere per quanto moderno esso sia, un impatto ambientale, sull’aria che emette, sull’acqua che utilizza e che scarica nei fiumi e nei canali, per le risorse non rinnovabili utilizzate, per le scorie che diventano rifiuti tossico - nocivi, quindi sulla popolazione.

    2. L’INCENERIMENTO E LA CULTURA DELL’USA E GETTA: IL PROBLEMA CULTURALE E SOCIALE
    " Analizziamo i rifiuti ed interroghiamoci sul valore di questi residui, frutto del nostro sistema consumistico. Sono recuperabili? Se sì, perché non lo facciamo? Sono pericolosi? Se sì, perché li produciamo?" (Hugette Boucharden, Ministro dell’Ambiente, Francia 1985)

    I libri, le riviste, gli articoli che parlano della tutela dell’ambiente non si contano. Tutti sono d’accordo quando si dice che la sopravvivenza dell’uomo è legata indissolubilmente a quella dell’ambiente in cui vive, per cui la sua difesa supera ogni altro interesse particolare.
    Ma quando queste parole devono essere tradotte nei fatti, ci si tira sempre indietro e gli interessi economici e politici condizionano ogni scelta.
    Un impianto di incenerimento rappresenta una inaccettabile sottovalutazione per le risorse e per i beni materiali: ignora infatti il valore complessivo del materiale recuperato considerando solamente il suo valore calorifico. Così un inceneritore funziona in modo ottimale solamente quando sono sufficientemente presenti carta e plastica nei RSU che alzano il potere calorifico. Il Presidente dell’Azienda Municipalizzata che si occupa dello smaltimento dei rifiuti a Brescia ha dichiarato di puntare al 35% di raccolta differenziata ma escludendo sia la carta che la plastica destinandole all’incenerimento.
    In Germania i numerosi impianti di incenerimento costruiti negli anni scorsi oggi funzionano anche con i rifiuti importati dall’estero, in particolare dal Brasile e spesso di tipo tossico - nocivo; questo perché la raccolta differenziata ha sottratto carta e plastica dai rifiuti abbassando il loro potere calorifico e rendendo antieconomico il loro incenerimento. (Der Spiegel)

    I rifiuti rappresentano il risultato finale dei processi lineari nella produzione dei beni nel nostro attuale modello di sviluppo. La soluzione del problema non può esser dunque la loro eliminazione quando sono stati prodotti, ma la loro prevenzione utilizzando nella produzione dei processi "ciclici" affini a quelli presenti in natura, cioè dove le risorse sono continuamente rinnovabili e riutilizzabili.

    I fautori dell’incenerimento sostengono che questa è una metodologia conveniente per risolvere il problema dello smaltimento dei rifiuti in quanto permette di produrre energia elettrica da materiali che così riacquistano un qualche valore. Rispetto al semplice incenerimento e al conferimento in discarica del rifiuto tout - court, tale affermazione è corretta, ma diventa falsa se si considera il percorso che una merce compie dall’origine alla sua distruzione come rifiuto, e, tralasciando l’importantissimo fatto che bruciando rifiuti come carta e plastica si inceneriscono tonnellate di materie prime costose e non rinnovabili, il bilancio energetico rimane negativo.
    Chiunque abbia qualche nozione di fisica sa che è certo vero che l’energia non si distrugge, ma è altrettanto vero che non tutte le diverse forme di energia sono equivalenti da punto di vista del loro utilizzo. Se ci si prefigge di trasformare l’energia termica (calore) in energia meccanica (movimento delle pule di una turbina), ciò non può avvenire in maniera totale. Solo una parte dell’energia termica si trasforma in energia meccanica; il resto si disperde sotto forma di attrito e scambio termico con l’ambiente circostante, diventando cioè energia non utilizzabile. Lo stesso accade quando vogliamo trasportare l’energia da un luogo all’altro. Dell’energia prodotta bruciando materie prime solo una piccola parte diverrà energia elettrica utile, mentre il resto si trasformerà in energia dispersa, mai più utilizzabile.
    Questo è un fenomeno a cui non si può porre rimedio se non quello di bruciare il meno possibile, almeno, il più tardi possibile, le materie di cui disponiamo, ricche dell’energia chimica contenuta nelle molecole che le compongono. Ed è per questo che è importante riusare il massimo numero volte gli oggetti come ad esempio le bottiglie.
    L’energia contenuta in una bottiglia non sarà mai quantitativamente e qualitativamente equivalente a quella che si ottiene dalla sua combustione.
    Relativamente ai costi, dell’incenerimento dei rifiuti non si devono valutare esclusivamente i COSTI ECONOMICI. Infatti anche se sono difficili da quantificare si hanno dei COSTI AMBIENTALI, per l’uso di risorse quali l’aria e l’acqua, che verranno pagati da chi ci seguirà nel tempo, e dei COSTI SOCIALI: infatti rispetto alla raccolta differenziata l’incenerimento porta a una minore occupazione lavorativa essendo necessarie 80 persone per incenerire 1 milione di tonnellate di RSU invece di 1600 per il loro riciclaggio (Fonte WWF, Massachussets Institute of Technology).

    3. IL PROBLEMA ECONOMICO
    L’aspetto economico dell’incenerimento rappresenta un elemento decisivo per valutare correttamente le alternative possibili per lo smaltimento dei rifiuti. Stiamo assistendo oggi a una vera e propria corsa all’incenerimento da parte di diversi gruppi industriali; ciò significa che c’è una grossa convenienza ad investire in questo settore. Questo a patto che gli impianti abbiano garantita dagli amministratori pubblici una quantità e una qualità almeno costante dei rifiuti da incenerire.
    Quindi è opportuno, ed è lo scopo principale di questo studio, approfondire l’aspetto economico valutando attraverso l’analisi dei costi e dei ricavi per quali motivi l’incenerimento dei rifiuti si presenti oggi economicamente conveniente.

    I costi di un inceneritore si possono suddividere in COSTI D’INVESTIMENTO e COSTI DI ESERCIZIO. I primi sono legati alla fase di progettazione e costruzione dell’impianto e dei servizi annessi. Nella presente ricerca essi verranno valutati globalmente, assumendo un periodo di ammortamento di 10 anni con finanziamento al 10%, anche se tali parametri da noi adottati si presentano sicuramente più bassi di quelli che il mercato proporrebbe. Nei casi di Milano il finanziamento è stato valutato diversamente, avendo avuto i termini dell’operazione finanziaria in modo dettagliato. L’impianto di Venezia ha avuto un finanziamento FIO a fondo perduto. Tale costo, pur non incidendo nel bilancio dell’azienda, esiste essendo a carico dello stato. Pertanto è stato valutato come per Padova e Schio al 10% in 10 anni.

    I COSTI DI ESERCIZIO riguardano invece la conduzione dell’impianto in funzione e vengono valutati annualmente. Essi variano a seconda delle capacità di smaltimento dell’inceneritore e della sua tecnologia.
    I costi d’esercizio sono stati da noi esemplificati in una serie di voci riassuntive indicate nella tabella.

     

    COSTI DI INVESTIMENTO COSTI D’ESERCIZIO
    - acquisto terreno - personale
    - progetto - materiali
    - costruzione impianto - energia
    - oneri finanziari - smaltimento residui
      - manutenzione
      - spese generali



    a) I COSTI D’INVESTIMENTO
    Il primo passo da compiere per costruire un nuovo impianto inceneritore è l’acquisto di un terreno idoneo ad ospitarlo e localizzato in modo tale da essere facilmente accessibile e nelle vicinanze della zona servita. Il costo in questo caso è difficilmente quantificabile essendo ampia la tipologia dei terreni e la loro destinazione d’uso. A titolo di esempio possiamo riportare il costo del terreno per la linea 2 di Padova, già predisposto e destinato ad ospitare insediamenti industriali, pagato circa 3 miliardi.
    Il progetto, che comprende spesso anche la Valutazione d’Impatto Ambientale e l’acquisizione della direzione dei lavori, incide per circa il 5% nel costo totale d’investimento.

    Il costo totale d’investimento varia a seconda della potenzialità dell’impianto che si intende costruire. Nella valutazione preventiva di tale costo si assume comunemente un indice di 4,5 - 5 miliardi per tonnellata/ora di rifiuto smaltito; tale indice, però, non rimane costante al variare della potenzialità in quanto impianti più potenti hanno un costo relativo inferiore di quelli di più piccole dimensioni.

    b) AMMORTAMENTI E ONERI FINANZIARI
    Dall’analisi dei dati acquisiti si è ritenuto ragionevole ipotizzare che l’ammortamento dei costi di investimento avvenga in almeno 10 anni. Il finanziamento, anch’esso con sistema decennale, si suppone comporti un onere del 10% di interessi annui. Solamente nel caso di Milano si è mantenuto il dato dichiarato di un finanziamento al 7% e all’ 8%.
    Nel caso di Schio il costo d’investimento della prima linea si presenta molto basso per i parametri economici relativi al 1983, anno di avvio dell’attività. Si è potuto comunque convertire i dati rendendoli in base ad indici ISTAT raffrontabili a dati odierni.

    c) COSTI DI GESTIONE
    Tra i costi di gestione figurano, oltre alle spese di retribuzione del personale, le spese per acquisto dei materiali necessari al funzionamento dell’impianto, le spese per l’energia necessaria, queste in parte ridotte dall’uso interno dell’energia elettrica prodotta, le spese di manutenzione, e infine le spese di smaltimento di scorie e ceneri. Queste ultime sono diverse da regione a regione sia per i prezzi diversi attuati dalle discariche che per la lontananza chilometrica di queste dagli inceneritori. Nel caso di Padova, ad esempio, lo smaltimento avviene per opera di una ditta di Modena che si occupa sia del trasferimento che del conferimento in discarica al prezzo di 260 £/kg (il trasporto viene valutato a 20 £/kg ed è compreso nel prezzo finale). Sembrerebbe però che la discarica utilizzata sia per RSU e non per rifiuti speciali. I costi di smaltimento quindi, in una situazione sulla cui legalità si sollevano molti dubbi, si presentano notevolmente più bassi.
    I materiali necessari vengono utilizzati per lo più nella fase di inertizzazione e depurazione delle scorie e delle ceneri; a titolo di esempio si può citare il Bicarbonato di Sodio, utilizzato dall’inceneritore di Padova, il cui costo ammonta a 360 £/kg nella depurazione dei fumi a secco; l’impianto di Schio utilizza la calce.

    Tutti i costi di gestione sono stati calcolati ipotizzando un funzionamento continuo dell’impianto 24 ore su 24 ore per 300 giorni l’anno, alla quantità realmente smaltita. In prima analisi si erano considerati invece 320 giorni di funzionamento alla potenzialità massima dell’impianto. Una serie di ulteriori approfondimenti e la conferma per quanto riguarda Milano ci hanno fatto propendere per la prima ipotesi.

    GLI IMPIANTI CONSIDERATI
    Prima dell’analisi dettagliata dei dati crediamo sia opportuno dare qualche informazione tecnica sugli impianti presi in considerazione. Ci si soffermerà però alle informazioni strettamente necessarie allo scopo della ricerca, cioè la capacità di smaltimento, la presenza o meno di una preselezione, la tipologia di depurazione dei fumi.

     

      MILANO PADOVA SCHIO VENEZIA
    INIZIO ATTIVITA’ dal 2000* dal 1988 dal 1983 la prima linea, dal 1991 la seconda dal novembre 1997
    CAPACITA’ 1200 t/g trattate, di cui 900 incenerite (270.000 t/anno) 145t/g (43.500 t/anno) 120 t/g (36.000 t/anno) 170 t/g (51.000 t/anno)
    PRESELEZIONE prevista non prevista non attuata** non prevista
    DEPURAZIONE a secco a secco a secco a semi-umido



    * L’impianto di Milano, denominato Silla 2, la cui entrata in attività è prevista entro il 2000, sostituirà gli attuali 2 impianti di incenerimento e costituirà, con il centro di selezione e compostaggio dell’area ex Maserati, la soluzione al problema dei rifiuti per Milano e per i territori adiacenti la città.

    ** Nel caso di Vicenza una preselezione dei rifiuti sarebbe prevista: teoricamente dovrebbero essere incenerite in totale 96 t/g di rifiuti con potere calorifico di 3500 kcal/kg (36 nella prima linea, 60 nella seconda). In realtà, causa il non ottimale funzionamento del cilindro DANO che sottrae parte del rifiuto umido, sono 120 le tonnellate al giorno incenerite, con potere calorifico di 2200 kcal/kg.

    Il costo dell’incenerimento è stato valutato per degli impianti già in funzione, quelli di Padova e Schio, per il nuovo impianto denominato "Silla 2" progettato per la città di Milano e per l’impianto di Venezia che dovrebbe entrare in attività entro l’anno in corso.
    Il costo d’impianto è riportato talvolta come dato complessivo, talvolta solo come ammortamento decennale.
    I risultati sono stati poi confrontati con il modello proposto nello studio della IEFE per l’Università Bocconi di Milano.

    I DATI RACCOLTI

     

    MILANO COSTO 10 ANNI(in miliardi) COSTO ANNUO(in miliardi) COSTO A TONNELLATA
    COSTO IMPIANTO 373,5 37,35 138.330
    ONERI FINANZIARI 179 18 66.670
    PERSONALE 59 5,9 21.850
    MATERIALI 53 5,3 19.630
    SMALTIMENTO 253 25,3 93.705
    MANUTENZIONE 45 4,5 16.670
    ENERGIA 150 15 55.560
    ALTRE SPESE 75 7,5 27.780
    COSTO ESERCIZIO 635 64 235.195
    COSTO TOTALE 1180 118 440.000 £.



     

    SCHIO COSTO nel 1995* (in miliardi) COSTO A TONNELLATA
    COSTO IMPIANTO (Ammortamento decennale) 1,58 linea 1 ** 1,7 linea 2 ** 91.000
    ONERI FINANZIARI 2,3 63.890
    PERSONALE 2,1  
    MATERIALI 0,2  
    SMALTIMENTO 1,1  
    MANUTENZIONE 0,2  
    CONTRIBUTO AL COM. DI SCHIO 0,3  
    ENERGIA 0,05  
    ALTRE SPESE 0,5  
    COSTO ESERCIZIO 4,45 123.600
    COSTO TOTALE 10,2 278.000



    ** I dati sono relativi all’anno 1995, particolarmente favorevole per i fermi programmati che erano avvenuti o che erano programmati per l’anno seguente
    ** L’investimento relativo alla prima linea dell’impianto è da riferirsi all’anno 1983; pertanto abbiamo tenuto conto della perdita del potere d’acquisto del denaro (dato ISTAT); la seconda linea è stata costruita nel 1991.

    Considerando le spese di smaltimento delle scorie ai prezzi minimi attuali, risulta una voce di spesa eccessivamente bassa: la produzione annua di scorie si può quantificare come il 30% del rifiuto incenerito, pari cioè a 13.440 tonnellate annue. Al prezzo minimo di smaltimento di 120 £/kg, il costo risulterebbe di 1,6 miliardi annui invece che di 1,1 miliardi.

     

    PADOVA* COSTO ANNUO(in miliardi) COSTO A TONNELLATA
    COSTO IMPIANTO(Ammortamento decennale) 3,1 71.260
    ONERI FINANZIARI 2 45.980
    MATERIALE E SMALTIMENTO** 2,2  
    PERSONALE 1,5  
    MANUTENZIONE 0,9  
    ENERGIA 0,25  
    ALTRE SPESE 0,5  
    COSTO ESERCIZIO 5,4 124.140
    COSTO TOTALE 10,5 278.160



    * I dati sono relativi alla linea oggi in attività, parificati con indice ISTAT ai valori attuali. La capacità è di 150 tonnellate al giorno ma è sfruttata per 145 t/g per la presenza di rifiuti ospedalieri che aumentano il potere calorifico.
    **Il dato in nostro possesso unifica i due valori:

    La produzione di scorie dovrebbe ammontare a circa 16.500 tonnellate all’anno (30% di scorie, 1% di ceneri e 3 % di prodotti usati per la depurazione) smaltiti dalla ditta di Modena sopracitata a £ 260 il Kilogrammo. Ciò comporterebbe una spesa annua di £. 4,3 miliardi, superiore quindi al dato dichiarato.
    Tra i materiali utilizzati dall’impianto di Padova riteniamo interessante nominare il Bicarbonato di Sodio, impiegato nella depurazione a secco dei fumi; il costo di tale materiale è di 360 £/kg e il suo impiego è di 120 kg al giorno.

     

    VENEZIA COSTO ANNUO(in miliardi) COSTO A TONNELLATA
    COSTO IMPIANTO(Ammortamento decennale) 4,8 94.120
    ONERI FINANZIARI 3,1 60.780
    SMALTIMENTO 2,3  
    PERSONALE 2,1  
    MANUTENZIONE 1,75  
    ALTRE SPESE 2  
    COSTO ESERCIZIO 8,15 159.800
    COSTO TOTALE 16 314.700



    Il costo d’impianto per la prima linea di incenerimento comprende nel caso di Venezia anche alcune strutture ed opere civili necessarie anche per la seconda linea, programmata per i prossimi anni. Il calcolo della cifra citata avviene dunque dopo una somma tra il costo preventivato per entrambe le linee suddiviso equamente a metà (65 miliardi più 30 miliardi, cioè 95 miliardi per entrambe le linee, da cui 47,5 per linea). Da considerare il fatto che il terreno su cui sorge l’impianto era di proprietà del Comune di Venezia.
    Gli oneri finanziari per la prima linea dell’impianto di Venezia non sussistono in quanto il finanziamento FIO è a fondo perduto. Per rapportarci ai costi degli altri impianti consideriamo però un onere finanziario teorico di 3,1 miliardi annui. Inoltre l’impianto ha beneficiato della Legge Speciale per Venezia.
    Il personale necessario per il funzionamento dell’impianto è di circa 30 unità, che a 70 milioni di lire annui danno una spesa di 2,1 miliardi.
    L’impianto produrrà circa 13.770 tonnellate annue di scorie (26% del materiale combusto) e circa 3.570 tonnellate di ceneri e materiali derivati dall’inertizzazione dei fumi (7%). Il costo dello smaltimento delle scorie a 100 £/kg è di 1,4 miliardi mentre quello per le ceneri, a 250 £/kg in discarica 2B o 2B super, è di 0,9 miliardi annui.
    La voce "altro" comprende le spese per i materiali, l’energia supplementare, i corsi di addestramento del personale e altre spese generiche.
    L’impianto attuerà il recupero dei materiali ferrosi dopo la combustione; la quantità prevista di materiale recuperato è il 4,5% del materiale immesso nel forno che, venduto a 100 lire al kg, comporterà un introito di 250 milioni annui.
    Si prevedono inoltre di incenerire in futuro dei quantitativi di rifiuti ospedalieri che innalzeranno il potere calorifico dei RSU. Attualmente la stima del potere calorifico da un valore attorno alle 2050 Kcal. Se le direttive del Decreto Ronchi saranno rispettate, le minor presenza di rifiuto umido nel materiale da incenerire comporterà un innalzamento del potere calorifico a circa 2300 Kcal; ciò comporterà la combustione di 150 t/giorno invece che 170. Nella presente ricerca è analizzato però questo secondo caso, essendo lo standard previsto a breve termine.

    L’impianto di Venezia non rientra nelle liste relative al decreto del CIP 6/92: la domanda di iscrizione è stata inoltrata nel giugno del 1996, quando il Decreto Bersani aveva già chiuso le liste già dal giugno del 1995. I dirigenti dell’impianto sostengono che "essendo però l’impianto già costruito e quindi pronto a funzionare in poco tempo (entro l’anno) esiste la possibilità di rientrare nella lista qualora fossero cedute all’Enel solo le eccedenze di energia prodotta".
    La quantità totale di energia elettrica prodotta sarebbe, secondo i dati raccolti, di circa 2.300 kWh/h.; circa 1000 kWh/h sarebbero destinate ad uso interno, mentre il resto sarebbe ceduto al’Enel con la tariffa più favorevole 341£/kWh più 37,8 £/kWh in caso di cessione regolare).

    UN MODELLO TEORICO
    Può essere utile confrontare i dati reali con un modello proposto da uno studio dell’Università Bocconi di Milano in un Quaderno IEFE. In tale ricerca si valutano i costi del trattamento dei rifiuti solidi urbani mettendo a confronto dei modelli; tra essi è citato anche lo scenario "Ronchi" che si basa sulle indicazioni fissate dal Decreto Legislativo in materia di rifiuti di recente promulgato dal Ministero dell’ Ambiente. Tale Decreto prevede che la raccolta differenziata sia potenziata fino al raggiungimento del 35% sul totale degli RSU e che per la parte restante sia utilizzato l’incenerimento con recupero di energia elettrica.
    L’impianto di termodistruzione ipotizzato nella ricerca della Bocconi ha una potenzialità di 780 t/giorno (210.000 t/anno) su tre linee parallele di 240 tonnellate ciascuna, ed è tarato per rifiuti con potere calorifico inferiore di 2400 Kcal/kg. I giorni di attività previsti sono 300 all’anno.

     

    BOCCONI COSTO ANNUO (Mld/anno) COSTO A TONNELLATA
    COSTO IMPIANTO AMMORTAMENTO* 31,7 151.000
    ONERI FINANZIARI** 20,65 98.330
    COSTO ESERCIZIO 27 128.570
    COSTO TOTALE 79,35 377.900



    * In 10 anni
    ** In 10 anni al tasso d’interesse del 10% annuo

    Anche il caso teorizzato conferma che il costo di smaltimento cresce con l’aumentare della potenzialità dell’impianto. Il costo per tonnellata smaltita infatti risulta vicino a quello di Milano.

    Osservando i dati relativi agli impianti nell’insieme si nota come Milano e il modello della Bocconi abbiano costi di impianto e di gestione molto più alti rispetto agli altri impianti considerati.

    I GUADAGNI DEGLI INCENERITORI
    Ma se i nostri calcoli dimostrano che le spese per incenerire i rifiuti sono così alte, chi paga la differenza che rende redditizia la costruzione di un inceneritore?

    a) Le tariffe di smaltimento Un impianto di incenerimento, sia esso privato o municipalizzato, offre il suo servizio ad enti o privati interessati. Per questo si pone nel mercato con delle tariffe specifiche. Ecco, ad esempio, i prezzi di incenerimento attuati dall’impianto di Padova:

    - Rifiuti Solidi Urbani 180 £/kg
    - Rifiuti Solidi Assimilabili 200 £/kg
    - Rifiuti Solidi Ospedalieri 1100 £/kg
    - Farmaci scaduti 1400 £/kg
    - Certificazione di avvenuto smaltimento: 800 £/kg aggiuntive

    b) I recuperi di materiale Sebbene ancora non vengano attuati dei veri e propri recuperi di materiale, esiste la teorica possibilità di farlo, oltre alle intenzioni di qualche dirigente d’impianto. I materiali recuperabili dalle scorie della combustione sono soprattutto queli ferrosi. In questo caso Venezia prevede di recuperare circa il 4,5% del materiale immesso nel forno che venduto a 100 £/Kg corrisponderebbe un guadagno di 250 milioni annui.
    Si parla talvolta anche della possibilità di recuperare scorie e ceneri destinate in discarica per utilizzarle come materiale inerte nelle pavimentazioni stradali o simili. Su questa possibilità mancano studi approfonditi che garantiscano la non pericolosità dei materiali.
    Anche il processo di vetrificazione delle scorie ci sembra poco attuabile: pur essendo dotato di idonee strutture lìinceneritore di Padova, ad esempio, preferisce non avviare il processo perché ancora antieconomico e di dubbia utilità.

    c) Il contributo dello stato cioè dei cittadino Gli introiti che fanno di un inceneritore un investimento redditizio derivano per la maggior parte dai contributi dati dallo stato. La L. 308/82, ad esempio, prevede interventi finanziari statali fino al 30% nella costruzione dell’impianto.
    Gli inceneritori devono per legge anche provvedere al recupero dell’energia prodotta dalla combustione. Posto che nella situazione attuale ogni forma di teleriscaldamento delle eventuali aree abitate circostanti si presenta antieconomica per le eccessive dispersioni e per gli investimenti impiantistici necessari, oggi il calore recuperato viene trasformato in energia elettrica, parte destinata ad uso interno dell’impianto, parte venduta all’ENEL.
    Il Provvedimento 6/92 del Comitato Interministeriale Prezzi prevede l’obbligo di acquisto da parte dell’ENEL di energia elettrica a 243,7 £/kWh per i primi 8 anni di funzionamento di impianti di incenerimento dei rifiuti, contro le 80 - 100 lire £/kWh negli altri paesi europei. Agli impianti che mettono a disposizione le sole eccedenze di produzione vengono corrisposte nelle ore piene 341 £/kWh più un massimo di 37,8 £/kWh in funzione della regolarità della cessione, e 40,1 £/kWh nelle ore vuote.
    Per avere dei termini di confronto con la situazione europea, la Gran Bretagna dà agli impianti inceneritori che recuperano energia un contributo di 3,5 volte inferiore rispetto all’Italia.

    La lista degli impianti favoriti dal Decreto è chiusa da tempo. La seconda linea di Padova e l’impianto di Venezia ne sarebbero esclusi.

    L’articolo 10 del Titolo II del Provvedimento del CIP citato, inoltre, stabilisce che " I rifacimenti degli impianti esistenti o la costruzione della maggior parte dei componenti di impianto seguono la regolamentazione degli impianti nuovi, etc." Il nuovo impianto di Milano Silla 2 così sostituirà due inceneritori entrati in funzione da pochi anni.

     

      ENERGIA PRODOTTA (in kWh/ anno) RICAVIA TONNELLATA*
    MILANO 330.000.000 298.000
    PADOVA 18.000.000 101.000
    SCHIO 10.350.000 70.000
    VENEZIA 9.360.000 66.070
    BOCCONI 157.500.000 183.780



    * La vendita è considerata a 243,7 £/kWh tranne che nel caso di Venezia dove, qualora approvata, la cessione avverrebbe a 341 £/kWh più 37,8 £/kWh in caso di cessione costante. Abbiamo considerato dunque per Venezia un valore medio di 360 £/kWh.

    Si comprende allora l’importanza di incenerire rifiuti senza compiere una preselezione, sì da immettere nel forno la maggior parte possibile di carta e plastica, materie che innalzano il potere calorifico e aumentano le calorie prodotte. Gli stessi rifiuti ospedalieri rappresentano un alto guadagno, non solo per la tariffa di smaltimento ma anche per il loro alto potere calorifico inferiore.

    CONCLUSIONI
    Dall’analisi dei dati è evidente che incenerire 1 kg. di rifiuti costa molto di più delle 100 lire dichiarate negli articoli propagandistici delle lobby degli inceneritori. Anche alcuni importanti testi utilizzati in ogni ricerca in materia di incenerimento di RSU (citiamo soprattutto il De Fraia Frangipane,) propongono un prezzo a tonnellata eccessivamente basso. Dall’analisi dei dati relativi agli impianti riportati emerge infatti un costo che va dalle 440 £/kg di Milano alle 280 £/kg circa di Schio e Padova.

    Tali dati sovvertirebbero anche la teoria che impianti di più grandi dimensioni, pur richiedendo investimenti maggiori, costerebbero alla fine di meno. In questo caso il costo di Milano risulta invece di un terzo più alto rispetto a quelli di Padova e Schio.

    Emerge allora l’importanza per un impianto di favorire del Decreto del CIP per la vendita dell’energia prodotta. La vendita dell’energia consente infatti a di abbassare il costo di smaltimento che a Milano diventa 142 £/Kg, a Padova 101 £/Kg, a Schio 213 £/Kg e a Venezia 249 £/Kg. Se tale vendita avvenisse però a prezzi di mercato e non al prezzo "drogato", non ci sarebbe nessuna convenienza a investire nell’incenerimento dei rifiuti, ostacolando per altro la raccolta differenziata. E’ dunque lo stato a pagare con i soldi della comunità le imprese private degli inceneritori, bloccando in questo modo vie più ragionavoli alla soluzione del problema rifiuti quali la non produzione, il riutilizzo e il recupero dei materiali superflui.

    LA DIFFICILE RICERCA BIBLIOGRAFICA
    Premesso che la maggior parte materiale bibliografico esistente è da attribuirsi ai promotori dell’incenerimento, notiamo come i dati relativi ai costi da noi rilevati siano in disaccordo con quelli reperiti in letteratura. Il costo d’investimento viene indicato come 3,5 miliardi di lire per tonnellata oraria di rifiuto (Arpesella - Merzagora) mentre a noi risulta un indice vicino ai 5 miliardi. Viene indicata inoltre una produzione media di 5,5 milioni di kW/h all’anno per impianti dalla capacità di 150 t/g (De Fraia Frangipane) mentre gli impianti di Schio e Padova dichiarano di produrre rispettivamente 10.350.000 e 18.000.000 di kW/h all’anno incenerendo minori quantità di rifiuti.

    BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
    - Luigi Mara, "Guida alle tecniche alternative all’incenerimento per la degradazione dei rifiuti tossico - nocivi", L’Ecoapuano Editore;
    - Mario di Fidio, "Economia dei rifiuti e politica ambientale", Edizioni Pirola;
    - "Rifiuti e ambiente", a cura di Siro Lombardini e Roberto Malaman, Il Mulino, 1993;
    - "Smaltimento di RSU con particolare riferimento al riciclo di materiali ed energia: criteri gestionali e protezione dell’ambiente", Tesi di laurea dell’Università di Ca’ Foscari, Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali, Laureanda Giorgia Casellato, Relatore Prof. Antonio Marcomini, Anno Accademico 1996/96;
    - Banca dati - Termodostruttori RSU- RSA, ENEA 1996;
    - "Incenerimento di RSU e recupero energia", a cura di De Fraia Frangipane - Giugliano, Collana Ambiente, Cipa Editore;
    - Barry Commoner, "Far pace col pianeta", Garzanti, 1975;

 

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Dal sito My Best Life

http://www.mybestlife.com/ambiente/News/19062002_inceneritori_fine.htm

La prima storia è quella degli inceneritori di Monaco di Baviera che, qualche anno fa, hanno perso, nel confronto con il riciclaggio, con un netto 2 a 1.

In base ai documenti forniti dall'Ufficio per la Gestione dei Rifiuti della città di Monaco, nella capitale bavarese, in solo otto anni, la produzione di rifiuti si è ridotta del 60 %, anche grazie al riciclaggio che, in questo stesso periodo è passato da 150.000 tonnellate l'anno a 350.000 tonnellate. A farne le spese è stato l'inceneritore di Monaco Sud che, il 31 Dicembre 1997, è stato chiuso definitivamente. A dir la verità, anche l'inceneritore superstite, quello di Monaco Nord, non gode di buona salute: è sovra-dimensionato rispetto alla produzione residua di rifiuti degli abitanti di Monaco (1.300.000 persone). Per fortuna, in suo soccorso è arrivato un contratto con le regioni limitrofe che hanno garantito all'impianto una boccata di "ossigeno": 70.000 tonnellate l'anno di rifiuti!

Ma ad aver fame di rifiuti non c'è solo il superstite inceneritore di Monaco; la passione per il riciclaggio che ha travolto i tedeschi, da qualche tempo ha messo a "stecchetto" molti altri impianti.

Nel numero d'Ottobre del 1996, Newsweek scrive: "Negli anni '80, la fobia dei tedeschi nei confronti dei rifiuti, indusse i governi locali a costruire grandi impianti di smaltimento rifiuti che oggi costano una fortuna ai contribuenti solo per essere tenuti aperti. Ad esempio, una città di medie dimensioni come Augusta, in Baviera, ha speso 520 milioni di dollari per costruire un sofisticato inceneritore che ora è un disastroso elefante bianco."

Forse sarebbe opportuno rileggere alla luce di queste informazioni la tanto deprecata scelta di risolvere l'emergenza rifiuti della Regione Campania inviando i suoi rifiuti, via treno, negli inceneritori tedeschi. Non dubitiamo che l'operazione sia stata particolarmente costosa, ma essa conferma anche il sovra-dimensionamento degl'impianti d'incenerimento tedeschi, situazione che fa dubitare sull'economicità del loro normale servizio e che, forse, senza l'emergenza, avrebbe permesso di spuntare prezzi più convenienti per le casse dello Stato Italiano.

Peraltro, non tutti gli inceneritori tedeschi si sono mostrati all'altezza della fama di competenza e rigore tecnico dei loro costruttori. Nel 1990, le misure a camino constatavano che l'inceneritore di Ingolstadt, sempre in Baviera, emetteva 400 nanogrammi di diossine per metro cubo di fumi, a fronte del limite di 0.1 nanogrammi, previste dalle normative che sarebbero entrate in vigore nel 1991. Pertanto quest'unico impianto emetteva annualmente 207 grammi di diossine, a fronte della quantità totale di diossine da parte di tutti i 37 inceneritori operanti in Germania, stimata, da parte dell'Agenzia Federale per la Protezione dell'Ambiente, in 400 grammi di diossine all'anno. Pertanto, alla fine del 1990, due delle tre unità che componevano questo impianto, costruito nel 1978, venivano disattivate (Sud Deutsche Zeitung, 24, 09, 1990).

Ma la salute degli inceneritori e dell'ambiente a loro vicino è decisamente peggiore in Francia.

Questa volta i fatti sono molto più recenti e molto più gravi; interessante notare la scarsa attenzione data dalla stampa italiana a questi fatti, accaduti a pochi chilometri di distanza dalla Val D'Aosta

Nel 1998, la tutela del buon nome del "camembert" ha decretato la fine di due inceneritori, nel nord della Francia. La loro colpa è stata quella di aver contaminato di diossine i pascoli tutt'intorno e, di conseguenza, il latte delle mansuete ed ignare mucche che pascolavano su quei prati. A fronte di una concentrazione media di diossine pari a 1,3 picogrammi/grammo di grasso nel latte raccolto in zone agricole francesi, il latte prodotto dalle mucche che pascolavano sotto vento a questi due impianti è risultato contaminato da più di 5 picogrammi / grammo (pari al limite massimo ammesso dalla normativa francese).

Ma quest'episodio è stato la classica punta dell'iceberg. Man mano che si accumulavano i dati sulla concentrazione di diossine nei fumi dei 161 impianti d'incenerimento operanti in Francia, alla fine del Gennaio 2002, si constatava che ben 43 di questi, (il 27 %) , non rispettava il limite di emissioni di diossine.

La situazione più drammatica si registrava, nel corso del 2001, ad Albertville, nell' alta Savoia , a circa 50 chilometri da Chambery.

In questo caso, nel latte di decine di mucche si riscontrano mediamente 24 picogrammi di diossine per grammo di grasso, con punte di 70 picogrammi.

Il 27 Ottobre del 2001, a seguito di queste misure l'impianto d'incenerimento, realizzato nel 1985, veniva chiuso.

Le ulteriori analisi confermavano che la contaminazione interessava un'area molto vasta. Il latte di otto produttori, con una contaminazione di diossine superiore a 10 picogrammi, veniva distrutto e il formaggio da loro prodotto ritirato dal commercio. Alla fine di Novembre i controlli verificavano che sono circa 200 i proprietari di bovini, ovini e caprini toccati in modo significativo dall'inquinamento. E' vietata la vendita di latte e di uova. E la produzione di 11.000 litri di latte al giorno deve essere distrutta. Anche la carne risulta contaminata e alla fine si deciderà di abbattere 5000 animali d'allevamento.

Gli indennizzi agli allevatori sono valutati nell'ordine di 60/70 milioni di franchi (9-12 milioni di euro)!

Invece, la più lunga tradizione d'incenerimento rifiuti è quella del Principato di Monaco, dove opera uno dei più antichi impianti d'incenerimento del mondo. In base a quanto riportato nel numero del 5 Settembre, 1999 di " Ingegneri della Liguria" il primo impianto di Montecarlo risale addirittura al 1898. Tuttavia, per evitare il ridicolo, invitiamo tutti i numerosi estimatori di quest'impianto a non citarlo più come esempio di convivenza tra inceneritori e centri urbani, perché il venerando impianto è a misura del numero di sudditi di Sua Maestà Ranieri (30.000 persone) e quindi tratta solo 60 "misere" tonnellate di rifiuti il giorno (per Genova si propone un impianto di oltre 800 tonnellate il giorno).

Peraltro, nel Febbraio del 1996, i Monegaschi che abitavano intorno a quest'inceneritore devono aver ringraziato il cielo per avere sotto casa un impianto così piccolo, perché altrimenti, sarebbero state molto più di diciannove le persone costrette al ricovero ospedaliero a causa di una nube tossica sprigionatasi dall'impianto (Secolo XIX, 1 Febbraio 1996).

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Legambiente: il 30% dei rifiuti italiani non si sa dove va a finire

Secondo il rapporto di Legambiente "Ecomafia 2001", sono oltre 35 milioni le tonnellate di rifiuti (soprattutto speciali), pari al 30% di quelli prodotti ogni anno in Italia, che sono smaltite in modo illecito o criminale.

Nel 2000 - evidenzia il rapporto - sono state accertate 1.961 infrazioni nel ciclo dei rifiuti e sono stati eseguiti 778 sequestri per un valore di 48 miliardi.

La criminalità organizzata non si accontenta più del solo smaltimento, ma sta estendendo il suo intervento anche alle altre fasi del ciclo.

Ci sono inoltre segnali che mettono in luce un ulteriore aspetto del fenomeno: quello delle cosiddette rotte internazionali. "Abbiamo individuato l'esistenza di vie internazionali di smaltimento illegale dei rifiuti - ha detto Enrico Fontana, responsabile ufficio ambiente e legalità di Legambiente - queste vie hanno nel nostro Paese un punto di partenza e di transito, e sono indirizzate verso stati già segnati da gravissime crisi, come la Somalia". Inchieste tuttora in corso hanno messo in evidenza anche l'esistenza di traffici verso Malawi, Zaire, Sudan, Eritrea, Algeria e Paesi del Maghreb. Lo smaltimento illecito di rifiuti - spiega il rapporto di Legambiente - riguarda anche altri Paesi europei, come per esempio Danimarca, Olanda, Germania e Belgio".

Un primo passo per inasprire la lotta alle ecomafie è stato fatto con l'approvazione del "collegato verde" che in mancanza dell'approvazione complessiva del disegno di legge che introduce nel codice penale i reati ambientali, stabilisce pene piu' severe (da uno a sei anni di carcere) per chi ottenga "un ingiusto profitto" da attivita' connesse a trasporto e gestione illecita di rifiuti.