Come un brutto sogno fatto da bambino - 02-12-02 - Fulvio Del Deo |
La mattina mi alzavo dal letto e davo
un'occhiata attraverso i vetri del balcone per vedere se c'era il sole
o la pioggia. A sinistra avevo il Vesuvio, ai suoi piedi la città e il
mare; di fronte il Sant'Elmo che, austero e protettivo, si fregiava
dei suoi pini marittimi che digradavano fino al viale Raffaello, posto
appartato per gli innamorati. Io ero piccino, nei capelli le vertigini
della notte e negli occhi ancora le ultime immagini dell'ultimo sogno.
Ero piccino e i pini erano altissimi.
La domenica andavo dal barbiere con mio
padre e lui mi dava cento lire per andargli a comprare il Mattino,
stando attento attraversando la strada e il resto mancia. Potevo
attraversare la strada, tanto era tranquilla! Ma un giorno i pini sono
scomparsi e al loro posto, come funghi, i palazzi di mattoncini rossi
dei nuovi ricchi. Al loro posto la nuova ricchezza dei Merolla,
Paderni, Garzilli, Lamaro, ecc. venuti a rubarci la storia.
A scuola, molti compagni avevano un
parlare particolare e avevano i nonni sparsi per l'Italia. A me
rimaneva solo una nonna viva che abitava di fronte, ma poi è morta
anche lei. Intanto scomparivano tutti i campetti attorno al
Santobono: anche lì i soliti funghi. E si cominciava ad andare a
scuola di pomeriggio.
Attraversare la strada era ormai
un'impresa ardita ed io, diventando più grande, mi ritrovavo più
piccolo e non potevo più andare a comprare il Mattino, stando
attento attraversando la strada e il resto mancia. Non potevo più
andare a scuola da solo, ma c'era il pulmino di Angelo il
guardaporta del palazzo di fronte. E c'era una colonna di
macchine immobili in un'atmosfera irreale di pioggia e clackson. Mi
ritrovavo più piccolo, ma mi sentivo vecchio e non riconoscevo più il
mondo attorno a me.
Desiderai di andar via. Appena ho
potuto, l'ho fatto.
Finché a 34 anni sono approdato a
Telese. Ma c'ero già passato a 25 anni, nell'84: sceso dal treno, feci
tutto viale Minieri, svoltai a destra passando davanti alla clinica e
feci l'autostop per Cerreto. Prima d'allora, Telese per me era solo
un'acqua speciale e miracolosa: ll'acqua 'e mùmmara. Poi, nel
luglio del '93 era un sabato: mi sentii chiamare per nome e cognome,
mentre guardavo i libri nella vetrina di Theoria. E Telese diventò
improvvisamente casa mia.
Ma, sempre più improvvisamente,
scomparvero gli alberi e perfino i fili d'erba; là dove io immaginavo
un bel giardino palustre col corso d'acqua dallo strano colore, i
giochi per i bambini, le panchine per i nonnini, le paperelle e tutto
il resto... spuntarono delle cose strane che, nonostante
l'umidità, stavolta non erano funghi: erano palafitte!
Sì, palafitte e ancora palafitte...
Palafitte vuote tutt'intorno, palafitte vuote dappertutto...
Ma da dove diavolo dovranno
arrivare questi uomini primitivi?!
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