Solopaca: Monte Pizzuto in ginocchio - 11-10-02 - Domenico Longo

 

Dal mensile L'altra voce - Anno 9° n°4 - Giugno 2002

 

 

Se Gaeta in provincia di Latina vanta il primato della montagna spaccata, la Valle Telesina, non da meno, vanta quello della montagna massacrata. Si potrebbero addirittura organizzare pellegrinaggi turistici per constatare come qui la mano dell'uomo sia stata nefasta e crudele più che altrove.

 

Non bastava che Monte Pizzuto, della catena del Taburno ed irto a sud est di Solopaca, fosse stato solcato da una strada che lo ha reso orribile alla vista di chi si trova a valle, da qualche anno è stato disposto perché sia ulteriormente danneggiato con la costruzione, in cima alla stessa montagna, di una lunga galleria, che quasi ne trapassa la cima da parte a parte, adusa all'immagazzinamento d'acqua da vendersi successivamente e profumatamente a cura del Consorzio Interprovinciale Alto Calore.

 

È una storia come poche, che vede protagonisti da una parte il chiacchierato Consorzio Alto Calore, dall'altra il parimenti chiacchierato ingegnere, ex capo dell'ufficio tecnico comunale ed attuale sindaco di Solopaca, Pompilio Forgione. La prima delle sconcerie che balza evidente è che, all'atto della concessione, che Forgione ha dato in veste di capo dell'ufficio Tecnico comunale, non è stato riscosso nessun onere d'urbanizzazione e ciò ai sensi (cita la concessione) della legge 10/77 art. 9.

 

Tanto per sgombrare subito il campo dagli equivoci e chiarire il concetto, l'art, 9 della summenzionata legge (ritengo al punto f) recita: "il contributo non è dovuto per gli impianti, le attrezzature, le opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti nonché per le opere di urbanizzazione, eseguite anche da privati, in attuazione di strumenti urbanistici".

 

Nel nostro caso si ci potrebbe ipocritamente trincerare dietro quel termine "interesse generale", che, invece, tale non è. Il consorzio interprovinciale alto calore, in altre parole, non è un'associazione di mutuo soccorso ma un istituto privato che persegue come finalità il mero lucro.

 

I contraenti, nella fattispecie, cioè gli utenti, pagano profumatamente la prestazione che ottengono e così si perfeziona quello che in giurisprudenza si definisce comunemente e banalmente contratto.

 

Filosofeggiando il contratto possiamo dire, dunque, che esso nasce per contrazione di due o più soggetti, i quali, rivendicando e difendendo per proprio conto un interesse opposto rappresentato nel contesto del contratto stesso, raggiungono una soluzione ottimale. Per quanto attiene al nostro caso la partecipazione contrattuale del cittadino è del tutto passiva in quanto egli non ha avuto nessun ruolo nello stabilire le condizioni per la cessione del bene oggetto del contratto.

 

Le condizioni, cioè, sono state decise unilateralmente dai signorotti del consorzio, con la complicità e l'assenso degli amministratori comunali e con la benedizione dell'inossidabile Pompilio Forgione, tecnico comunale all'epoca. La beffa non è di poco conto se consideriamo il fatto che l'acqua che acquistiamo (pagandola salata) dal consorzio, è nostra. Nostro è anche il territorio dove il consorzio sta costruendosi le strutture per immagazzinarsi la nostra acqua da venderci.

 

E come se non bastasse tutto ciò, abbiamo rinunciato a quel centinaio di milioni e poco più, d'oneri d'urbanizzazione, che il consorzio ci doveva.

L'art. 12 della legge 10/77 parla delle "Destinazioni dei proventi delle concessioni" e dice: "I proventi delle concessioni e delle sanzioni di cui agli art. 15 e 18 sono versati in conto corrente vincolato presso la tesoreria del comune e sono destinati alla realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, al risanamento di complessi edilizi compresi nei centri storici, all'acquisizione delle aree da espropriare per la realizzazione dei programmi pluriennali di cui all'art. 13, nonché, nel limite massimo del 30% a spese di manutenzione ordinaria del patrimonio comunale".

 

Ove mai vi fossero ancora dubbi sulla questione sin qui affrontata, riporto di seguito il contenuto dell'art. 10 della stessa legge 10/77, che testualmente recita: "La concessione relativa a costruzioni o impianti destinati ad attività artigianali o industriali dirette alla trasformazione di beni ed alla prestazione di servizi comporta la corresponsione di un contributo pari alla incidenza delle opere di urbanizzazione, di quelle necessarie al trattamento e allo smaltimento dei rifiuti solidi, liquidi e gassosi e di quelle necessarie alla sistemazione dei luoghi ove ne siano alterate le caratteristiche.

 

La incidenza di tali opere è stabilita con deliberazione del consiglio comunale in base a parametri che la regione definisce con i criteri di cui alle lettere a) e b) del precedente art. 5, nonché in relazione ai tipi di attività produttiva.

La concessione relativa a costruzioni o impianti destinati ad attività turistiche, commerciali e direzionali comporta la corresponsione di un contributo all'incidenza delle opere di urbanizzazione ai sensi del precedente art. 5, nonché una quota non superiore al 10 per cento del costo documentato di costruzione da stabilirsi, in relazione ai diversi tipi di attività con deliberazione del consiglio comunale.

 

Qualora la destinazione d'uso delle opere indicate nei commi precedenti, nonché di quelle nelle zone agricole previste dal precedente art. 9, venga comunque modificata nei dieci anni successivi all'ultimazione dei lavori, il contributo per la concessione è dovuto nella misura massima corrispondente alla nuova destinazione determinata con riferimento al momento dell'intervenuta variazione".

 

Perché è stato favorito in maniera tanto spudorata il consorzio e non sono stati tutelati gli interessi dei cittadini locali? Ma andiamo avanti.

 

Con verbale di deliberazione del consiglio comunale n. 38 del 27/12/1999, il consiglio comunale di Solopaca vota a maggioranza l'adesione al Consorzio Interprovinciale Alto Calore e così delibera:

 

  • Di aderire al consorzio Interprovinciale Alto Calore con sede in Avellino, per la gestione del servizio idrico di questo comune, con decorrenza 1 ° gennaio 2000.

  • Di approvare l'allegato statuto e schema di convenzione disciplinanti i rapporti tra gli enti consorziati.

  • Di impegnare, ai sensi dell'ari. 27, comma 6, del D.L.vo n. 77/95 e successive modifiche ed integra­zioni, con imputazione al bilancio annuale dell'e­sercizio finanziario 2000, la somma di lire 13.500.000per quota consortile.

  • Di autorizzare il sindaco alla stipula della conven­zione ed il segretario al rogito della stessa.

 

Mancava quest'ultimo tassello: 13.500.000 lire, che togliamo dalle casse del comune, ogni anno, e che aggiungiamo alle casse del consorzio. Ma in cambio di cosa? Di nulla. Probabilmente lo status di socio del consorzio serviva soltanto a celare i numerosi vizi procedurali commessi dall'ufficio tecnico e dall'amministrazione comunale.

 

Infatti, alla conferenza dei servizi, dove cioè si discusse il progetto, andò solo il sindaco ed il capo dell'ufficio tecnico, senza che possedessero, nessuno dei due, la delega del consiglio comunale, unico organo, quest'ultimo, abilitato a partecipare.

Ma la vera ciliegina sulla torta è rappresentata dal fatto che i pareri dei preposti enti (Ministero per i Beni Culturali e Ambientali - Soprintendenza Archeologica) sono pareri di massima e non definitivi.

 

L'uno datato 13 gennaio 1998; l'altro 23 dicembre 1997. Il Ministero per i Beni Ambientali e Culturali, infatti, esprime parere favorevole ma, "ai soli fini localizzativi, in merito alla realizzazione delle opere descritte in oggetto ". Vale a dire che il progetto, all'atto della richiesta del parere era ancora in fase di formazione e che una volta concluso il suo iter, non è stato più ripresentato.

 

Ancora più fiscale risulta essere la Soprintendenza Archeologica delle province campane, la quale, implicitamente, solleva un altro degno argomento relativo all'interesse archeologico e storico dei territori interessati dal progetto. In particolare il documento si riferisce agli altri comuni interessati al progetto, verso i quali sollecita massi­ma perizia dei luoghi e dal cui esito, si legge, "La

Soprintendenza si riserva di chiedere eventuali varianti al progetto, e ciò in particolare qualora si evidenziassero situazioni di alto rischio archeologico, non compatibili con le opere da realizzare".

 

A questo punto viene spontaneo domandarsi, come mai, per Solopaca, che risulta essere il comune maggiormente interessato dal progetto, non viene fatta nessuna raccomandazione in ordine alla tutela delle zone di interesse storico ed archeologico?

Semplice: perché mai nessuno si è preoccupato di comunicare alla Soprintendenza l'esistenza dei numerosi siti archeologici presenti sul territorio comunale, qualcuno dei quali, guarda caso, ricade proprio nella zona interessata dal progetto.

Eppure tutti i siti vengono riportati nel preambolo dello statuto comunale e dunque, le autorità civili e l'ufficio tecnico, preposto alla tutela del territorio comunale, ne sono ufficialmente a conoscenza.

 

Ed il problema idrogeologico è coperto da vincolo? Come mai non viene menzionato?

Siamo appena alla seconda denuncia grave consecutiva su come viene gestito il territorio comunale di Solopaca.

Un progetto, questo, che prevede una spesa, per la realizzazione del primo lotto, di oltre 74 miliardi di lire, quasi interamente erogati dal Ministero come contributo. Un progetto dove, nonostante la mole di denaro prevista, non compaiono i pareri definitivi, proprio come per il progetto del ponte Solopaca Telese Teme. Un progetto che si sta realizzando, cosa gravissima, senza opportuno adeguamento dello strumento urbanistico, premesso che il sito risulta essere catalogato come zona C.I. (Conservazione Integrale).

 

Fatti gravissimi a nostro avviso, composti prevalentemente da sotterfugi e menzogne, fatti che richiedono un ulteriore e sereno approfondimento giornalistico.

 

Nella relazione ufficiale del progetto esecutivo (non se ne conoscono altri) presentato dal consorzio, è scritto che la realizzazione delle opere proscritte sarebbe avvenuta dietro la costa e perciò definitivamente invisibile dai paesi a valle. Niente di più falso. È un obbrobrio visibile a decine di chilometri di distanza, invece, che mortifica la vista, il buon gusto e rende indegna una montagna.

 

A questi fatti si aggiunge che il consorzio, molti scavi, come nel caso di una strada, li realizza pur non essendo previsti nel progetto. È avvilente come, in ogni caso, denunce di una certa gravità possano cadere così facilmente nel dimenticatoio forzato delle autorità che dovrebbero essere preposte ad ogni tutela ma che in realtà sono acquiescenti.

 

La procura di Benevento ce la ricorderemo sempre come solerte nel perseguire i reati a mezzo stampa ma piuttosto distratta, direi, nell'indagare i politici protetti e raccomandati; le tipiche espressioni dei poteri forti in genere, così come il sistema creditizio provinciale e la sua cricca di notai mariuoli.

 

L'unico dato confortante in tanti anni di presenza e battaglie è rappresentato dal trasferimento del giudice Picciali, all'indomani delle nostre pubblicazioni volte a smascherare un modo di fare tipicamente arrogante e prevaricatore dello stesso giudice. Picciali, apprendiamo con modesta soddisfazione, va a Santa Maria Capua Vetere a fare il sostituto aggiunto. Ma questa è già un'altra storia.

 

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