Fortuna, tanta fortuna - 15-11-02 - da Il Quaderno.it

 

 

di Carlo Panella

 

Viviamo giorni tristi. Tutti. Anche chi non si lascia scalfire dai casi altrui. Hanno sconvolto i cuori di uomini e donne le piccole vittime del sisma che ha demolito, assurdamente, solo la scuola elementare di un paese molisano. Nonostante l’abitudine all’orrore per la serie di stragi e crimini, sfornati quotidianamente, a pranzo e a cena, con algida puntualità dalle TV del villaggio globale.

 

I fatti di S. Giuliano ci coinvolgono. Non solo perché Campobasso è provincia confinante. O perché è tornato alla mente l’altro terremoto, più grave, di 22 anni fa in Irpinia. O perché, personalmente, ho una figlia della stessa età degli scolari morti mentre erano in una classe, lì dove noi genitori li crediamo al sicuro dai tanti pericoli cui sono, già alla loro età, esposti. La generale partecipazione all’evento dipende anche dalla generale insicurezza di nuovo riscontrata: dal fatto che oggi la casualità - troppo - decide la sorte delle persone, in questo caso dei bambini.

 

L’uso della diligenza media del buon padre di famiglia, la strana figura evocata sui libri di diritto, non basta, assolutamente: oggi per vivere ci vuole fortuna. Non solo ovviamente la salute, i mezzi economici adeguati, la prudenza e l’accortezza nelle azioni. La sorte decide, in dosi crescenti: di non farti trovare nel mezzo di una sparatoria tra criminali; di non farti vivere con un vicino che un giorno impazzisce e spara alla cieca; o nella casa a fianco del maniaco pronto a colpire; di non dover avere a che fare (non necessariamente in modo diretto) con qualche partner respinto che solo per questo uccide (almeno) chi non lo sopporta più, tanto per chiudere in un modo diverso la “solita” lite; o sul percorso di qualche idiota che decide di sfogare le sue frustrazioni lanciando a tutta velocità l’auto che guida, e via enumerando luttuose morti evitabilissime.

 

Morti stupide d’inizio millennio che si sommano a quelle idiote di sempre: per le guerre, la fame e le malattie curabili e non debellate per mancanza di mezzi.
La morte per l’altrui imbecillità è la meno accettabile, figurarsi poi quando ci vanno di mezzo i bambini, a decine. Sicuramente sono dei criminali coloro che hanno contribuito alla costruzione di una scuola con quelle modalità. Non sappiamo chi siano, lo sa Dio. Non ci aspettiamo certo che lo dica un tribunale: in Italia pagano in pochi le pene per i delitti che commettono (ora c’è pure il legittimo sospetto...). Sappiamo solo che quella scuola non si è autocostruita. Né è caduta per “colpa del terremoto” che abitualmente tormenta il Giappone, senza uccidere nessuno, e che comunque anche a S. Giuliano ha lasciato in piedi le altre case.

 

Il problema si fa ancor più serio perché i responsabili, oltre che criminali, sono imbecilli: persone che non valutano il danno grave che può derivare dalle proprie azioni od omissioni. Dietro l’evitabile tragedia non c’è solo la perversa logica del maggior profitto possibile su materiali, soldi o progetti. C’è anche, se non soprattutto, incapacità o addirittura pigrizia. In quanti avrebbero potuto far qualcosa e non l’hanno fatto, semmai solo per evitare rogne? Per non approfondire l’analisi sulle varie possibilità, per non perdere tempo? Qui sta l’irrimediabilità dei vizi come la superficialità, l’accidia, la pigrizia, l’ignavia: esse provocano danni immensi, non minori della lercia speculazione economica, fatta anche sulla pelle degli scolari.

 

Ne scrivo per averne avuto cognizione di causa proprio in quei momenti. Pochissimi minuti dopo la scossa delle 11.32 del 31 ottobre, mi sono precipitato dal mio ufficio, sito al Corso Garibaldi, nella quasi prospiciente Piazza Roma. Da settembre, mia figlia frequenta la quarta elementare nel Convitto Nazionale perché stanno restaurando la sua scuola in via Piranesi. Ho subito chiesto ad una maestra che era nei corridoi con delle bidelle di far uscire i bambini (non si conosceva ancora la tragedia di S. Giuliano).

 

Imperturbabile, mi ha risposto che non aveva avvertito la scossa. Le ho ripetuto, con tono più deciso, che il terremoto c’era stato. Era con me un amico architetto, a sua volta accorso: anche lui ha la figlia in quell’edificio d’epoca che, tra l’altro, aveva subito, pochi giorni prima, la caduta di calcinacci in una classe. La maestra ha continuato ad ignorare la mia richiesta di sgombero. Di fronte alla mia insistenza mi ha detto che senza autorizzazione (?!) non avrebbe fatto uscire i bambini e che, anzi, era meglio non spaventarli. In più, ha testualmente aggiunto: “Se vuole, può portar via sua figlia”. “E gli altri, li lascio morire?”, le ho replicato a muso duro, andandomene e chiedendo alla bidella di condurmi nella classe di mia figlia, la cui maestra, fortunatamente, s’è mostrata sensibile e partecipe.

 

Nel frattempo, saranno passati dieci minuti dal mio arrivo, l’ordine del burocrate preposto è arrivato, e la scuola è stata evacuata, così come il buon senso imponeva. E se ci fosse stata - in quei dieci minuti - una scossa pari a quella di S. Giuliano? L’imbecillità avrebbe prodotto danni e forse (non sia mai!) vittime: evitabili. Non pongo una questione solo ipotetica: se qualcuno avesse deciso di chiudere il 31 ottobre la scuola molisana, dopo la scossa della notte precedente, la strage non ci sarebbe stata. E’ un fatto. L’emozione provocata dalla strage di scolari ha fatto aprire gli occhi: qui le scuole sono rimaste chiuse due giorni, dopo la domenica, per le opportune verifiche che qualche inagibilità hanno dichiarato (alla “Moscati”).

 

Ma, passata l’emozione, in città ed in Italia, lo scrupolo per quanto tempo resisterà al lassismo, alle pigrizie, alle speculazioni, ai caporali di giornata che non sanno neanche pensare, se prima non glielo consente il sergente di turno? Temiamo che, ancora per molto, la fortuna sarà arbitra e deciderà se farcela scampare o farci pagare le gesta e l’ignavia dei criminali e degli stupidi.