Il mio paese meriterebbe un po' d'amore - 03-12-02 - Fulvio Del Deo

 

 

Attraversavo il Pindo al volante della mia gloriosa Renault 4 blu. In una curva subito dopo Mètsovo, sul ciglio della strada, un uomo bruno dalla pelle olivastra e baffoni neri faceva l'autostop. Mi fermai e lo feci accomodare. «Πάτε στην Καλαμπάκα;», gli chiesi. E lui mi rispose in ottimo Italiano: «Veramente, vorrei raggiungere Thessalonìki...» «Perfetto, è proprio lì che sto andando!» Così continuai il mio viaggio in compagnia e il tempo passò più leggero.
 
Guardando da vicino lo sconosciuto, mi accorsi che aveva varie cicatrici sulle braccia e sul volto. Senza che gli chiedessi nulla, prese a sciorinarmi la sua autobiografia. Era Iracheno, scampato per miracolo alla furia di Saddam. Da quando era riuscito a fuggire, aveva viaggiato molto: era stato per alcuni anni a Tashkent, di lì era andato poi a Tbilisi, Ierevan ecc... Infine a Salonicco, dove finalmente si era sentito a casa. Faceva piccoli lavori stagionali qua e là per la Grecia e si accontentava di quel poco che gli bastava per vivere in dignitosa solitudine.
 
Giunti sulla costa, verso Platamònas, ci fermammo a una taverna per una rapida insalatina di pomodori con feta e olive. Fu lì che, parlando del suo povero paese martoriato dalla guerra e dalla dittatura, mi raccontò la bella storiella che adesso vi narrerò.
 
C'era una volta una bellissima donna semplice e umile che aveva quattro figli. Il primo era intelligente, aveva studiato ed era andato in America a fare lo scienziato. Il secondo, un uomo debole, aveva sposato una donna prepotente e gelosa che gli impediva perfino di vedere sua madre. Il terzo aveva personalità forte, carattere volitivo ed era diventato un potente uomo d'affari. L'ultimo, molto più giovane degli altri, era venuto al mondo quando i genitori avevano già i capelli bianchi: era un ragazzo molto intelligente, ma modesto, semplice e di buon cuore; non avendo potuto studiare, si dedicava ai campi e alle poche bestie che aveva.
 
Quando la donna fu vedova e avanti negli anni, venne il momento che qualcuno dovesse prendersi cura di lei.
Il primo le propose di andare in America, ma lei si rifiutò: «Voglio morire al mio paese!»
 
Il secondo dové scegliere fra moglie e mamma. Ovviamente scelse la moglie.
Il terzo si fece avanti e disse: «Non preoccuparti, mamma, penserò io a te e non ti farò mancare nulla!»
Il quarto non disse niente: non aveva studiato, la sua non era certo una voce autorevole... e poi si fidava ciecamente del fratello maggiore sempre così sicuro di sé.
 
L'uomo d'affari, affinché nessuno potesse dire male di lui, assegnò alla mamma la camera più grande della casa. Assunse una cuoca per evitarle la fatica di cucinare e sei domestiche per evitarle la fatica dei lavori. Poi chiamò i migliori dottori e le fece prescrivere ottime cure contro gli acciacchi della vecchiaia. Le comprò vestiti nuovi e la ricoprì di gioielli. Nonostante l'età, era ancora bellissima e suo figlio era orgoglioso di metterla in mostra ai ricevimenti di gala e ai pranzi di lavoro, dove lei era portata senza poter dire mai di no.
 
L'anziana donna viveva adesso come una regina, servita e riverita, ricca come non era mai stata. Ma nonostante ciò era triste perché la sua vita sembrava non appartenerle più. E la tristezza, si sa, fa invecchiare in fretta. Così si ammalò. Prese a passare gran parte del tempo a letto. I dottori la seguivano giorno e notte, però lei non migliorava.
 
Un giorno il figlio, essendo stato nominato consigliere del re, fu costretto a trasferirsi nella Capitale. La mamma non ne volle sapere di seguirlo, così si affidò al figlio più giovane.
 
Il ragazzo la portò con sé nella sua piccola casetta di campagna. Si scusò mille volte per il disordine, per le grida dei bambini, per le doglie della moglie che stava partorendo per l'ennesima volta, per le galline che gironzolavano fra i piedi, per la povertà. La mamma non si scompose e subito si diede da fare: mise in ordine, cucinò, badò ai bambini e ai polli, aiutò la nuora a partorire. Finalmente sentiva di nuovo che la vita le apparteneva, che poteva prendere decisioni, che gli altri l'ascoltavano, l'amavano. Si sentì ringiovanire di trent'anni e le passarono tutti gli acciacchi.
 
Il figlio più semplice, quello che da lei aveva ricevuto meno di tutti, quello che non aveva mai contraddetto i suoi fratelli non per timore ma per fiducia... quel figlio lì, solo lui, era stato capace di darle l'amore che le mancava.
 
«L'Iraq meriterebbe che un figlio così si facesse avanti. A che serve la potenza, quando è sopraffazione? A che servono opere faraoniche da mettere in mostra, quando non c'è libertà, non c'è rispetto, quando non si ascolta la voce del passato e si fa scempio del futuro? Il mio paese meriterebbe un po' d'amore.»
 
E lo meriterebbe anche il nostro.
 
Fulvio Del Deo