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L’Associazione Culturale Casa del Mare “Guido Prina”

 

e l’Accademia Culturale di Rapallo 1° UNIVERSITÀ DELLA “ETÀ D’ORO”

presentano

 

LA DIVINA COMMEDIA

di Dante Alighieri

 

Ilustrazioni di Gustave Doré

 

INFERNO lettura scenica dei canti I, III, V, XXVI, XXXIII, XXXIV
 con gli allievi del laboratorio teatrale dell'Accademia Culturale

 

regia  Patrizia Ercole

 

 

Casa del mare - ore 15.30 – martedì 15 novembre 2005

S. Margherita Ligure


Dante Alighieri (Firenze 1265 - Ravenna 1321), poeta e prosatore, teorico letterario e pensatore politico, considerato il padre della letteratura italiana. La sua opera maggiore, la Divina Commedia, è unanimemente ritenuta uno dei capolavori della letteratura mondiale di tutti i tempi.

La giovinezza

Dante nacque tra il maggio e il giugno del 1265 da una famiglia di piccola nobiltà. L'evento più significativo della sua giovinezza, secondo il suo stesso racconto, fu l'incontro con Beatrice, la donna che amò ed esaltò come simbolo della grazia divina, prima nella Vita nuova e successivamente nella Divina Commedia. Gli storici hanno identificato Beatrice con la nobildonna fiorentina Beatrice o Bice Portinari, che morì nel 1290 neanche ventenne. Dante la vide in tre occasioni ma non ebbe mai l'opportunità di parlarle.

Non si sa molto sulla formazione di Dante, ma le sue opere rivelano un'erudizione che copre quasi l'intero panorama del sapere del suo tempo. A Firenze Fu profondamente influenzato dal letterato Brunetto Latini, che compare come personaggio nella Commedia (Inferno, canto XV), e sembra che intorno al 1287 frequentasse l'università di Bologna. Durante i conflitti politici che ebbero luogo in Italia in quell'epoca, si schierò con i guelfi contro i ghibellini (Vedi Guelfi e ghibellini): nel 1289 prese parte alla battaglia di Campaldino in cui i guelfi fiorentini trionfarono sulle milizie ghibelline di Arezzo. Qualche anno prima, probabilmente intorno al 1285, Dante aveva sposato Gemma Donati, appartenente a una potente famiglia guelfa.

La Vita nuova

La sua prima opera importante, la Vita nuova (1292-93), fu scritta poco dopo la morte di Beatrice ed è composta di canzoni e sonetti legati da commenti in prosa entro un esile intreccio narrativo: la storia dell'amore di Dante per Beatrice, la premonizione della sua morte avuta in un sogno, la morte di Beatrice e la risoluzione finale del poeta a scrivere un'opera che dicesse di lei "quello che mai non fue detto d'alcuna".

La Vita nuova mostra la chiara influenza della poesia d'amore dei trovatori provenzali e rappresenta probabilmente l'opera più importante del dolce stil novo fiorentino, che superò la tradizione provenzale sublimando l'amore del poeta non solo in termini di elevato idealismo, ma anche in senso mistico-religioso.

La vita politica di Dante

Negli anni che seguirono, Dante partecipò attivamente alla turbolenta vita politica di Firenze. Documenti che risalgono al 1295 indicano che in quell'anno egli ebbe vari incarichi governativi locali: nel 1300, dopo essere stato in missione diplomatica a San Gimignano, fu nominato priore di Firenze, carica che ricoprì per due mesi.

La rivalità tra le due fazioni dei guelfi di Firenze, i cosiddetti "neri", che consideravano il papa come un alleato contro il potere imperiale, e i "bianchi", che intendevano rimanere indipendenti sia dal papa sia dall'imperatore, diventò particolarmente intensa proprio durante il priorato di Dante; egli approvò la decisione di esiliare i capi di entrambe le fazioni, fra i quali l'amico Guido Cavalcanti, allo scopo di mantenere la pace nella città. Tuttavia, appoggiati da papa Bonifacio VIII, nel 1301 i capi dei neri poterono rientrare a Firenze e impadronirsi del potere mentre Dante si trovava a Roma, a capo di una delegazione del comune presso il pontefice. Nel gennaio del 1302 Dante fu accusato di baratteria e concussione e, processato in contumacia, dapprima condannato a pagare un'ingente ammenda e bandito da Firenze, quindi, non essendosi presentato per scontare la pena, venne condannato a morte e alla confisca dei beni familiari.

Dante non fece mai più ritorno in patria: trascorse il suo esilio in parte a Verona e in parte in altre città italiane (Treviso, Padova, Venezia, Lucca, Ravenna), e forse si spinse fino a Parigi tra il 1307 e il 1309. In quegli anni i suoi ideali politici subirono un profondo cambiamento: si avvicinò alle posizioni dei ghibellini, auspicando l'unificazione di tutta l'Europa sotto il regno di un imperatore illuminato.

I trattati dottrinali

Durante i primi anni dell'esilio, Dante scrisse il De vulgari eloquentia (1303-1305, incompiuto) e il Convivio (1304-1307 ca., incompiuto). Nel primo, in latino, difese il "volgare" come lingua letteraria contro l'uso prevalente del latino per le opere colte.

Il Convivio fu concepito come un compendio in volgare, in quindici trattati, del sapere del tempo. Il primo trattato è un'introduzione e i rimanenti quattordici avrebbero assunto la forma di commenti ad altrettanti componimenti poetici dell'autore. Tuttavia furono portati a termine solo i primi quattro trattati.

Le speranze politiche di Dante furono risollevate dall'arrivo in Italia nel 1310 di Arrigo VII, re di Germania e imperatore del Sacro romano impero, che intendeva riportare l'Italia sotto la sua sovranità di fatto e non solo di diritto. In uno slancio di febbrile attività politica, Dante scrisse un'Epistola, indirizzata a tutti i principi e i reggitori dei Comuni d'Italia per esortarli ad accogliere l'imperatore inviato dalla Provvidenza a risolvere le aspre lotte intestine che insanguinavano la penisola. La morte di Arrigo VII nel 1313 pose bruscamente fine alle speranze di Dante.

Il trattato latino intitolato Monarchia, scritto secondo alcuni fra il 1310 e il 1313, durante il periodo della permanenza in Italia di Arrigo, secondo altri nel 1317, rappresenta un'esposizione della filosofia politica dantesca, in cui l'autore auspica la nascita di una monarchia universale, necessaria per garantire la pace e il benessere dell'umanità, propugnando la netta separazione tra Stato e Chiesa.

Gli ultimi anni

Nel 1315 la città di Firenze invitò Dante a ritornare; tuttavia, poiché le condizioni che gli venivano proposte erano quelle generalmente riservate a criminali cui era stato concesso il perdono, Dante rifiutò l'invito e affermò che non sarebbe mai ritornato se non gli fossero stati accordati piena dignità e onore. Continuò quindi a vivere in esilio e trascorse i suoi ultimi anni a Ravenna, dove morì nella notte fra il 13 e il 14 settembre 1321.

Tra le opere minori scritte da Dante durante gli ultimi anni di vita, si ricordano la Quaestio de aqua et terra e due Egloghe in esametri latini. La Quaestio è un trattato di cosmologia, in latino, incentrato su un tema che generava grande interesse nei pensatori del tempo: come le terre siano emerse dall'acqua. Le Egloghe sono strutturate sul modello delle Bucoliche di Virgilio, che Dante considerava maestro di vita e di pensiero.

La Divina Commedia

 

Il capolavoro di Dante, la Divina Commedia, iniziato probabilmente nel 1307 e terminato poco prima della morte, è un poema allegorico, diviso in cantiche denominate rispettivamente Inferno, Purgatorio e Paradiso, che con versi di grande forza drammatica narra il viaggio immaginario del poeta nei tre regni ultraterreni. In ciascuno di essi il poeta incontra personaggi mitologici, letterari, storici e contemporanei che rappresentano simbolicamente vizi o virtù morali, religiosi o politici. Virgilio, simbolo della ragione, guida il poeta attraverso l'inferno e il purgatorio. Beatrice, manifestazione e strumento della volontà divina, è invece la sua guida in paradiso. Ogni cantica comprende 33 canti, eccetto la prima che ne conta uno in più con la funzione di introduzione generale; il poema è scritto in terza rima (Vedi Metrica).

Poiché intese destinarla a un pubblico il più vasto possibile, Dante scrisse l'opera in italiano e non in latino; inoltre, la chiamò Commedia per il lieto fine che conclude il viaggio, con la visione di Dio in paradiso. L'aggettivo "divina" fu aggiunto per la prima volta al titolo nell'edizione veneziana del 1555, ma era già stato usato da Giovanni Boccaccio nel suo Trattatello in laude di Dante.

L'opera, che riassume il pensiero religioso, politico, scientifico e filosofico del tempo, può essere letta e compresa, secondo la proposta dello stesso Dante, su quattro livelli: letterale, che indica il senso immediato delle parole; allegorico, che disvela la verità celata sotto il senso letterale; morale, che fornisce norme di condotta; e anagogico, che considera le parole – quindi gli eventi e gli oggetti significati dalle parole – simboli di realtà spirituali. La Divina Commedia è una straordinaria drammatizzazione della teologia cristiana medievale, ma, al di là di questa cornice, il viaggio immaginario di Dante può essere interpretato come un'allegoria della purificazione dell'anima e del raggiungimento della salvezza eterna, conseguite con l'aiuto della ragione, della fede e dell'amore.

La fortuna della Commedia e il suo influsso sulle arti

Fin dal XIV secolo molte città italiane avevano istituito corsi per lo studio della Commedia e, nei secoli successivi all'invenzione della stampa, furono pubblicate circa quattrocento edizioni italiane. L'opera è stata fonte d'ispirazione per innumerevoli poeti e artisti. Ne furono pubblicate edizioni illustrate dai maestri italiani Sandro Botticelli e Michelangelo, dagli artisti inglesi John Flaxman e William Blake e dall'illustratore francese Gustave Doré. Celebri (e recentemente restaurati) sono gli affreschi di Luca Signorelli nel Duomo di Orvieto.

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