INTRO


1. La lettura di Sesso e carattere (1903) di Otto Weininger, ora opportunissimamente ripubblicata dalle Edizioni Mediterranee, non può non entusiasmare quegli spiriti «liberi e forti» che ancora rimangono in una società spappolata, dissacrata, descritta dal Kali Yuga come epoca di decadenza estrema dello spirito e dei valori eterni dell'uomo.


Un'opera pubblicata in un momento in cui il materialismo marxista e non marxista, il primo femminismo, il suffragettismo, il positivismo, un egalitarismo bolso, che poi ha accresciuto la sua potenza e la sua ottusità come valanga nel corso dei decenni successivi, andavano già dominando il mondo. Nella belle époque si profilava la tragedia di quell'Europa che — come disse Camus, in una frase forse più importante e più grande di quello che egli stesso non pensasse pronunciandola — «non ama più la vita», costituendo questo il suo «segreto». Questo amor vitae che tante epoche hanno anche ideologicamente o religiosamente o misticamente o sessualmente od eroticamente glorificato ed esaltato e ricordato, dal Cantico dei Cantici alla civiltà della Valle dell’Indo, dal Rinascimento all'epoca augustea, questo amore per la vita che va scomparendo, come dimostrano non solo e non tanto i suicidi, crescentemente attuati (senza dimenticare che il numero dei suicidi maschi è circa dieci volte superiore a quello delle donne), in tale momento ed in tale Europa la rilettura di un'opera come quella di Weininger dovrebbe agire — ma non agirà — come una vera e propria «bomba».


I dogmi, che ormai hanno invaso il mondo e lo hanno appestato in senso fisico e morale, sono contestati punto per punto, con una puntigliosità e con una precisione che non può non lasciare ammirati e stupefatti, considerando anche la giovanissima età dell'autore che morì suicida nel 1904 a soli 24 anni (e questo come vedremo ha il suo significato). La scienza ha confermato molte delle intuizioni di Otto Weininger, alcune delle quali affondano nella tradizione e nella notte dei tempi, altre che sono tutte sue. Per esempio, il fatto che l'uomo e la donna non sono tali soltanto a causa dei loro genitali, ma per una differenza che pervade tutto il loro corpo fino alle ultime cellule. Aveva detto Nietzsche, con eguale intuizione: «Il grado e il gene della sessualità di un uomo (e di una donna) pervadono il suo corpo fino alle più alte vette del suo spirito».


Originale e genericamente fondata è anche l'equazione, per così dire, che spingerebbe un uomo verso una donna che ha il rapporto complementare tra mascolino e femminino a quello che vive in lui, e viceversa. Fondamenta-


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le è la considerazione di tutto il mondo erotico-estetico e sessuale, come non finalizzato alla procreazione. Qui Weininger distinguerà tra i due unici tipi di donna che egli riconosce esistenti, almeno nell’essenza fondamentale, quello della madre e quello della prostituta, attribuendo alla prima appunto una funzione procreativa primaria. Ma certamente Weininger si serve, per così dire, della dimensione materna — oggi praticamente scomparsa — per definire un tipo di donna e non già un comportamento soltanto e una finalità della sessualità. E' la sessualità che si caratterizza in un determinato modo quando la donna è essenzialmente madre e non già la sessualità che serva alla maternità. Ancora oggi, per opera soprattutto della Chiesa Cattolica, nonostante le ricerche ormai complete in tutti i campi, soprattutto quello microbiologico, si sostiene l’idea che la sessualità sia dovuta unicamente alla procreazione e questa sarebbe la sua funzione naturale, razionale e morale. E' impressionante come la Chiesa Cattolica riesca ad opporsi, con una ostinazione degna di miglior causa, al progresso della scienza, ripetendo una storia già vecchia che ha visto Galileo sul banco degli imputati e i primi notonisti scomunicati. Ma anche recentemente è stata ribadita la posizione ormai completamente fossile in questo campo del Vaticano.


Anche in Italia sono state pubblicate opere pregevoli, per esempio quelle di due studiosi tedeschi, i quali hanno dimostrato come la suddivisione sessuale (non dimentichiamo che «sexus» vuol dire «diviso», «separato») è preposta essenzialmente alla lotta contro gli invasori, microbici o virali, perché scombina le carte per loro adattarsi a un organismo per invadere e distruggerlo.


2. Ma il punto più singolare e più sconvolgente, sconvolgente per il conformismo piatto e gelatinoso attuale, melmoso e distruttivo di ogni distinzione — la distinzione anche è opera dell’ingegno «maschile» — è l’affermazione che ogni valore estetico, etico, morale, logico, filosofico è nell’uomo.


Naturalmente tenendo presente l'affermazione fondamentale di Weininger e cioè che in ogni uomo c’è una parte di donna e in ogni donna c’è una parte di uomo, si potrebbe dire che anche la donna, in quanto partecipe, sia pure parzialmente, dell’uomo, può possedere questi valori. Ma Weininger lo nega, giacché afferma che se un uomo può avvicinarsi molto alla donna, quindi degradandosi e perdendo i valori e la capacità dei valori, una donna non può avvicinarsi molto all’uomo, quindi non può acquistarne i valori. Vedremo al termine di questa nostra introduzione quale proposta fa Weininger perché la donna possa coltivare e acquistare una qualche spiritualità. Una proposta che ricorda stranamente, e direi sinistramente, la filosofia religiosa di Tertulliano.


E' vero che Weininger ha molti argomenti dalla sua parte: per esempio il fatto che non sia mai esistita una donna filosofo, mentre sono esistite donne che hanno mostrato capacità artistiche in altri campi, come quello figurativo o della musica, pur se in misura ridotta. La donna, dice Weininger, ha talento, ma non può avere genio. E qual è la caratteristica precipua del genio? Per Weininger — secondo me del tutto ha ragione — la caratteristica


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precipua del genio è la capacità di attingere a un livello superiore, a un livello in qualche modo «obiettivo», assoluto, eterno.


Ricordo una lettera di Giovanni Gentile a Bertrando Spaventa, in cui il grande filosofo assassinato diceva (cito a memoria): «Fu un grande giorno, una grande festa nel mio cuore, quando io capii che dentro di noi c'è un pensiero che non è mio o tuo, ma è il pensiero». Una frase del genere difficilmente potrebbe dirla una donna.


Sia ben chiaro: anche Weininger sostiene che vi sono uomini in parte femminilizzati, degeneri, in cui i valori si attenuano fino quasi ad apparire inesistenti. Ma egli giunge ad affermare — affermazione che io assolutamente non condivido — che il peggiore degli uomini ha sempre in sé un qualche valore più della migliore delle donne. Tra l'altro Weininger, che ha visto bene la pena e lo squallore della femminilizzazione degli uomini, femminilizzazione che può avvenire all'interno o no di una dimensione omosessuale, non ha egualmente visto bene, a mio parere, la mascolinizzazione della donna. È vero che egli ne ha parlato e ha anche detto, a proposito dell'isterica, che essa combatte tra una femminilità che vorrebbe emergere e una parte maschile che schiaccia quella femminilità e determina i conflitti che portano alle crisi. Ma evidentemente non ha conosciuto molte donne mascoline, perché alcune di esse hanno non solo i difetti — quelli tutti interi — degli uomini, ma anche alcune delle qualità. Per esempio, ho conosciuto donne — raramente in verità — che avevano capacità di fedeltà e di sincerità. È vero che di fronte alla sincerità in genere — e di fronte alla sincerità della donna in particolare — bisogna essere molto guardinghi. Io sono abbastanza terrorizzato quando una persona a me vicina dice: «Guarda, io sono sincero...», perché dietro questa affermazione c'è sempre un attacco aggressivo assolutamente poco gradevole.


Comunque. le cose sono certamente molto più complesse di quanto Weininger non mostri. Certo la prospettiva di un popolo del centro Europa come il polo tedesco era indubbiamente ed è ancora diversa da quella di un popolo mediterraneo e molto più composito come quello italiano. Ernst Bemhard, il noto allievo di Jung che venne a «catechizzare» l'Italia, in un breve ma succoso e geniale saggio intitolato Il complesso della Grande Madre (1961), sosteneva appunto che gli italiani sono tutti «materni» e che un'esperienza «patema» come quella del fascismo non poteva attecchire in un popolo che ha simili caratteristiche: «Dovunque, nella vita pubblica, nell'arte e nella scienza, nella politica e nella religione, nel costume e negli usi, ma anzitutto nella psicologia e nel destino del singolo, la Grande Madre, con la sua luce e la sua ombra, va resa trasparente. Con ciò si avrebbero le premesse necessarie per liberarsi dalla identificazione conscia e inconscia con essa e invece di esserne «posseduti», poterla assimilare, vale a dire disporre consapevolmente delle sue qualità ed esercitarle tutte le volte che sia «giusto» (...) Non dovrebbe sussistere dubbio che ciò che l'Italia ha da offrire come contributo specifico alla civiltà umana è lo sviluppo ulteriore della Grande Madre mediterranea, la sua elevazione, il suo approfondimento e la sua compensazione. I tentativi di sopraffazione patriarcale, come ultimamente il fasci-


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smo, avranno invece sempre un carattere inflazionistico di pubertà, e dovranno necessariamente soggiacere alla Grande Madre» (in Mitobiografia, Adelphi, 1969, p. 178-9).



3. Notevole l'osservazione di Weininger che riduce, come abbiamo visto, l'essenzialità dei tipi femminili in quello della madre e in quello della prostituta. Naturalmente egli stesso, continuando quel tipo di dialettica che ha applicato per il maschile e il femminile, dice che anche nel tipo materno c'è una parte di prostituta e nel tipo prostituta c'è una parte di tipo materno.


Il tipo materno è egoisticamente affezionato ai propri figli e tutti gli altri esseri umani gli sono sostanzialmente indifferenti: non parliamo poi dell'indifferenza verso il partner maschio, perché questa è primaria. Del resto gli uomini un po‘ se ne accorgono perché sviluppano una gelosia, più o meno intelligente o beota, nei confronti dei propri figli rispetto alla propria donna. Il tipo prostituta mette al centro del mondo non i figli. che non ama e non vuole e per lo più non ha, ma se stessa, il proprio corpo, il proprio potere sugli uomini, la propria ricchezza che non è importante, secondo Weininger, come proprietà, come possesso, ma come potenza, come dominio, come ambizione, come autostima. In Weininger forse è troppo accentuata la notazione secondo cui la prostituta — naturalmente non s'intende mai o non s'intende soltanto in questo contesto la professionista — ha delle ambizioni, dei narcisismi, diremo oggi finalizzati appunto a quel egotismo, a quella autostima che non può raggiungere attraverso la formazione di un lo che alla donna è negato, ma attraverso il sesso. Infatti, la donna ha meccanismi di potere e di esibizionismo che vivono di vita propria e che probabilmente dai tempi di Weininger ad oggi si sono persino accentuati, nonostante l'apparente libertà sessuale che in realtà non è altro che licenza, ignoranza ancora maggiore, presunzione e, appunto, prostituzione.


C'è un passaggio molto significativo nell'opera di Weininger quando egli afferma che nessun uomo potrebbe mai sostenere che i genitali femminili non siano ripugnanti. Devo dire che quando lessi per la prima volta questa affermazione feci un balzo e quasi gridai. La mia esperienza come persona, come uomo, maschio, come partner, come psicologo, come conoscitore e amico di altri uomini è, salvo eccezioni, completamente opposta. Anche il grande, vecchio Freud diceva: «Non si possono osservare i genitali — si riferiva anche alla donna — senza provare un'emozione». Si può e si deve anche affermare, almeno per quanto riguarda l'uomo nei confronti della donna, che la bellezza della donna è tale perché avvia e conduce e riconduce ai genitali della donna stessa. Le labbra del viso ricordano e portano alle labbra della vulva, le rotondità delle natiche riportano alle rotondità del seno e viceversa. Come ha dimostrato brillantemente Desmond Morris, per esempio, la setosità e il velluto della pelle riportano alla setosità e al velluto della vagina, la bellezza delle gambe che sale via via dal polpaccio al ginocchio alla coscia all'inguine, è appunto come la strada, l'autostrada verso la vulva e la vagina. Tutti i tipi di rapporto sessuali orali — ma parlo qui soprattutto del cunnilinctus — si riferiscono allo splendore, alla bellezza, alla succhiosità, alla potenza eccitativa dei genitali femminili.


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Sarebbe molto banale asserire — e perciò lo asserirò come esempio possibile di banalità, di superficialità, di semplicismo — che chi non ama la vagina non ama la vita, e addirittura aggiungere, prova di ancor maggiore semplicismo e superficialità, che chi non ama la vita si suicida comunque.


Certo qui si apre un grande problema, che Weininger esamina a più riprese, parlando di autori che di volta in volta cita. A proposito delle varie polemiche sui concetti di mascolino e femminino Weininger ricorda che non si può demolire una tesi adducendo i problemi o le esperienze personali dell'autore di quella tesi. Certo questo è senz'altro vero, ma si deve anche dire che è molto più facile applicare una simile regola nella matematica o nella biologia o nella fisica o nella chimica, che non nella psicologia umana.


Il famoso problema della avalutatività delle scienze sociali ebbe in Max Weber, altro grande autore dell'epoca, il suo più coerente e forte assertore. Ma vi furono molti pareri contrari, a cominciare da quelli espressi dal mondo marxista fino a quelli espressi dal nazismo, quando si arrivò a dire, per esempio, che dovevano esistere una matematica, una geometria, una fisica, una chimica naziste. La posizione estrema e paradossale dimostra che poi tutta la tesi è insostenibile. Tuttavia non si può assolutamente passare all'estremo opposto e dire che, soprattutto nel campo delle scienze storico-sociali e psicologiche, l'esperienza dell'autore. esperienza vissuta. esperienza storica ed esistenziale, non abbia rilevanza per orientare e condizionare il pensiero dell'autore stesso.


È vero che esistono anime superiori — una di queste è certamente Nietzsche, un'altra è quella di Evola e anche in parte certamente quella di Otto Weininger, come quella di Max Weber — le quali riescono quasi a stare sopra i loro tempi, a superare le mode dei tempi, i pregiudizi dei tempi, la stupidità dei tempi. Tuttavia anche l'esperienza comune di psicologo, sociologo e antropologo dimostra quanto una persona, tanto più quanto più modeste sono la sua cultura e le sue capacita intellettuali, riversa nelle proprie convinzioni, nonché generalizza, la propria esperienza personale.


Un tema per esempio su cui avviene in modo devastante il precipitare dell'esperienza personale è costituito dal famoso quesito, sempre ripetuto e ribadito in ogni inchiesta, in ogni settimanale femminile e maschile che sia, o in ogni trasmissione televisiva e radiofonica: ci può essere amicizia tra uomo e donna? Si vede con una trasparenza impressionante come ogni persona riversi appunto su questo tema le sue esperienze personali, ma pretendendo che — e qui è l'ignoranza, la limitatezza e la stupidità degli uomini e delle donne incolti del nostro tempo che sono sempre più numerosi — queste esperienze personali, che se portate come esperienze personali avrebbero tutto il loro valore, vengano fatte assurgere a generalizzazioni e assolutizzazioni incontrovertibili. Non si dice: «Per me l'amicizia con una donna non può esistere perché io sono un uomo morbosamente sessuato», — ed io penso questo — ma si dice, come se fosse oggettivo, che l'amicizia tra uomo e donna possa o non possa esistere.


Risponderò ora al quesito che ho posto per non lasciare il lettore con la convinzione che io me ne voglia quasi sottrarre. È evidente che l'amicizia


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tra un uomo e una donna è relativa ad una serie di elementi presenti o assenti nell'uomo e nella donna: attrazione sessuale ù una parte e/o dall'altra, età delle persone, sensi di colpa presenti o assenti nell'una e nell'altro, condizioni favorevoli o sfavorevoli. Comunque, quando manca l'attrazione sessuale, almeno da una parte, può nascere, se c'è dialogo e comprensione, l'amicizia. È veramente l'uovo di Colombo, ma non ho mai assistito a discussioni tanto furiose come su questo tema. nel quale ognuno sa, o meglio crede di sapere, come stanno le cose per tutti. È dunque molto difficile nelle scienze umane raggiungere una obiettività che talvolta può persino coincidere con la più banale delle obiettività, l'obiettività statistica, cioè quella del parere della maggior parte o della quasi totalità delle persone su una determinata questione.



Ora affermare, come fa Weininger, che la più evoluta, la più emancipata, la più intelligente delle donne sarà sempre inferiore, spiritualmente, intellettualmente, moralmente, al più degenerato degli uomini, è affermazione suggerita soltanto da una passione interna e da una problematica nevrotica, che velano Io sguardo pur a un uomo di genio quale il nostro autore. Ciò su cui invece egli avrebbe potuto e dovuto insistere è il fatto del mescolamento del mascolino e del femminino di ciascun essere umano. Certamente l'esperienza dimostra in maniera incontrovertibile che donne molto belle e molto sessuate non sono sollecitate a sviluppare qualità spirituali e cerebrali. Ma questa è già una regola molto imperfetta, perché se la libido della donna non si riversa totalmente sul suo corpo, narcisisticamente e sessualmente, possono esserci delle donne molto belle di grande ingegno e anche, come in taluni casi, dotate di genialità.


4. Bisogna storicizzare molto i problemi e certamente nella storia del nostro pianeta ad un certo punto l'uomo e la donna si sono divisi non solo dei compiti, come tutte le civiltà dimostrano, dalla più antica storia fino alla preistoria e oltre: cacciatore l'uomo, custode della grotta e dei figli la donna, guerriero l'uomo, amministratrice dei beni e delle terre la donna e così via. Ma si sono divisi anche dei compiti più profondamente spirituali ed esistenziali, come quello dell'esercizio della politica, del potere, della guerra da parte dell'uomo e dell'amministrazione della casa, dell'allevamento dei figli, della religiosità, talvolta, da parte della donna.


E di più: la virilità, la fermezza, lo sguardo apollineo teso all'infinito, la coerenza, la presenza di un Io, l'unità l'uomo; la maternità, la sessualità, la bipolarità sessuale ed esistenziale, la tenerezza, l'accoglienza la donna. Ma sono compiti storici.


Chi potrà discernere — e si potrà discernere? — ciò che compete per natura, per destino, per tradizione ancestrale, all'uomo e alla donna, e ciò che è acquisto, portato o pregiudizio del tempo? Al limite questa impresa è impossibile, ma esistono certamente dei dati che ci permettono di universalizzare alcuni aspetti del problema. Non sempre il potere è stato appannaggio dell'uomo. Basti pensare alle società matriarcali ed anche a quelle, meno ginecocratiche, matrilineari, per rendersi conto che le donne hanno anche esercitato potere: un potere politico e militare, un potere sociale ed economi-


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co, talvolta spietato e crudele come nel caso leggendario delle Amazzoni, talvolta agricolo e Pacifico come nelle società di metriche, talvolta sessuato ma sempre prevaricatore come nelle società eteriche


certo queste distinzioni hanno anche alcunché di astratto e di schematico, ma indubbiamente il matriarcato è una realtà storica. è una realtà storica il matriarcato istituzionale come hanno dimostrato l'antopologia e l'antropologia comparata, ma è ancora più realtà storica il matriarcato profondo. Se è vero come è vero che il naso (chissà poi perché proprio il naso…) di Cleopatra ha cambiato la storia, se è vero come è vero che in ogni grande impresa, in ogni grande inganno ho in ogni grande tradimento, in ogni grande svolta storica bisogna «cercare la femmina », se è vero come è vero che non diano i destini dei popoli e degli individui si decidono nell'alcova, se è vero come è vero dalla rivoluzione francese alla guerra- lampo di Israele le donne hanno portato dei contributi fondamentali se è vero come è vero che Elena di Troia ha scatenato la più famosa guerra ed epopea di tutti i tempi, se è vero come è vero che al di là e al di sopra di Crono, il Tempo che divora i suoi figli, c'è il Caos, che femmina e non maschio, se è vero come​ è vero​ che le dee più terribili sono appunto le femmine, le Parche, le Erinni, Medusa ed anche quelle più aggraziate come Venere, se insomma il posto della donna nella storia è così fondamentale in tutte le civiltà, dalla dea Kalì, che ancora oggi spaventa gli indiani, alla Vergine Madre «figlia del suo figlio», allora vuol dire che c'è un potere femminile che non ero scimmiottamento, come è oggi praticamente soltanto del potere maschile.


La misteriosa e complessa alchimia (ma non tanto misteriosa, poi, sei studiata bene…) di Eros e Thanatos in ciascun animo umano non è riducibile ad una dialettica maschile e femminile, positivo, creativo, egoico il maschio e prostitutoria o materna, ma comunque distruttiva, emotiva e sessuale la femmina. E' vero che per comodità di schema, per ragioni di studio o di ordinamento della complessa vicenda storica, noi abbiamo agglutinato intorno al femminile delle qualità e dei difetti, difetti che Weininger in estrema misura evidenzia e cioè la mancanza di logica e di morale, la presenza di qualità sessuali orientate verso l'egoismo materno o verso l'egotismo prostitutorio e nell'uomo abbiamo aggregato qualità e difetti, qualità sommamente esaltante Weininger, quali la coerenza, la lealtà, la presenza di un Io, la memoria, la continuità.


L'idea di società matriarcali rette dalla legge del sangue e della crudeltà silenziosa, dalla legge del sesso e della carne, dalla legge della violenza carnale e di società patriarcali rette dalla coerenza, dall'onestà, dalla guerra giusta è santa, dai fatti che sono da osservare, è una idea ordinatrice della storia, che ha un fondamento storico e scientifico, ma non è l'unica chiave di lettura della storia e delle sorti dell'uomo. Dove stanno oggi gli uomini e dove stanno oggi le donne? Basta porsi il quesito in questi termini per capire che oggi non di rado troviamo gli uomini nelle donne e le donne negli uomini. Troviamo cioè uomini non solo e non tanto effeminati nei modi e nelle fogge del vestire o del gestire o del parlare, quanto effeminati per la mancanza dell'Io.


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Weininger, con un'altra delle sue geniali intuizioni, paragona la prostituta al politico, per la loro vanità, per la loro inconsistenza, ero da loro inaffidabilità, per il loro materialismo naturale, per il mercimonio: e oggi abbiamo ulteriori prove, se ce ne fosse ancora bisogno, di quanto prostituta e politico abbiano in comune. ma il politico e perlopiù maschio, eppure, per parole dello stesso Weininger, praticamente identico la prostituta, che donna. Ma quante figure di donne mancano negli schemi, pur geniali eppure dirompenti eppur necessari oggi in questa palude melmosa ed escrementizia in cui viviamo, quante strutture mancano nella sua opera e nelle sue intuizioni.


Chi ricorderà l'uomo e la donna della Valle dell'Indo, di cui oggi conosciamo ormai tanto, della cui sessualità non rivaleggiante sappiamo oggi che non costituiva tutto quell'aggregato di virtù da una parte ed i limiti dall'altra che, dalla civiltà greca come culmine in poi caratterizzerà il nostro mondo dissacrato e dissacrante? Abbiamo trovato, come esploratori del mondo sociale antropologicamente, civiltà non solo e non tanto matriarcali o matrilineari, quanto egalitarie in un senso per noi inimmaginabile, per noi per cui l'uguaglianza è soltanto espressione ovvia o di diritti sanciti, riconosciuti e inalienabili, o di assoluto appiattimento bovino ed ottuso.


Andiamo a vedere i Muria negli altipiani del Tibet, andiamo a scavare i Piaroa nella foresta lungo il Rio delle Amazzoni, andiamo a ricordare i celeberrimi Trobriandiani, studiati nella famosa opera di Malinowski, e troveremo società nelle quali è completamente disgregato, diverso, disarticolato il nostro concetto di uomo e donna, di maschio e femmina, di potere, maschile o femminile che sia.


L'eredità è matrilineare, il marito non conta nulla, per esempio nelle Trobriand, ma la figura più importante della famiglia e lo zio materno, quindi un uomo di nuovo. Vedete com'è disarticolata la situazione: nella casa comanda la donna non l'uomo, l'uomo, il padre è un compagno ho quasi un fratello dei suoi figli, ma nelle questioni importanti, di scelte, di eredità, di educazione interviene il fratello della madre che è più autorevole della sorella, ma solo in circostanze speciali, previste e sancite dalla tradizione.


Come potremmo applicare gli schemi o freudiani o junghiani o weiningeriani a queste altre civiltà? E le grandi Etere, anche quelle note, Taide, Frine, anche quelle note dalla grande cultura greca, le Etere colte, le Etere potenti, le Etere che, processate per quelli che noi chiameremmo intrallazzi, potevano farsi assolvere togliendosi la tunica e mostrandosi ai giudici nude. Pare che quei giudici, passati alla storia per la loro sensibilità erotico-estetica, passati alla storia per aver usato in fondo un criterio che Weininger e Bachofen e Morgan definirebbero matriarcale o comunque «materno» e quindi disordinato e spappolate, pare che quei giudici di fronte alla nudità, di fronte al pube, di fronte al seno, di fronte al sesso di queste donne meravigliose non abbiano certo avuto la reazione di cui parla Weininger, quella di ripugnanza che mi ripugna quasi citare.


5. Ebbene, la situazione è molto ma molto più articolata è complessa di quanto venite non si illudeva che fosse. veniamo ad un altro punto


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fondamentale della sua opera, il punto a cui la mia personalità filosofica aderisce: quello della presenza dell'Io — nell'uomo, secondo Weininger — che attinge alla logica, ai principi della logica, ai concetti di causalità, di ragion sufficiente, di identità, cioè ai concetti che formano la scienza e la filosofia e che sono alla base del crescere mentale, intellettuale, scientifico, e in un certo senso anche morale, dell'uomo. Tutto ciò è verissimo, ma quante sono le persone che possono esclamare con Gentile. rivolto al suo maestro Bertrando Spaventa: «Felice il giorno che capii che non c'è un pensiero mio o un pensiero tuo, ma il pensiero». Quanti possono esclamare ciò? Se io scorro in una rapida e sommaria, e necessariamente superficiale, panoramica la storia della mia vita e dei miei rapporti con le persone, storia da questo punto di vista caratterizzata dalla tragedia della incomprensione, della incomunicabilità, tragedia tanto maggiore quanto maggiore è l'impegno e la scoperta di questo Io universale, di questo Logos universale, di questo pensiero universale, devo forse dire di essere stato capito più dagli uomini che dalle donne? Direi proprio di no. Dirò anzi che la donna, probabilmente condotta da una sua adesione uterina al pensiero di un uomo, forse poi finisce per capirlo, forse poi finisce per raggiungerlo agli alti livelli. Mentre l'altro uomo, dominato, indemoniato della sua divorante rivalità, dal suo Edipo mai risolto, ti contesta per il piacere di contestarti: tu hai la tua filosofia, io ho la mia, anche di fronte alla scienza, che non è filosofia. Certo la volubilità della donna è stranota: «la donna è mobile qual piuma al vento, muta d'accento e di pensieri».


Certo ho conosciuto miriadi, moltitudini di ragazze, le quali, comuniste perché il ragazzo era comunista, sono poi diventate fasciste con un ragazzo fascista. Ma qui quanti e quali orizzonti si aprirebbero! Qual è il risultato di questo mondo degli uomini, di questo mondo degli uomini maschi, di questo mondo costruito sulla logica (?), costruito sul potere. Il mio maestro Ugo Spirito parlava di una Babele di Sum: ego rum: io sono; cogito ergo rum: penso e perciò sono. Ma che cosa propriamente sono: una egoità o una unità. È bella la lotta? Sono belle le stragi? Certo Tito Livio poteva dichiarare giusta e santa la guerra che per lui era appunto giusta e santa, cioè una guerra leale, senza trucchi, senza intrallazzi, senza corruzioni. Ma già lamentava le corruzioni del tempo, già lamentava che Mitridate, re del Ponto, fosse stato sconfitto con i soldi e con la corruzione e non in campo di battaglia. E dove arriva, fin quando arriva la lealtà assoluta. Si dice: Summum ius summa iniuria. Ma si potrebbe anche dire: Summum bellum summa iniuria». Non è detto che il fatto che un guerriero sia rutilante di gloria con una spada lucente in mano e che non ammetta nessuna possibilità di compromesso, non è detto che ciò costituisca un bene individuale, sociale, storico e metafisico.


6. «Cave a consequentiariis», dicevano i latini: «Guardati dai logici». Noi, nel nostro linguaggio esperto di psicologia del profondo, potremmo dire «guardati dagli ossessivi». E Possessività, per esempio, che e una delle forme di nevrosi più gravi, più irriducibili, più tormentose per chi ne è portatore e per i suoi familiari, amici, colleghi e vicini, Possessività è prevalentemente maschile più che femminile.



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Quindi il problema della distinzione tra ciò che è per natura femminile e per natura maschile, e per cultura femminile e per cultura maschile, è tutt'ora aperto e non va pregiudicato in maniera arbitraria e proiettando le soggettive esperienze sui soggetti diversi, le soggettive sensazioni. Certo alcune caratteristiche sono sicuramente maschili e sicuramente femminili: è maschile proprio ciò che Weininger ignora e nega, cioè il desiderio dei genitali e di tutto il corpo femminile; è femminile ciò che Weininger considera sì, ma sempre negativamente. e cioè la seduzione e l'accoglienza.


Purtroppo Weininger indulge al più colossale e mefitico mito dell'Occidente: quello che la psicanalisi chiamerà, e poi Wilhelm Reich approfondirà in modo mirabile, come lo sdoppiamento vivente nell'animo dell'uomo e di conseguenza della donna; la vergine-madre e la femmina-puttana. Egli vi indulge in maniera completa, con una adesione inconsapevole e tanto più potente e irresolubile. Come se la madre dovesse essere per forza egoista e in qualche modo assessuata (egoista. naturalmente, nei confronti di tutto il mondo, esclusi i propri posseduti come appendici corporee più ancora che morali o affettive). La puttana è colei che ha degradato la funzione riproduttiva e monogarnica della sessualità in un'orgia gelatinosa in cui tutte le vacche di notte — e anche di giorno — sono nere. Se Weininger avesse conosciuto l'antropologia della civiltà della Valle dell'lndo, prima dell'invasione degli Ariani, i tanto poi celebrati gratuitamente ed arbitrariamente Ariani, avrebbe conosciuto un altro tipo di uomo e di donna soprattutto: un tipo di donna che è, come tante poesie erotiche antiche dicono, un'arpa che emette i suoni più dolci, purché si sappia dolcemente toccarla. Una donna che è tutto sesso e tutta madre, una donna nella quale non solo non è sdoppiata la dimensione materna da quella erotica, ma anzi esse fanno una cosa sola sicché la donna partorendo provi orgasmi plurimi e provando l'orgasmo senta il partner come figlio che le entra nel ventre. Un uomo che nella potenza dell'eccitazione sessuale fa sorgere il Kundalini e percorrere tutti i Chakra fino a giungere al ricongiungimento con la mente superiore in un'estasi che non conosce più uomo e donna, donna e uomo, ma l'uno si trasfonde nell'altra e viceversa.


In un bracciale che Mussolini regalò a Claretta Petacci c'era scritto: «Tu sei me, io sono te». Questo dicono gli amanti che stanno al di là delle distinzioni tra il maschio culturale e la femmina culturale, tra la femmina storica e il maschio storico, che non solo non hanno annullato le differenze, ma anzi le hanno potenziate, perché esse sono la fonte di ogni attrazione e stimolazione ed emozione, ma potenziando e raggiungendo la unio si trasfondono, quasi un una metamorfosi dantesca, gli uni nelle altre. Ho potuto notare per esempio che quando due persone si amano veramente — cosa oramai scomparente dalla nostra «civiltà» liquamosa ed escrementizia — spesso sognano l'una di essere maschio, l'altro di di essere femmina. Anche perché, come ha messo in luce una psicanalista ungherese già nel 1929, esiste un invidia della vagina da parte del maschio contrapposta alla tanto sbandierata invidia del pene da parte della femmina.


La verità è che purtroppo Weininger, come tanti altri grandi studiosi di questi problemi prima di Freud e di Reich (diciamo anzi più esattamente


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prima di Reich, perché anche Freud era in fondo un vittoriano), da Platone a Stendhal dal Cirano di Bergerac ai Fedeli d'Amore, dagli Amores e l'Ars amandi da Ovidio a Prévert, tutti hanno vissuto dentro l'ammorbante guscio dello sdoppiamento tra vergine-madre e femmina-puttana.


La donna è stata uccisa e soffocata così e quindi, quando ha deciso di ribellarsi, di scrollarsi di dosso quella oppressione che conosceva soltanto nei suoi termini giuridici e pratici, che cosa ha fatto? È diventata una femmina-puttana col fallo e una vergine-madre col fallo, fallendo così (la parola non fu mai così appropriata) in tutti i sensi ed in tutti i modi. Perché è vero, è verissimo ciò che dice Weininger a proposito dell'isteria, come abbiamo riportato più sopra, è vero, è verissimo ciò che Weininger, evocando lo spettro di Tertulliano, propone alla donna per acquistare quel tanto di spiritualità che ancora le è possibile, cioè la castità assoluta e quindi la fine della specie. Non si sa poi quale uomo e quale donna verrebbe fuori dalla fine della specie, quando l'uomo e la donna non ci fossero più. Ma talvolta il pensare tedesco non conosce queste contraddizioni, come quando Hitler concludeva i suoi oceanici e apocalittici discorsi con la frase: «Anche l'ultimo tedesco muoia, purché la Germania viva». Quale Germania sarebbe sopravvissuta alla fine dell'ultimo tedesco lo sapeva soltanto lui.


7. Invero l'umanità, a mio parere, può essere salvata soltanto dal ritrovamento che la donna potrà fare della sua femminilità non tanto tradizionale quanto ancestrale, archetipica, assoluta in un senso diverso da quello di Weininger, cioè la trasformazione di tutto il suo corpo in un corpo d'amore, per utilizzare il titolo di un'opera — secondo me fallita — di Norman Brown, dopo il suo capolavoro La vita contro la morte.


E per sapere che ciò è possibile basta appunto ripercorrere la storia e l'avventura dell'uomo e della donna della Valle dell'lndo. Un'antica leggenda di quel popolo dice che gli esseri umani nascono già adulti e i loro corpi sono fusi in un amore perenne che li rende indissolubili e che dura diecimila anni, dopodiché scompaiono senza lasciare traccia. C'è una grande malinconia in questa leggenda e in questo mito, ma c'è una grande saggezza, una grande verità, e soprattutto una grande naturalezza in senso stretto, cioè una grande percezione che lo scopo della vita è la unio profonda e intrapsichica tra uomo e donna. Come potrebbe aversi oggi qualcosa del genere quando la donna non fa altro che essere single. sia accoppiata che sola? Quando l'uomo è sbatacchiato da una serie di contraddizioni interne a lui e esterne, viventi nella società? L'orgasmo femminile, provato, non provato, clitorideo, vaginale (distinzione che è poi posticcia), mistificato, finto, eccetera, è semplicemente l'atto finale, il punto culminante di questa presa in giro reciproca, di questa inesistenza di rapporto profondo.


8. E qui, in conclusione di questa introduzione ad un libro che è comunque straordinario, devo esprimere la mia idea personale del rapporto tra uomo e donna, in senso purtroppo ideale, purtroppo utopistico, purtroppo impossibile attualmente, ma che ha avuto la sua esistenza non solo nella civiltà della Valle dell'Indo. ma anche in altre civiltà di cui abbiamo parlato in precedenza, scomparse perché al di fuori delle grandi vie di espansione


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etnica percorse dai grandi vincitori, Ariani e dai loro simili, dagli uomini dalla spada e dal cavallo, con la donna a piedi, monogami e casti salvo la riproduzione dei figli.


A mio parere la donna è ciò che possiamo definire lo scopo dell'universo.


Mi si passino queste metafore, queste similitudini ardite e discutibili, più poetiche che scientifiche, ma l'universo è curvo, curvo è l'universo intero come Einstein dimostrò, curve e a spirale sono le galassie, curvi sono i moti dei pianeti e i rotondi corpi dei pianeti. La donna esprime queste curve che sono l'espressione della sua massima bellezza dalle guance ai seni, dalle natiche alle coscie. La donna esprime la creatività dell'universo perché riceve si il seme dell'uomo. ma poi lo feconda ella stessa — mi si passi questa inversione della tradizionale terminologia e concettualizzazione — e lo trattiene nel suo ventre e lo partorisce in orgasmo — quando è donna —. Ma la donna non può rivelarsi a se stessa. Dall'inconscio collettivo, è giunta questa tragedia del rapporto uomo-donna: c'è una canzone di un gruppo di giovani, al di sotto dei vent'anni, che più o meno suona così: un ragazzo recita la parte della ragazza e un altro ragazzo la parte del ragazzo: il ragazzo dice «ti amo», l'altra risponde «aiuto, mi sento soffocare»; «vorrei uscire con te», «tu vuoi fare sempre quello che vuoi»; «se vuoi ti lascio libera», «ah, lo sapevo che non mi amavi». Non continuo la cantilena, perché il senso è ovvio: oggi alla donna non va bene nulla. Rifiuta quello che è potere dell'uomo e non sa più distinguere l'uomo che ha un vero potere malefico su di lei da quello che ha soltanto amore e scambia appunto volontà di potere con volontà di amore; casi come quello di Johnny lo zingaro, casi assai più celebri come quello di Bonnie e Clyde, dimostrano che la donna, come dice un proverbio negro, «è fatta in modo che il peggiore fa battere il cuore alle ragazze». L'uomo non sa più se deve essere virile o bambino.


La gran moda dell'uomo-bambino, leggermente tonto e deficiente, tra le donne, è celeberrima oggi. Se un ragazzo non è almeno leggermente handicappato non ha speranze con le donne: salvo poi restare insoddisfatte, perché quel ragazzo demente e handicappato non soddisfa il loro narcisismo profondo, non soddisfa soprattutto la loro femminilità profonda, il bisogno di virilità perché la loro femminilità possa finalmente uscire. Ma qui Weininger ha colto genialmente il punto: la donna che ha acquistano un fallo pasticcio combatte una lotta senza tregua, estenuante e vana, contro la propria femminilità e quindi non può più che essere infelice e rendere infelice l'uomo che non sa più che pesci pigliare, non sa più che fare per accontentarla, per soddisfarla. La famosa questione se la donna non possa avere un Io, come Weininger pretende: ho conosciuto donne dotate di Io e uomini non dotati.È questo il suo limite, se si vuole chiamar tale, ma in realtà non è un limite: è la sua gloria e il suo significato e il suo potere seduttorio e attrattivo. La donna non è donna se non è donna rivelata a qualcuno e da qualcuno.


Anche la donna che si guarda allo specchio e si ammira nella sua nudità splendente immagina sempre uno spettatore, allibito e stupefatto, voglioso e libidinoso, altrimenti il suo guardarsi non avrebbe alcun senso.


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La donna è per l'uomo e l'uomo per la donna, la donna è il fine e l'uomo è il mezzo: so con questo di violentare e di compiere uno strappo nella tradizione più alta che ha dato un posto sacro e mistico e potente all'uomo e alla donna. Ma non posso non tirare le conclusioni cui mi portano la mia esperienza e i miei studi. L'uomo vive per rivelare la donna a se stessa, la donna vive per essere rivelata a se stessa dall'uomo.


Certo, nell'abbraccio finale questo diviene indistinto e c'è soltanto l‘esperienza di un universo che vuole penetrare ed essere penetrato, accogliere e trasformare, creare e distruggere. Ma questo avviene nell'ambito di quella natura che è Deus, come il grande piccolo Spinoza ha intuito.