Ho scritto questo libro per dar voce a una
perplessità: cosa mette in gioco la "riduzione dei rischi"
nell'approccio contemporaneo alle tossicomanie? Prendendo qualche
distanza rispetto a un pensiero dell'urgenza, ho proceduto ad alcune
considerazioni che a molti suoneranno inattuali.
Stiamo oggi assistendo a una banalizzazione evidente
della dipendenza. Vivere con le droghe significa imparare a non
spaventarsi di fronte a una pratica sempre più familiare. Gli oppiacei,
la cocaina e altre estasi tascabili non sono più investiti del fascino
fatale dei frutti proibiti e divengono giocattoli per una ricreazione
tranquilla, perfettamente compatibile con la vita quotidiana. Negli
Stati Uniti, si parla molto del fascino aggiunto, della complicità
estetica di cui l'eroina ormai gode nel mondo della moda e del cinema.
Si gioca allusivamente, ma ammiccando senza esitazione, sulla bellezza
languida della magrezza e della trascuratezza nel vestire che si
associano allo stile tossico. Film come Pulp Fiction e Trainspotting
mostrano, se non il lusso, almeno la calma e la voluttà chimiche come
se si ritrovasse la libertà letteraria del secolo XIX. Heroin chic, lo
chic dell'eroina, è il titolo che sulla copertina del "New York
Magazine" annuncia una recensione di Trainspotting, e nessuno è
sembrato scandalizzarsi. In Francia, è soprattutto la riflessione
sociologica che invita a sdrammatizzare le droghe e ad accettare l'idea
di un tempo da passare in compagnia dell'abitudine. L'assuefazione
sarebbe un modo come un altro di vivere alla giornata, per coloro che
scelgono di farlo, e andrebbe accettata come tale innanzitutto da
coloro che fanno le leggi e gestiscono la salute, nonché, più
generalmente, dall'opinione pubblica.